27 Luglio 2024 - 04:20

Internet point, totem, schede contraffatte di AWP e Comma 7, ecco come la criminalità mafiosa controlla il gioco d’azzardo

“Il primo dato saliente è che la criminalità organizzata di stampo mafioso ha sempre ritenuto che tra i propri reati debba esserci il controllo del gioco d’azzardo, Come sapete il

28 Luglio 2022

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“Il primo dato saliente è che la criminalità organizzata di stampo mafioso ha sempre ritenuto che tra i propri reati debba esserci il controllo del gioco d’azzardo, Come sapete il gioco d’azzardo è stato sempre appannaggio delle mafie allorché veniva svolto in forme rudimentali negli anni Settanta e Ottanta, in particolare, per quanto riguarda il Salento, negli anni Ottanta. Quando noi ascoltammo, in quegli anni, i primi collaboratori di giustizia, rimanemmo veramente stupiti dall’apprendere dalla loro voce diretta l’entità degli importi che derivavano alle organizzazioni criminali dalla gestione delle bische clandestine dove si esercitavano giochi d’azzardo, allora in particolare il poker e la zecchinetta, che non sono naturalmente giochi di sola abilità, in cui le perdite erano rilevanti e la cassa guadagnava ogni sera importi rilevantissimi”.

Così riferisce in Commissione di inchiesta sul gioco illegale del Senato, Antonio De Donno, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brindisi, nonché Presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio giochi, legalità e patologie dell’Eurispes in occasione dell’audizione tenuta lo scorso 21 aprile, il cui resoconto viene reso noto oggi dalla Commissione che si avvia, dopo lo scioglimento delle Camere, a redigere la relazione finale del lavoro svolto in questi mesi.

“Questa fase – prosegue De Donno – un po’ tradizionale degli appetiti mafiosi nel settore è stata poi travolta e scavalcata dall’evoluzione del sistema, che è imperniato ormai da alcuni anni sul meccanismo della concessione di Stato. Quindi, i giochi che si sono andati aggiornando ed evolvendo insieme al sistema delle scommesse ormai hanno raggiunto, grazie anche alla tecnologia più recente, dimensioni completamente diverse da quelle classiche della bisca clandestina.

Un sistema imperniato sulla logica della concessione di Stato, fortemente centralizzato, in cui è lo Stato a gestire, direttamente o tramite concessionari, il sistema del gioco e delle scommesse, prevedendo, tra l’altro, che i concessionari debbano essere titolari di licenze ex articolo 88 TULPS, costituisce un meccanismo di protezione del settore rispetto alle infiltrazioni di tipo mafioso. Questo naturalmente in astratto, perché poi in concreto, quando le mafie hanno capito il grosso business che ruota intorno al sistema del gioco e delle scommesse pubbliche, hanno cercato di inserirsi, nei modi che cercherò di descrivere sinteticamente almeno per quanto riguarda la mia più diretta esperienza.

Innanzi tutto, le mafie hanno iniziato a porsi il problema di come penetrare in un settore fortemente presidiato dallo Stato; ciò è avvenuto in una prima fase, almeno per quanto riguarda la mia esperienza investigativa, utilizzando il meccanismo degli internet point. Come sapete si sono diffusi negli anni Novanta in Italia gli internet point, luoghi cioè in cui era possibile affittare reti telematiche, meccanismi e strumenti telematici, per la comunicazione a distanza. Quando siamo andati a monitorare questi internet point che si erano veramente moltiplicati, verificandone le modalità operative tramite la Guardia di finanza – perché originariamente vi era un controllo di carattere fiscale – ci siamo accorti che gran parte di essi svolgeva in realtà un’attività di intermediazione verso operatori stranieri, privi di concessione in Italia, evitando in questo modo il meccanismo del sistema concessorio. Come avveniva tutto ciò: il titolare dell’internet point doveva limitarsi a concedere al soggetto interessato la postazione, disinteressandosi degli accessi telematici del soggetto richiedente. In realtà abbiamo notato che i titolari degli internet point erano titolari anche di un conto gioco presso un operatore straniero che utilizzavano per raccogliere scommesse e pagare vincite, riconoscendo naturalmente la scommessa, il premio, allo scommettitore estero, al titolare del sistema sostanzialmente estero, non richiedente in Italia, e detraendo una provvigione.

