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Tassa dei 500 milioni. Il Tar pone la questione di legittimità alla Corte Costituzionale

Il Tribunale amministrativo regionale esprimendosi sulla legittimità della norma che ha introdotto la tassa dei 500 mln sulla filiera degli apparecchi da gioco ha ritenuto opportuno rinviare il caso alla

17 Novembre 2015

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Il Tribunale amministrativo regionale esprimendosi sulla legittimità della norma che ha introdotto la tassa dei 500 mln sulla filiera degli apparecchi da gioco ha ritenuto opportuno rinviare il caso alla Corte Costituzionale, sollevando dubbi in riferimento sia al profilo della disparità di trattamento sia al profilo della ragionevolezza della stessa norma inserita nella legge di Stabilità 2015.

 

“Il Collegio ritiene che la norma contestata presenti dubbi di compatibilità costituzionale con riferimento sia al profilo della disparità di trattamento sia al profilo della ragionevolezza.

Con riguardo alla ragionevolezza, va in primo luogo considerato che l’intervento legislativo è avvenuto in dichiarata anticipazione del più organico riordino della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell’ambito delle reti di raccolta del gioco per conto dello Stato, in attuazione dell’art. 14, comma 2, lett. g), della legge n. 23 del 2014.

Sennonché, mentre il criterio per il riordino previsto dall’art. 14, comma 2, lett. g), della legge n. 23 del 2014 prevede la revisione degli aggi e compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori “secondo un criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate”, la norma in contestazione ha previsto la riduzione dei compensi in “quota proporzionale” al numero di apparecchi riferibili ai concessionari alla data del 31 dicembre 2014.

Ne consegue che, sebbene sia stato fatto specifico riferimento alla norma che prevede il criterio di riduzione degli aggi e compensi secondo un “criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate”, il criterio introdotto per ripartire tra i concessionari l’importo totale di euro 500 milioni è legato non ad un dato di flusso, quale i volumi di raccolta delle giocate, ma ad un dato fisso, quale il numero di apparecchi esistenti e riferibili a ciascun concessionario al 31 dicembre 2014 o in sede di ricognizione successiva.

Tale contraddizione, ad avviso del Collegio, è di per sé idonea ad indurre il sospetto che la norma di cui all’art. 1, comma 649, della legge di stabilità per il 2015 abbia violato sia il principio di ragionevolezza che quello di uguaglianza.

Premessa, infatti, la contraddittorietà intrinseca della disposizione che afferma di attuare una norma e poi in concreto se ne discosta, appare illogico il riferimento ad un dato statico (sia pure soggetto ad aggiornamento), cioè il numero di apparecchi riferibile a ciascun concessionario ad una certa data, anziché ad un dato dinamico, il volume di raccolta delle giocate, in quanto la capacità di reddito di ogni singolo concessionario e della relativa filiera è misurata in maniera molto più propria dall’entità complessiva degli importi incassati che dal numero degli apparecchi riferibile a ciascun soggetto.

 

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Il criterio individuato, in altri termini, postula che ogni apparecchio effettui uno stesso volume di giocate, il che appare del tutto implausibile.

Analogamente, il criterio individuato dalla norma sembra violare il principio di uguaglianza in quanto, essendo il riferimento al numero di apparecchi riferibile a ciascun concessionario non compiutamente indicativo dei margini di reddito conseguiti dallo stesso, la ripartizione della riduzione dei compensi potrebbe andare a beneficio degli operatori i cui apparecchi registrano mediamente un maggior volume di giocate ed a detrimento degli operatori i cui apparecchi, invece, registrano mediamente un minor volume di giocate.

La previsione normativa, in sostanza, sembra avere violato i canoni di ragionevolezza e parità di trattamento presumendo, in maniera illogica, che ciascun apparecchio da intrattenimento abbia la stessa potenzialità di reddito laddove quest’ultima dipende da una molteplicità di fattori (quali, in primo luogo, la differenza tra AWP e VLT e, poi, ad esempio, il comune, il quartiere, la strada in cui l’apparecchio è situato nonché la sua ubicazione all’interno del locale) che rendono implausibile il criterio scelto dal legislatore.

La violazione del principio di ragionevolezza e di uguaglianza, peraltro, è individuabile anche con riferimento al fatto che, mentre la legge delega n. 23 del 2014 ha previsto il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici e, quindi, del loro intero sistema, la norma in contestazione incide solo sui giochi praticati mediante apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, TU n. 773 del 1931 e, per l’effetto, è destinata solo ad un segmento, sia pure di enorme rilievo, al suo interno.

