03 Maggio 2024 - 19:58

Giochi e sicurezza urbana: Frosinone, Roma e Latina le città con più consumo di gioco

Dalle slot machine ai gratta e vinci, dai Bingo ai videopoker, a Roma si spendono 6 miliardi l’anno per il gioco d’azzardo, pari a 1.400 euro pro capite. E nonostante

23 Novembre 2015

Print Friendly, PDF & Email

Dalle slot machine ai gratta e vinci, dai Bingo ai videopoker, a Roma si spendono 6 miliardi l’anno per il gioco d’azzardo, pari a 1.400 euro pro capite. E nonostante il picco si sia registrato nel 2012, sono dati che ancora allarmano, tanto da far parlare di un fenomeno esploso nella Capitale, a cui negli ultimi tempi si affianca sempre più spesso la presenza dei ”Compro oro”. Il tutto, con un impatto all’interno della città che colpisce soprattutto le periferie e che fa dire agli esperti che l’abitudine al gioco è inversamente proporzionale al reddito. Niente più casinò destinati a un pubblico di elite, che infatti sono tutti in crisi, ma tante slot machine disseminate nei quartieri dove la crisi ha colpito più forte.

 

Mentre è in corso il dibattito e la discussione parlamentare su una nuova regolamentazione del gioco d’azzardo, la Camera di Commercio di Roma ha inteso offrire un contributo – di dati, di analisi e di proposte interpretative – alla comprensione del tema, nei suoi riflessi sull’economia e sulla società.

 

Scarica la ricerca della Camera di Commercio di Roma

 

L’argomento – presentato oggi presso la sede romana della Camera di Commercio – è stato affrontato in parallelo ad un altro fenomeno di ampio rilievo e che, nelle ipotesi della ricerca, è indirettamente collegato: la diffusione della compravendita di metalli preziosi usati (i cosiddetti Compro Oro) che si verifica tra evidenti limiti e vetustà delle norme che la disciplinano. Anche in questo caso, significativamente, è in discussione al Parlamento una bozza di nuova legge che garantisca meglio la legalità e la certezza delle regole, per gli operatori e per i consumatori.

 

Secondo i dati che riporta la ricerca, dal 2007 al 2012 il consumo pro capite per il gioco d’azzardo a Roma è aumentato del 65,2%, passando da 839 euro a quasi 1.400 euro in media. “E se prendiamo in esame soltanto la popolazione attiva, questa cifra raggiunge quasi il doppio”, ha fatto notare il presidente della Camera di commercio di Roma, Lorenzo Tagliavanti, secondo il quale “con la crisi, a Roma abbiamo assistito a una esplosione delle attività del gioco d’azzardo e ”Compro oro”. Una crescita che “si è localizzata nelle parti della città soprattutto periferiche e semiperiferiche già interessate da un disagio sociale derivante dalla crisi stessa”, ha aggiunto il presidente.

Giochi e sicurezza urbana. Fiasco (Alea): “I reati legati al gaming sono dovuti al denaro che questo settore movimenta”

 

Per esempio, tra Compro oro e sale dedicate all’azzardo è il VII municipio, quello dell’Appio-Tuscolano, ad avere non solo un’incidenza maggiore, ma anche una evidente corrispondenza tra i 32 Compro oro e le 38 sale. Nel I municipio, invece, i Compro oro sono 46, mentre le sale si fermano a 16 a causa del fatto che la popolazione è di passaggio e della recente deliberazione di Roma Capitale intervenuta a limitare fortemente l’apertura delle sale all’interno del perimetro delle Mura aureliane. La maggioranza dei Compro oro, invece, è data anche dall”accorpamento dei municipi I e XVII.

 

 Il grande balzo del mercato dell’alea

 

Il mercato del gioco d’azzardo – ha spiegato il prof. Maurizio Fiasco autore dello studio – ha conosciuto in Italia un vero e proprio boom tra due crisi economiche, quella venuta in evidenza drammatica nell’estate del 1992 e l’altra – tuttora in evoluzione – che si è manifestata dopo il 2007.