Fin qui il tutto rientrava in una mera violazione dell’articolo 4 della legge n. 401 del 1989, che vieta espressamente l’intermediazione e la raccolta delle scommesse. La circostanza, però, che una parte – non tutti naturalmente – di questi titolari di internet point risultassero collegati direttamente o indirettamente a esponenti di gruppi criminali mafiosi ha fatto scattare un campanello d’allarme che naturalmente ci ha indotto ad approfondire le modalità di gestione; e così, abbiamo visto che buona parte di questi internet point erano inseriti in un vero meccanismo organizzativo.

Qui nasce una questione complessa, di carattere giuridico, che le signorie vostre probabilmente avranno già affrontato e conosceranno, perché l’esistenza di bookmaker stranieri privi di concessione in Italia per svariate ragioni ha costituito oggetto di un vasto travaglio giuridico sia nella giurisprudenza interna, di merito e di legittimità, sia nella giurisprudenza della Corte europea. La Corte di giustizia europea ha più volte segnalato delle irregolarità nei bandi italiani che avevano appaltato le concessioni per la raccolta di giochi e scommesse. In particolare, con le sentenze Placanica del 2007 e Costa e Cifone del 2012, pur riconoscendo la validità del sistema concessorio e la validità di un sistema che prevedeva, in aggiunta alla concessione, la licenza di cui all’articolo 88 del TULPS, ha tuttavia messo in guardia il legislatore italiano da possibili discriminazioni che potevano verificarsi nella concreta emanazione dei bandi o degli schemi di contratto con i concessionari, stabilendo dei principi a cui il legislatore deve attenersi, che sono quelli di proporzionalità, di tutela della libertà di stabilimento degli investitori stranieri e di rispetto della libera concorrenza nell’ambito del mercato europeo.

Questi limiti imposti dalla legislazione europea, secondo la giurisprudenza della Corte, sarebbero stati violati in alcune circostanze, in particolare nei bandi “Bersani”, che avevano escluso dalla partecipazione alle gare di concessione delle società quotate nei mercati regolamentati. È stata inoltre evidenziata, nella copiosa giurisprudenza che si è fatta strada medio tempore, l’esistenza di limitazioni poste negli schemi di contratto o nei bandi che in qualche modo avevano pregiudicato il diritto di imprese estere di partecipare, di essere ammesse alle concessioni italiane.

Su questo dibattito non mi pronuncio perché è ancora aperta la questione interpretativa, anche se devo riconoscere che vi è ormai una strada, un solco, tracciato chiaramente in modo evidente dalla giurisprudenza europea, che dovrebbe indurre il legislatore, il Governo, più che altro al momento dell’emanazione dei bandi, a porre la massima attenzione a rispettare i criteri dettati da questa giurisprudenza fortemente incisiva, per evitare che ci vengano contestate violazioni del diritto comunitario e quindi si aprano varchi che possano consentire ad imprese non operanti sul territorio nazionale di agire giustificatamente dal punto di vista europeo, in assenza della concessione.

Io insisto molto sul sistema concessorio per una questione che è fortemente radicata. Anche le esperienze non mie, cioè la valutazione del complessivo compendio investigativo che si è svolto nel Paese, a giudicare anche dalle dichiarazioni rese dal Procuratore nazionale antimafia, dalla DIA e dalla Guardia di finanza in sede di resoconto, dimostrano palesemente il grande interesse delle organizzazioni criminali per la gestione del sistema gioco. Consideriamo che si tratta di un sistema che produce un volume d’affari che secondo gli ultimi dati ammonta a oltre 105 miliardi di euro; parliamo quindi di cifre assolutamente consistenti, che producono un gettito erariale superiore a 10 miliardi di euro, e che quindi ha un grosso interesse per lo Stato, il quale ha interesse a regolare il settore anche a fini fiscali oltre che di tutela rispetto ad infiltrazioni criminali, ma è anche un grosso business per le organizzazioni criminali.