Va da sé, inoltre, che la descritta irragionevole ripartizione del versamento imposto tra i concessionari potrebbe produrre un’alterazione del libero gioco della concorrenza tra gli stessi, favorendo quelli che, in presenza di una redditività superiore per singolo apparecchio, si trovano a versare, in proporzione al volume di giocate raccolte, un importo minore, per cui possono destinare maggiori risorse agli investimenti e, in senso più lato, favorendo gli operatori del settore dei giochi pubblici diversi da quelli in discorso”.

 

 

La questione di legittimità costituzionale della norma di cui all’art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014 non appare manifestamente infondata anche con riferimento alla violazione dell’art. 41, comma 1, Cost. che sancisce il principio di libertà dell’iniziativa economica privata.

Il Collegio, in via preliminare, rileva che, qualora si tratti di soggetti privati che, nell’intraprendere attività d’impresa, sostengono consistenti investimenti, la legittima aspettativa ad una certa stabilità nel tempo del rapporto concessorio gode di una particolare tutela costituzionale, riconducibile non solo all’art. 3 Cost., ma anche all’art. 41 Cost.

In particolare, il legittimo affidamento dell’imprenditore implica l’aspettativa che le sopravvenienze normative non finiscano per vanificare l’iniziativa economica intrapresa e gli investimenti sostenuti, atteso che, se l’imprenditore evidentemente deve assumere su di sé i rischi d’impresa derivanti da mutamenti della situazione di fatto, non può dirsi allo stesso modo per le sopravvenienze normative che incidono sulle condizioni economiche stabilite nella convenzione accessiva al rapporto concessorio.

Nel caso di specie, se, da un lato, il versamento imposto, pur incidendo significativamente sul sinallagma contrattuale, non appare prima facie violativo del richiamato “principio di proporzionalità” scolpito nella sentenza n. 56 del 2015, dall’altro, la determinazione in misura fissa e non variabile del contributo imposto, in quanto destinato ad operare a tempo indeterminato, potrebbe potenzialmente produrre un peso insostenibile per gli operatori della filiera ove i margini di redditività della stessa dovessero consistentemente ridursi.

In altri termini, se con riferimento ai dati del conto economico 2014, il versamento imposto alla ricorrente, pur costituendo un significativo “taglio” alla sua capacità di reddito, non appare tale da violare il “principio di proporzionalità” in un’ottica di bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti, non è possibile escludere che, ove i volumi delle giocate raccolte dovessero drasticamente contrarsi, la determinazione del versamento in misura fissa e non variabile, come funzione del volume delle giocate, potrebbe determinare un reale stravolgimento delle condizioni economiche pattuite in convenzione con conseguente eccessiva gravosità degli obblighi imposti per i concessionari ed i relativi operatori di filiera.

Parimenti irragionevoli e lesive della libertà di iniziativa economica dell’impresa si rilevano le previsioni, contenute nelle lett. a) e c) del secondo comma dell’art. 1, comma 649 della legge di stabilità per il 2015, secondo cui “ai concessionari è versato dagli operatori di filiera l’intero ammontare della raccolta del gioco praticato mediante i predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate” e “i concessionari, nell’esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di filiera le somme residue, disponibili per aggi e compensi, rinegoziando i relativi contratti e versando gli aggi e compensi dovuti esclusivamente a fronte della sottoscrizione dei contratti rinegoziati”.

Tali disposizioni appaiono idonee a riflettersi sulla libertà contrattuale dei concessionari.

Per un verso, infatti, l’obbligo per gli operatori di filiera di versare l’intero ammontare della raccolta del gioco ai concessionari incide autoritativamente sui rapporti negoziali di diritto privato intrattenuti tra i detti soggetti esponendo i concessionari al rischio, non prevedibile ab origine, del mancato adempimento dell’obbligo degli operatori di filiera: mancato adempimento che non farebbe comunque venire meno l’obbligo del concessionario di versare allo Stato, nei termini indicati, l’importo, concernente l’intera filiera, quantificato nell’impugnato decreto direttoriale del 15 gennaio 2015.

Per altro verso, l’imposizione di una rinegoziazione dei contratti appare incompatibile con la incomprimibile autonomia delle parti di pervenire solo eventualmente ad un nuovo e diverso accordo negoziale, laddove è verosimile ritenere che per realizzare lo stesso obiettivo sarebbe stato sufficiente stabilire una riduzione “pro quota” ed “a cascata” dei compensi spettanti a tutti gli operatori di filiera senza imporre una rinegoziazione in via autoritativa.

Per tutte le ragioni sopraesposte, il Collegio ritiene rilevante ai fini della decisione della controversia e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014 per violazione degli artt. 3 e 41, primo comma, Cost., sicché deve essere disposta la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 134 della Costituzione, dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e dell’art. 23 della legge costituzionale 11 marzo 1953 n. 87.

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