A questo proposito, nella ricerca il quadro nazionale è comparato con le condizioni della provincia di Roma e delle altre province del Lazio, per una contestualizzazione precisa dei problemi, degli scenari che si profilano e delle conseguenze sull’economia e sulla società locale.

Nel medio periodo è cambiata la collocazione dell’offerta e del consumo di alea in uno scenario che va esaminato unitariamente: in riferimento alle scelte di spesa delle famiglie, negli indirizzi regolativi della fiscalità delle imposte e dei tributi, nella composizione del mercato nazionale dei beni e dei servizi.

Si deve sottolineare che la struttura dell’economia del gioco d’azzardo è cambiata velocemente dopo esser rimasta pressoché identica dal Dopoguerra alla metà degli anni Novanta.

È sorto un mercato del tutto particolare, poiché (caratteristica italiana) è regolato dalla “concessione” e non offerto da privati ai quali sia stata rilasciata la “licenza”. In altri termini, in luogo del libero esercizio da parte dei privati di un business regolato da norme generali, lo Stato consente lo sfruttamento, a vantaggio di essi privati, di una utility pubblica di monopolio statale (il servizio di offerta di gioco in denaro con alea).

Lo Stato fissa, così, gli ambiti tanto dei ricavi, quanto del rischio imprenditoriale, nonché le mete di entrate erariali, che, pertanto, sono quantificate nelle poste del bilancio annuale.

Com’è possibile, allora, parlare di “rischio d’impresa” in un mercato regolato in maniera così “originale”? E quale profilo di responsabilità (civile, amministrativa, penale e, si vorrebbe, sociale) si presenta per le imprese che svolgono l’esercizio, su delega, di una funzione pubblica (il monopolio statale sul gioco in denaro, svolto per motivazioni di ordine pubblico), ma pur sempre in una logica “for profit”?

Sono quesiti che sono affrontati nella ricerca, poiché invitano a considerare il rilievo del quadro istituzionale per giustificare la compatibilità delle attività di gioco d’azzardo e – ancor più – perché pongono in risalto l’esigenza di una valutazione d’impatto su tre versanti: a) il mercato dei beni e dei servizi; b) il controllo di legalità; c) la salute dei cittadini, dato che la letteratura clinica e gli atti degli organismi internazionali (come l’Organizzazione Mondiale della Sanità) da oltre trent’anni hanno incluso la dipendenza da gioco d’azzardo nel catalogo delle sofferenze psichiche.

 

Feroci (Caritas): “Le aziende romane riducano l’impatto dell’azzardo”

 

Mercato e consumo

 

Nella realtà del consumo industrializzato di massa di alea, l’offerta è costruita sulla “bassa soglia” di accesso che presenta alcuni tratti essenziali: la somma da puntare su ogni singola operazione è modesta e quindi non suscita inibizione circa le conseguenze “esistenziali” della perdita; l’esperienza della “vincita” (in molti casi impropriamente definita così, giacché la somma “restituita” è identica o di poco superiore al costo della singola puntata) dev’essere provata da tutti i partecipanti (equivale al “si vince sempre” delle riffe paesane o del “gioco del tappo” nelle fiere), a intermittenza.

In altri termini, la cosiddetta vincita ha la strutturale funzione di far aumentare il tempo di attrazione attraverso la sequenza stimolo-reazione-rinforzo, oppure innesco-gratificazione-aumento di frequenza. Le scienze psichiatriche e il complesso delle neuroscienze hanno da tempo individuato proprio in questo “dispositivo” il vettore che muove l’addiction e la stabilizza nella vita della persona.

Tempo di vita e tempo dell’economia sono associati in una dinamica di dispersione di “risorse scarse”, “senza uso”. Considerato dal lato dell’esperienza del giocatore, il consumo di giochi d’azzardo si qualifica in senso tecnico come un moltiplicatore negativo dell’economia, vale a dire come un depressore della domanda complessiva di beni e di servizi. In effetti, agendo in senso opposto al keynesiano “moltiplicatore” positivo, il business dell’azzardo si presenta come un settore che “estrae valore” e che non “crea valore”. Esaminato il consuntivo del business cycle, è di palmare evidenza che il valore iniziale si ritrova a fine periodo “decurtato” della domanda sottratta (o meglio, “estratta”) ai settori direttamente produttivi e al terziario.