Oltre alle esperienze degli internet point che ho ricordato in precedenza, le organizzazioni criminali hanno avuto un ruolo importante nei tentativi di infiltrazione allorché, come abbiamo notato nel corso di alcune indagini, alcuni soggetti di spessore criminale iniziavano a prendere accordi con i clan. Voi sapete che i clan operano in regime monopolistico: chiunque voglia operare nelle attività illecite, e talora anche lecite, nei loro territori deve riconoscere un pensiero, un punto, un aggio alle organizzazioni criminali. Ebbene, alcuni soggetti di spessore criminale – questo risultava dagli spunti investigativi di alcuni anni fa – iniziavano ad accordarsi con i clan mafiosi per ottenere l’esclusiva nel piazzamento di apparecchi di gioco leciti, imponendone l’acquisto agli operatori. In questo modo, detti soggetti riuscivano ad ottenere una sorta di monopolio nella vendita degli apparecchi del gioco riconoscendo in cambio una percentuale degli introiti – il cosiddetto punto o pensiero – ai clan mafiosi. Il clan mafioso veniva così a beneficiare direttamente di una quota dei proventi del sistema di gioco e scommessa; e questo era già un passo avanti, perché nella sostanza comportava un interessamento diretto del clan mafioso nei confronti del settore che veniva in questo modo fortemente inquinato, anche se ancora sotto il mero profilo dell’imposizione dell’acquisto di determinati apparecchi agli esercenti. Parliamo di quelli che operano in strutture tipo generalista, quindi non di esercizi dedicati ma di tabacchini, di bar, quelli che hanno le slot machine o i vecchi apparecchi di un tempo. Si trattava comunque di un’imposizione pesante, di un primo forte connubio tra soggetti criminali interessati alla gestione del gioco e clan mafiosi.

Il sistema si è poi evoluto, sempre con soggetti di spessore criminale perché raramente l’iniziativa promana dal clan mafioso, per una ragione semplicissima: il clan mafioso sa bene che non può esporsi direttamente in un sistema che è regolato attraverso le concessioni di Stato, ha bisogno di soggetti puliti che operino per suo conto, e quindi è disponibile ad accettare forme di collaborazione esterna.

La fase successiva, quindi, è quella, che abbiamo notato, di soggetti criminali, collegati sempre con clan mafiosi, che iniziano ad inserire sul mercato, talora imponendone l’acquisto ai cosiddetti esercenti generalisti, apparecchi in grado di “bypassare” con apposito marchingegno il collegamento obbligatorio ai siti autorizzati dal Monopolio di Stato. Il meccanismo è quello dei cosiddetti totem, che cominciano ad operare già dalla metà degli anni Duemila: si tratta di apparecchi apparentemente innocui che però, attraverso un marchingegno apposito, consentono all’operatore di accedere a siti illeciti. Come sapete le macchine terminali che vogliono accedere a siti di gioco devono collegarsi obbligatoriamente ai siti imposti dall’AMS, dai Monopoli di Stato; i totem permettono invece di “bypassare” questo collegamento obbligatorio consentendo al giocatore di accedere a siti non autorizzati su cui si può effettuare sia la scommessa sia il gioco, ovviamente d’azzardo. Anche qui le organizzazioni criminali di stampo mafioso sono risultate interessate, perché parliamo di un’attività totalmente illecita e generalmente le attività illecite che si svolgono su un territorio devono essere autorizzate dai clan mafiosi che beneficiano sempre di una quota dei proventi delle stesse. Quindi, vi è un passaggio ulteriore verso un grado di interferenza, di coinvolgimento, del clan mafioso nel settore del gioco e delle scommesse che è particolarmente significativo.

