27 Luglio 2024 - 07:34

Poker: in ADM si torna a parlare di liquidità condivisa

Negli uffici dei Monopoli si è parlato di nuovo di liquidità condivisa. Non è successo niente di nuovo, in realtà, e non è stata presa alcuna decisione. Ma lo scorso

04 Dicembre 2023

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Negli uffici dei Monopoli si è parlato di nuovo di liquidità condivisa.

Non è successo niente di nuovo, in realtà, e non è stata presa alcuna decisione. Ma lo scorso settembre, i rappresentanti di una società maltese, la Nsus ltd, hanno incontrato i vertici dell’Adm per verificare la possibilità di far giocare i pokeristi italiani su piattaforme aperte, cioè accessibili da diversi Paesi, in modo da potersi sfidare anche con chi risiede fuori dall’Italia.

Se ne parla da almeno 10 anni ma la speranza si era fatta concreta solo nel 2017. In quell’anno, a Roma è stato siglato un accordo tra le authority di Italia, Francia, Portogallo e Spagna per attuare questa modalità che viene definita, appunto, liquidità condivisa. Ma quando si è trattato di metterlo in pratica, l’Italia si è tirata indietro. Oggi quell’accordo funziona per gli altri tre Paesi mentre per l’Italia, dopo tutti i cambiamenti che abbiamo avuto ai vertici, sia nella politica nazionale che nelle varie strutture amministrative che hanno competenza sul gioco, sembra che nessuno abbia voglia di parlarne. Tranne gli appassionati di poker, naturalmente, per i quali limitarsi a giocare con i propri connazionali è poco divertente.

I più ostili al gioco d’azzardo potrebbero essere contenti: se a giocare con i soli connazionali, gli italiani non si divertono, rinunceranno e troveranno altri modi per divertirsi. Ma le cose non vanno così.

L’unica conseguenza delle piattaforme chiuse, cioè limitate agli utenti di un singolo Paese, è che molti appassionati vanno a giocare sulle piattaforme estere, quelle non autorizzate. Con il doppio danno: per l’erario, com’è facile intuire, ma anche per lo stesso giocatore, il quale dovrebbe essere più tutelato sui siti concessionari Adm.

Ed è proprio per contrastare la concorrenza dei cosiddetti siti .com che i Monopoli avevano avuto il via libera, cinque anni fa, a sottoscrivere l’accordo sulla liquidità condivisa. Erano stati verificati tutti gli aspetti critici di questa decisione. I timori erano tanti, soprattutto in merito all’aspetto fiscale e i rischi di riciclaggio. Quando si aprono le frontiere nel tavolo da poker, bisogna stabilire a chi vanno pagate le tasse che derivano da ogni singola partita o torneo. E, soprattutto, come vengono effettuati i controlli. Il riciclaggio, inoltre, potrebbe essere più semplice quando il denaro passa le frontiere, anche se all’interno dell’Unione europea.

Tutti problemi che erano stati già affrontati e risolti. Tant’è che i tre Paesi con i quali l’Italia aveva fatto l’accordo, lo hanno realizzato tra di loro senza problemi.

Ma anche la stessa Nsus opera già con liquidità condivisa. In Europa, i suoi giocatori accedono a un’unica piattaforma aperta a Germania, Olanda, Malta e Regno Unito e anche agli altri Paesi nei quali è presente, come la Corea del Sud e l’Irlanda. Anzi, la società, che è nata in Canada dove ha il suo quartier generale, ha scelto di operare solo dove c’è liquidità condivisa tra diversi Paesi. Quindi,

In Europa, solo la Germania ha una infrastruttura informatica che si può paragonare a quella italiana di Sogei, ovvero in grado di monitorare l’attività del gioco on line sulle piattaforme autorizzate. È grazie ai sistemi tedeschi, e in parte anche dei Paesi Bassi, che si possono verificare i movimenti di denaro in modo da prevenire il riciclaggio e suddividere le tasse sui proventi fra i vari Paesi.

La suddivisione non è proprio semplicissima non solo perché ogni Paese ha delle diverse aliquote ma sono diversi anche i criteri di tassazione. Tutti prevedono le tasse sui profitti, che vengono calcolate e pagate una volta l’anno, quando viene presentato il bilancio. Queste tasse, quindi, vengono pagate nel Paese in cui si trova una sede della società. Poi c’è la gaming tax, una tassazione alla fonte come in Italia, che invece viene pagata in ciascun Paese in cui viene generata la puntata. Anche se in quel Paese la società non ha una propria filiale ma, comunque, è in possesso di una licenza.

A rifiutare la liquidità condivisa sembra essere rimasta solo l’Italia, tra i Paesi regolamentati.

Il brand più noto in quest’ambito, Pokerstars, consente di accedere alla stessa piattaforma a giocatori di tutti i Paesi nei quali opera con licenza. Tranne che per l’Italia, per la quale ha una piattaforma riservata ai soli italiani.

Ma in cosa consistono i profitti di un operatore di poker? Da cosa guadagna?

Bisogna distinguere fra il poker a torneo e quello cosiddetto cash. Nel primo caso, i giocatori versano una quota iniziale per ciascun torneo, uguale per tutti, e all’operatore va una percentuale sulla quale poi dovrà versare a sua volta una percentuale allo Stato come gaming tax. Nel caso del poker cash, per il quale le somme che i giocatori puntano possono crescere a mano a mano che ogni partita procede, all’operatore che mette a disposizione la piattaforma di gioco viene riconosciuta una percentuale sull’ammontare del montepremi. Quindi, a pagarla è il giocatore che vince.

Ma che speranze ci sono che effettivamente i pokeristi italiani possano accedere a piattaforme internazionali in maniera legale e garantita dai Monopoli?

Nell’immediato, ben poche. Oltre alle perplessità che erano state avanzate per anni in merito ai rischi di riciclaggio e di perdite per il fisco, a non vedere di buon occhio quest’apertura sono anche alcuni operatori che la vedono come un’apertura alla concorrenza estera. Non ci sono posizioni ufficiali, ma è convinzione degli stessi appassionati che a spingere per mantenere questa chiusura sia proprio chi offre il gioco del poker legale in Italia. Anche se i numeri dicono che in questo modo il gioco ha sempre meno successo fra gli italiani. Almeno, sulle piattaforme autorizzate.

 

dall’ultima edizione di PressGiochi MAG