Tutto questo si è verificato con un decennio di ritardo, rispetto ad altri Paesi a prevalente economia finanziaria. In Italia il consumo di gioco d’azzardo ha oltrepassato i tradizionali ambienti d’elite e i limitati strati popolari che per abitudine e cultura ne avevano propensione. Dagli inizi del nuovo secolo, infatti, puntare denaro è divenuto un comportamento di massa che ha finito col collocarsi al centro della vita quotidiana delle persone.

Il cambiamento nella composizione delle scelte di spesa, in altri termini, è stato in Italia radicale, anche in confronto con quanto accaduto nel campo delle economie sviluppate. Giova sottolineare che tra i quesiti principali di questa ricerca vi sono le ragioni di tale “deriva” (in atto, ripetiamo, da un periodo medio-lungo, cioè da quasi 15 anni) e di ciò che l’ha resa possibile, con le conseguenze nella società e nell’economia, nelle attitudini degli attori del mercato e nelle variabili della domanda di beni e servizi.

Poiché il fenomeno è relativamente recente, esso non può venire reputato, almeno nelle dimensioni quantitative che ha sviluppato attualmente, come un tratto “genetico” della popolazione italiana. Un’attenta, seppur sintetica, ricostruzione storica, mostra quanto la propensione a destinare quote imponenti di reddito privato al consumo di gioco d’azzardo sia l’effetto di una rapida e massiccia costruzione di un ciclo di offerta che ha conseguito, come si vedrà nelle pagine seguenti, tutti i principali obiettivi che si sono prefissati gli investitori del settore.

 

Collegamenti con la crisi finanziaria

 

Con l’emanazione del decreto legge 6 dicembre 2011 n. 201 (“Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”) e successiva legge di conversione, sono state introdotte alcune importanti modifiche normative, la cui ratio dichiarata è fronteggiare drasticamente il pericolo di fallimento finanziario dello Stato (default) aumentando le entrate tributarie e “tagliando” costi e spese.

Stupisce, tuttavia, la vistosa assenza di previsione, su scala macroeconomica, delle implicazioni di una delle principali forme di impiego del reddito degli italiani, il gioco d’azzardo, pervenuto a numeri che non hanno corrispettivo in nessun Paese del mondo.

Se di esso si vuole, peraltro, disporre di un “conto” completo, è richiesta una valutazione di tutti i settori che lo compongono. Ai valori che risultano ufficialmente contabilizzati nel Gioco Pubblico (GP), se ne devono sommare altri due tipi, desumibili, però, da semplici stime perché “in nero”. L’universo della spesa “non registrata” si compone, da una parte, della frazione che non risulta all’amministrazione finanziaria dello Stato, perché sono stati alterati fraudolentemente i meccanismi del gioco autorizzato (disconnessione-manomissione delle slot-machine e delle VLT, stampa e vendita di tagliandi contraffatti delle “lotterie istantanee”) ed è il cosiddetto Gioco Grigio (GG); dall’altra parte vi è anche un consumo di azzardo che si svolge in totale clandestinità, il Gioco Illegale, per esempio in casinò e “bische” illegali, attraverso allibratori paralleli, durante competizioni non autorizzate e collegate a scommesse, ecc..

 

 

 

Valutare su scala macroeconomica se vi fossero delle correlazioni tra i fattori della crisi economica, la crisi fiscale dello Stato, le principali matrici della domanda interna di beni e servizi e l’andamento effettivo dei ricavi erariali dello Stato, avrebbe certamente comportato la formulazione di un quesito essenziale: in virtù di quali condizioni e di quale struttura del settore quello dei giochi d’azzardo ha “conquistato” valori monetari così elevati?