Finora abbiamo parlato degli apparecchi che hanno un collegamento obbligatorio, quindi di quelli di cui all’articolo 110, comma 6, lettera b). Abbiamo poi notato un altro meccanismo fraudolento, di cui sono portatori sempre soggetti di spessore criminale collegati con i clan mafiosi, che si riferisce agli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 2, lettera a), i cosiddetti AWP, le new slot sostanzialmente, mentre quelli di cui alla lettera b) sono le videolottery. In pratica, si tratta di macchine tradizionali che sono attivate da una scheda di gioco. Soggetti di spessore criminale, quasi sempre con clan mafiosi, hanno iniziato ad immettere sul mercato e a vendere agli esercenti schede contraffatte che consentono sostanzialmente di modificare, nel senso di ridurre, la registrazione delle giocate, in questo modo consentendo all’esercente di beneficiare di un doppio vantaggio: la mancata registrazione delle giocate si traduce infatti in una ridotta registrazione dei volumi di gioco e quindi anche di una ridotta imposizione fiscale in danno ovviamente dell’erario.

Un altro meccanismo altrettanto fraudolento riguarda – sempre secondo gli spunti investigativi attivati all’epoca – i giochi previsti sempre dall’articolo 110 del TULPS, però al comma 7, che prevede giochi da intrattenimento. Si tratta in questo caso di giochi assolutamente non illeciti e non d’azzardo, perché non prevedono una vincita in denaro e ammesso che la prevedano è assolutamente irrisoria, quindi sono del tutto leciti e non sanzionati. Anche lì, però, sono giochi attivati con scheda e quindi abbiamo notato che in alcuni casi soggetti criminali interessati, sempre d’intesa con organizzazioni mafiose, sono riusciti ad alterare le schede, ad inserire delle schede gioco che consentono sostanzialmente di accedere, attraverso apparecchi di mero intrattenimento, al gioco d’azzardo illegale.

In questo modo si completa un’aggressione sistematica e di insieme al sistema del gioco da parte di soggetti criminali che hanno quasi sempre alle spalle – perché la mafia, ripeto, non opera direttamente in questo settore – organizzazioni criminali che accettano, consentono e beneficiano di proventi dell’attività illecita che si va in questo modo ad espletare.

Non entro nel merito delle grandi indagini svolte poi in ambito nazionale, perché sono tantissime e più o meno replicano lo schema che ho sinora descritto, riferito ad organizzazioni criminali diverse dalla Puglia.

Sul settore del gioco sono stati sentiti numerosi collaboratori di giustizia, anche recentemente. Ovviamente non posso entrare nel dettaglio delle loro dichiarazioni perché sono nella titolarità di altro ufficio; più o meno, come sono stati sentiti in altri territori italiani, l’impressione che si ha è che il sistema che abbiamo ricostruito con l’attività investigativa in qualche modo abbia un riscontro nelle dinamiche interne ai clan mafiosi. Questo rafforza il convincimento della necessità di insistere sul sistema concessorio che rimane un grosso presidio con riferimento a questa esigenza di impedire una costante e proliferante presenza mafiosa, un tentativo di infiltrazione mafiosa, in settori in cui, ripeto, gli interessi economici sono rilevantissimi.

Ovviamente come magistrato il mio compito si esaurisce qui, in una visione di insieme del fenomeno con delle caratteristiche che più o meno sono quelle che ho descritto. È chiaro che poi ci sono risvolti ulteriori che sono anche molto complessi nella materia del gioco pubblico, perché siamo consapevoli un po’ tutti che una eccessiva offerta del gioco pubblico ha un ritorno negativo in termini di problematicità sotto il profilo della ludopatia o del rischio di esposizione alla ludopatia. Quindi, un problema nel problema.

