Di Generoso Bloise – Ennesimo capitolo, non definitivo e per vero poco condivisibile, della vicenda, ormai rocambolesca, della famigerata legge di stabilità 2015.
La Corte d’appello di Roma ha deciso l’atto di appello proposto da un centinaio di imprese di gestione nei confronti delle società concessionarie e relativo al comportamento tenuto da queste ultime circa le modalità con le quali il costo previsto dalla norma è stato ‘ribaltato’ a carico delle aziende di gestione.
Ennesimo capitolo, non definitivo e per vero poco condivisibile, della vicenda, ormai rocambolesca, della famigerata legge di stabilità 2015.
La Corte d’appello di Roma ha deciso l’atto di appello proposto da un centinaio di imprese di gestione nei confronti delle società concessionarie e relativo al comportamento tenuto da queste ultime circa le modalità con le quali il costo previsto dalla norma è stato ‘ribaltato’ a carico delle aziende di gestione.
Ne parla l’avv. Generoso Bloise sulle pagine di PressGiochi MAG.
Deve essere premesso che il contenzioso di cui si parla è stato avviato in vigenza della norma originaria (legga di stabilità 2015) che prevedeva l’obbligo di rinegoziazione degli accordi per la ripartizione del costo tra i soggetti della filiera; nel corso del giudizio è entrata in vigore la norma di interpretazione autentica che ha comunque modificato l’assetto iniziale della vicenda.
Per riassumere la questione si può sinteticamente ricordare che la legge di stabilità 2015 prevedeva per i concessionari degli apparecchi da gioco una riduzione di 500 milioni delle risorse pubbliche disponibili per la remunerazione della filiera: in pratica le concessionarie erano chiamate a versare 500 milioni in base al numero di apparecchi da ognuna collegati alla propria rete (con nulla osta di messa in esercizio) alla data del 31.12.2014.
La ripartizione del costo nella filiera era rimessa alla rinegoziazione degli accordi, in mancanza della rinegoziazione la concessionaria poteva pretendere dai gestori la consegna dell’intero importo residuo fino a quando questi non avessero rinegoziato gli accordi.
La legge di interpretazione autentica (legge di stabilità 2016) modificò in modo sostanziale la norma prevedendo che non fosse più necessaria alcuna rinegoziazione degli accordi, ma che il costo doveva essere sostenuto da ognuno dei soggetti della filiera, in misura proporzionale alla raccolta dell’anno 2015, in base agli accordi già esistenti.
La Corte d’appello di Roma, facendosi scudo della pronuncia del Tar Lazio n. 11545/2019, sostiene che, da un lato, gli appellanti non possono sostenere che la successione di legge che vi è stata abbia condotto ad una violazione del principio di irretroattività della norma tributaria, in quanto la legge di stabilità 2016 limita l’applicazione del prelievo al solo anno 2015 e, dall’altro lato, che il riferimento agli apparecchi posseduti al 31.12.2014 è solo elemento relativo alla quantificazione delle somme tra concessionari; quindi a giudizio del collegio non vi sono motivi per ritenere la norma non conforme a Costituzione per l’aspetto lamentato dagli appellanti.
Sull’aspetto relativo alla ripartizione del costo a carico dei gestori e alla ritenuta violazione dell’obbligo di buona fede in fase di rinegoziazione da parte delle società concessionarie la Corte d’appello osserva che dopo la norma di modifica la rinegoziazione non è necessaria e che comunque è a legge stessa a prevedere il criterio di riparto.
Si tratta di una motivazione poco condivisibile in quanto non tiene conto del fatto che in concreto le concessionarie hanno addebitato ai soli gestori il costo e non anche agli esercenti, che in base agli accordi già esistenti comune percepiscono una parte dei ricavi (di solito la più significativa).
Sul punto gli appellanti avevano anche sviluppato un ulteriore motivo di appello, relativo alla solidarietà passiva del c.d. ‘prelievo di stabilità’ tra gestore ed esercente.
La Corte d’appello di Roma decide secondo la ‘ragione più liquida’ il punto sostenendo che errano i gestori a sostenere che i concessionari avrebbero dovuto cercare di rivalersi anche sugli esercenti e non addebitare tutto solo ai gestori.
Sul punto pare che la Corte abbia poco compreso la domanda degli appellanti e che abbia di conseguenza affermato delle cose molto imprecise; infatti la sentenza ritiene che “…la Legge di Stabilità 2015 non è più applicabile. È infatti la legge (legge di Stabilità 2016) a stabilire che l’obbligazione di corresponsione del c.d. ‘versamento aggiuntivo’ deve avvenire “secondo il criterio (proporzionale) fissato direttamente dalla legge e non più delegato ad una rinegoziazione degli accordi contrattuali”. Questa è la condivisibile motivazione del Tribunale, per cui non è certamente ipotizzabile che i concessionari intrattengano rapporti con tutti gli esercenti, essendovi piuttosto uno stretto rapporto proprio tra questi ultimi ed i vari gestori”.
Questa parte della sentenza lascia francamente molto perplessi, anzi basiti.
Sembra che la ragione della decisione non sia la più ‘liquida’, quanto piuttosto la più… superficiale.
Probabilmente la vicenda non è finita, sia perché la pronuncia potrebbe essere impugnata, sia perché nei singoli giudizi di merito pendenti innanzi ai Tribunali il materiale prodotto in atti è tale da rendere visibile ai giudici che i concessionari hanno già rapporti contrattuali separati o congiunti con gli esercenti oltre che con i gestori, ma la cosa certa è che la sentenza, di cui qui riportiamo un primo veloce commento, non rende la materia più chiara, né dirime alcuno dei punti dolenti della complessa vicenda.
Quello che si percepisce, con una certa chiarezza, dalla lettura del testo è di certo la scarsa volontà di approfondire le molte complesse tematiche poste al vaglio dei giudici di appello, se addirittura non un certo fastidio (sempre più frequente da parte della magistratura) a doversi occupare di questioni che riguardano il poco stimato mondo del gioco pubblico.
Generoso Bloise – PressGiochi
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