Si sarebbero dovuti considerare, per tentare una risposta, tre fattori, tutti documentabili e misurabili:

1) la riduzione costante, a fronte di un consumo d’azzardo crescente, del peso percentuale delle entrate erariali, che passano – in otto anni, tra il 2004 e il 2011 da un valore di circa 30 punti al valore di 12,4 (10,83 a valori correnti), sempre calcolato sull’ammontare lordo del “giocato”;

2) l’abbassamento del margine specifico destinato alla cosiddetta “filiera del gioco” (composta da concessionari, gestori e pubblici esercizi), che infatti passa da un valore di 15,61 punti percentuali (nel 2006) a un valore di 11,20;

3) l’ampliamento eccezionale della popolazione che impiega reddito nell’azzardo e l’incremento della spesa pro capite (raddoppiato: da 607 Euro a 1.220).

Pur collocato, sul finire del 2011, all’interno di una ricerca di “misure urgenti” per fronteggiare il baratro dei conti pubblici, un esame dei conti principali avrebbe mostrato come, in sostanza, il modello adottato per il mercato dei giochi pubblici d’azzardo fosse incentrato sull’aumento dei valori assoluti di tutte le poste, con conseguente diminuzione dei valori relativi per le entrate tributarie e per i ricavi della “filiera”.

 

nonostante si registri, nel 2012, un versamento degli italiani alla “megamacchina” (come definita da L. Gallino) dell’azzardo di 27 miliardi in più del volume del 2010, nelle casse dello Stato le entrate siano risultate di ben 700 milioni in meno.

I dati del volume di consumo di azzardo registrato in Italia procedono, dunque, in direzione opposta al senso comune, soprattutto quelli relativi all’ultimo triennio. Contro gli schemi cognitivi con i quali ci si aiuta nel formare le opinioni, nel comunicare con il prossimo, nelle mille piccole-grandi decisioni pratiche della vita quotidiana.

In altri termini, Stato e concessionari sono costretti ad incrementare l’induzione a impiegare denaro per l’alea per mezzo del continuo effetto di rinforzo della dipendenza da gioco che si ottiene con la ripetitività delle sequenze (una “batteria” di Gratta e Vinci, centinaia di reimmissioni di monete nella slot-machine, molte ore da trascorrere davanti a un terminale, getto continuo di microscommesse su eventi e così via). Infatti, se il ritmo diminuisse, si avrebbe una regressione delle somme e, di conseguenza, un effetto domino: sulle entrate dello Stato e sui volumi introitati dalla filiera.

Ma tutto questo comporta un gioco al rialzo della stessa “filiera”: più debiti (per anticipazioni, fidejussioni, strumentazione e sedi) e sequenza di ricorso al rifinanziamento dell’esposizione con le banche (per esempio con l’emissione di bond o derivati).

Dal punto di vista economico il consumo di gioco pubblico d’azzardo (per quello irregolare la stima va condotta con altri concetti) genera sia uno stock netto, sia un flusso lordo di spesa. Il primo è dato direttamente dall’ammontare della parte trattenuta di denaro riversato nelle varie modalità di gambling, cioè dalla quota che remunera la “filiera” (concessionari, distributori, gestori) e dalla quota trattenuta dall’erario. Il flusso è invece composto sia da denaro ottenuto indietro dal consumatore quando riceve premi (che successivamente egli reimmette nel gioco), che da denaro aggiuntivo che lo stesso consumatore versa per ulteriore proseguimento dell’alea.

Nel periodo 2010 – 2012 vi è stato un sensibile incremento di “spesa” che, su scala macroeconomica, ha provocato (come ben evidenziato nella ricerca), tra l’altro, i seguenti effetti:

 

  • sottrazione di domanda che possa contribuire alla crescita economica di almeno 20 miliardi nel commercio e nei servizi destinati alla vendita; equivalente a 4 miliardi nei settori direttamente produttivi (industria, agricoltura e artigianato);
  • dissipazione di un potenziale di occupazione che la spesa per giochi ha comportato, valutabile sui 90.000 addetti nel commercio e servizi e sui 25.000 addetti nell’industria.