Al di là dell’esigenza di contrastare lo strapotere o l’infiltrazione mafiosa nel settore, immaginate cosa potrebbe mai accadere se il settore non fosse presidiato da un sistema concessorio fortemente controllato dallo Stato: si aprirebbe nuovamente uno spazio enorme per la gestione mafiosa del sistema. Sappiamo però che il problema della ludopatia è un problema diffuso, molto avvertito nei territori, e questo ha dato poi origine ad una necessità di intesa tra lo Stato e le Regioni, su cui ricade l’effetto negativo della eccessiva offerta di gioco. Si tratta di una problematica molto complessa e articolata che abbiamo affrontato nell’ambito dell’Osservatorio di Eurispes attraverso uno studio di équipe che ci ha portato poi ad esaminare alcune legislazioni regionali. Sinora abbiamo compiuto un lavoro analitico in Puglia, nel Lazio, in Piemonte e in Sardegna; poi il Covid ci ha un po’ fermati, perché siamo stati tutti un po’ costretti ad una fase di stasi per effetto della pandemia.

Le analisi che abbiamo posto in essere ci hanno consentito di approfondire il problema del rapporto tra offerta di gioco pubblico e ludopatia, e naturalmente anche di affrontare il problema di quello che molte legislazioni regionali avevano approntato come rimedio: il distanziometro, la riduzione degli orari di accesso al gioco pubblico, la restrizione e concentrazione degli orari di accesso. Su questo vi è anche uno studio molto importante dell’Istituto superiore di sanità, un’analisi molto compiuta, redatta nel 2018: l’Istituto superiore di sanità ha fornito dati interessanti che noi come Eurispes abbiamo poi valutato e valorizzato nell’ulteriore analisi che abbiamo poi posto in essere sui territori” ha concluso il Procuratore.


“E’ chiaro – ha proseguito il Procuratore De Donno rispondendo alle domande dei commissari – che il gioco d’azzardo è bene gestirlo e gestirlo bene, perché è un’esigenza purtroppo insopprimibile. Noi abbiamo verificato che la propensione al gioco è una tendenza che pervade gran parte della popolazione. Ora, è chiaro che gran parte della popolazione è composta da giocatori sociali, quelli che noi chiamiamo giocatori non gambling, quindi non problematici, che si limitano a giocare una tantum. Il problema vero del gioco d’azzardo, quindi, è di svolgere una adeguata attività di prevenzione e di informazione per chi si avvicina al gioco, perché è chiaro che occorre un’adeguata informazione, un’adeguata preparazione.

Sappiamo che le legislazioni regionali prevedono addirittura degli osservatori e delle strutture che devono informare bene la popolazione, in modo da prevenire il rischio di esposizione alla ludopatia. L’informazione è importante, perché soltanto conoscendo esattamente il rapporto tra possibilità di vincita e sistema gioco un giocatore può trattenersi dal continuare a giocare, quindi stabilire dei criteri di informazione corretta per chi si approssima al gioco è assolutamente fondamentale per non rischiare un utilizzo strumentale del gioco.

Per quanto riguarda gli strumenti che erano o che sono fondamentali per poter intervenire nel settore, in realtà li abbiamo. Già alcuni anni fa il Parlamento venne incontro ad una mia pressante richiesta di innalzare il limite di pena del reato di cui all’articolo 4 della legge n. 401 del 1989, che all’epoca era di solo 4 anni e non consentiva l’intercettazione delle conversazioni, ma più che altro dei flussi telematici. In realtà il limite è stato poi portato a 5 anni e ciò consente appunto questo importantissimo strumento che è l’intercettazione dei flussi telematici attraverso i quali soltanto, spesso, si può verificare che è stato bypassato il collegamento ai siti gioco imposti dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Per cui io penso che quelli che abbiamo attualmente siano strumenti incisivi.

Quello che crea delle difficoltà, lo vediamo dalle sentenze dei giudici, è la farraginosità del sistema; un sistema che è stato reso complesso da una stratificazione normativa molto elaborata per fare fronte a un’emergenza, quella dell’aumento del volume di gioco e delle ludopatie, e che ovviamente è di interpretazione contrastante con il sistema normativo che la Corte spesso ci ha fornito. Quindi vi è un’incertezza normativa nella ricostruzione del sistema che qualche volta si ritorce a danno dell’efficacia della investigazione. Forse un testo unico in questa materia, che ricostruisca esattamente i principi, che detti i principi assolutamente stringenti della redazione dei bandi e dei contratti di gioco con i concessionari, renderebbe l’attività investigativa molto più semplice.

Per quanto riguarda invece i sistemi per aggirare le prescrizioni dell’articolo 110, comma 6, lettera a) e dell’articolo 110, comma 7, si tratta di meccanismi complessi.

Si tratta sostanzialmente di schede contraffatte che non hanno caratteristiche omogenee, questo ve lo posso assicurare. Ecco perché non posso dare una risposta dettagliata. In realtà, per poter ricostruire il sistema abbiamo dovuto ricorrere in corso di indagine a perizie e a consulenze tecniche molto complesse che ci hanno consentito di verificare, volta per volta, le modalità attraverso cui le schede di gioco venivano attivate e quali erano le relative modalità operative. Abbiamo dovuto rivolgerci a tecnici specialisti del settore, perché non tutti erano in grado di ricostruire questo sistema. Quindi, mi scuserete se non entro nel dettaglio della modalità, perché è una modalità che può essere differente volta per volta e che è legata all’abilità del tecnico che è riuscito a contraffare la scheda.

Tenete conto che su questa materia della contraffazione delle schede vi è un interesse molto forte di tutte le mafie, tant’è che sono state divulgate informazioni di stampa riguardanti collaboratori di giustizia calabresi che hanno reso indicazioni precise su questo settore. Però è un settore talmente tecnico che l’unica cosa che posso dire è che il sistema consente sostanzialmente l’attivazione su una macchina che è neutra, perché quando contiene una scheda la macchina è assolutamente neutra. Se ci si mette una scheda per un gioco da intrattenimento, sul video esce un gioco da intrattenimento; se si attiva una seconda scheda nascosta che invece fa comparire il gioco d’azzardo del poker, è chiaro che in quel momento si gioca al gioco d’azzardo del poker. Il sistema è più o meno questo. Ma il metodo di contraffazione e di attivazione delle schede è complesso e può variare volta per volta.

È molto difficile che un concessionario di Stato che esercita giochi e scommesse e ha investito somme di denaro rilevanti nella gestione del servizio poi acceda al gioco illecito delle videolottery. Si tratta quasi sempre, invece, di esercizi generalisti su cui sono installate delle videolottery che sono collegate obbligatoriamente, tuttavia, all’AMS. Questo è il meccanismo.

Benissimo. Anche gli aspetti relativi agli utilizzi delle varie macchine di cui all’articolo 110, comma 6, lettere a) e b) e comma 7, potrebbe essere oggetto di maggiore approfondimento nella successiva audizione: noi lavoriamo in équipe, ognuno di noi è specializzato in un settore e questa specializzazione poi ovviamente si riverbera nel grado di approfondimento che possiamo offrire. Io mi sono limitato alla mia esperienza personale, ma ovviamente in una valutazione d’insieme la risposta potrebbe essere più approfondita.

Per quanto riguarda invece il sistema europeo, mi riporto a quello che ho già detto, pensavo di aver già risposto a questo: un riordino della materia è fondamentale. Se mi dovessi soffermare su quella che è la stratificazione normativa che regola questo settore, sia interna sia internazionale, si aprirebbero spazi enormi di interpretazione difforme, quindi io penso che sia il momento di rendere organica questa materia, renderla assolutamente organica, rafforzando il presidio dei concessionari ma sostanzialmente risolvendo principalmente il conflitto latente tra indicazioni che promanano dalla giurisprudenza europea e sistema normativo italiano. Io penso che questo sia l’unico modo per uscirne fuori. Ovviamente non posso dare indicazioni sul merito, perché sarebbe molto complesso. La lettura della giurisprudenza europea deve dare lo stimolo, nel momento in cui si fanno i bandi, a rispettare tutti i criteri che sono stati indicati, che sono tanti. Se dovessimo soffermarci un attimo di più su quelli che sono i principi elaborati andando a riprendere un poco le cose fondamentali, vedreste che non è semplice” ha concluso De Donno.

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