 

Per un quadro più completo si devono valutare anche le conseguenze sociali del gioco d’azzardo; infatti, occorre tener presente un altro fattore di grande interesse: il tempo di vita “investito” nelle giocate. La quantificazione di esso è stimabile, ovviamente, solo per il Gioco Pubblico effettivamente registrato. Tra le varie offerte di GP presentate al consumatore prevalgono, in proporzioni schiaccianti, quelle dei giochi a soglia più bassa, caratterizzate dall’altissima frequenza della partecipazione dei consumatori alle varie modalità e dall’impiego crescente proprio del tempo di vita.

Il calcolo è quindi realizzato sul numero di giocate effettivamente registrate e sul tempo necessario per le varie tipologie di giochi e consente di pervenire ad un dato allarmante: 70.238.095 di giornate lavorative impegnate nell’azzardo (le giornate lavorative sono rapportate a 7 ore, media ricavata dai contratti collettivi di lavoro, come indicato dall’Istat), un valore che corrisponde (come dettagliatamente evidenziato nello studio) a quasi il 50% delle vacanze degli italiani nel 2012.

Oltre a questo, vi è da considerare gli effetti indiretti del riversarsi di una domanda di liquidità, che serve ad alimentare la propensione al gioco, sul settore che muove “concorrenza” allo Stato, e cioè sulle convenienze per l’azzardo criminale. Si deve tener presente, infatti, che parte dei consumatori di alea ricorre a prestiti e anticipi per partecipare al gambling.

 

 

Consumo lordo di gioco pro capite nelle province

 

Per quanto riguarda la situazione di Roma e del Lazio, se si analizza la distribuzione delle sale dedicate all’azzardo e degli apparecchi da gioco (Newslot e VLT) in rapporto alla popolazione residente, si ricava un indice sintetico di esposizione al gioco d’azzardo di tutte le province che appare più elevato per Frosinone (100^ posizione), seguita da Roma (97^) e Latina (92^).

Mentre province a minore rischio sarebbero Viterbo (25^) e Rieti (13^).

 

Compro oro e gioco d’azzardo

 

Come precedentemente specificato, tra gli obiettivi di questa ricerca vi è quello centrale di individuare l’impatto, e un’eventuale correlazione, tra i due fenomeni che si sono ingigantiti nel corso degli ultimi dieci anni, quali l’offerta di gioco pubblico d’azzardo e la compravendita di metalli preziosi usati e altri oggetti di valore tra privati. L’aspetto più vistoso è dato, nel primo caso, dalla distribuzione capillare di istallazioni per la partecipazione, in varie forme, all’impiego di denaro per attesa di restituzione aleatoria (“giochi di fortuna” autorizzati); nel secondo caso dalla disseminazione, nei quartieri residenziali, di “sportelli” denominati “Compro Oro”.

A quest’ultimo fenomeno è riservata un’apposita e approfondita sezione del rapporto di ricerca, che è dedicata ad inquadrarlo in uno scenario molto più ampio, dato che viene analizzato il bene “oro” e l’evoluzione che ha avuto nel tempo, da mero bene rifugio a vero e proprio strumento finanziario, fino, appunto, alla proliferazione di negozi specifici, spesso in prossimità delle sale da gioco.

Per tale ragione, viene effettuata una analisi delle sale dedicate all’azzardo con superficie uguale o superiore ai 100 mq. e la localizzazione dei numerosi punti di Compro Oro nei quartieri dei Municipi capitolini, cercando di evidenziarne la possibile correlazione.

A tale scopo, sono stati considerati anche i rapporti con la popolazione residente nei singoli Municipi di Roma Capitale (quale risulta a seguito dell’accorpamento intervenuto nel corso del 2013 che ne ha ridotto il numero, passando da 19 a 15), ed è stata misurata l’incidenza di istallazioni di gioco dedicate e la loro superficie media.

Analogamente si è proceduto per i Compro Oro, senza considerarne, però, la superficie media.

Non essendo disponibile un’informazione statistica ufficiale fruibile, si è provveduto ad elaborazioni su file elementari, prendendo in considerazione sia la superficie dedicata all’azzardo, che la popolazione residente, per arrivare alle conclusioni deducibili dalla Tabella sottostante.

 

 

PressGiochi