21 Maggio 2024 - 01:09

Avv. Cardia a PressGiochi: “Contro il disturbo da gioco d’azzardo, distanze e limitazioni orarie sono inefficaci e controproducenti”

Proprio il tema del riordino del settore del gioco pubblico e quello delle distanze sono attentamente analizzati nell’ultima pubblicazione dell’avv. Cardia dal titolo: “Il gioco pubblico in Italia: riordino, questione territoriale e cortocircuiti istituzionali”

30 Aprile 2024

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“Ammesso che non ci si riesca a liberare dal concetto di distanze, dire 250 metri è sicuramente meglio che dire 500 metri, perché i 500 metri certamente determinano effetto espulsivo. Così come la misura deve essere pedonale non il raggio, perché gli utenti non volano. Ma questo non significa che la misura indicata sia corretta. Occorre che sia previsto un principio di presidio capillare che consenta di mettere in discussione e di paralizzare quelle misure che non assicurino una presenza capillare ma solo offerte marginalizzate su porzioni di territori limitati”.

Con queste parole Geronimo Cardia, presidente di Acadi, ci parla della possibilità che nel processo di riordino del gioco fisico si introduca ancora lo strumento delle distanze tra punti gioco e luoghi sensibili, oggetto di valutazione del tavolo tecnico che in Conferenza unificata sta lavorando ad una proposta condivisa tra Governo ed enti locali.

Proprio il tema del riordino del settore del gioco pubblico e quello delle distanze sono attentamente analizzati nell’ultima pubblicazione dell’avvocato cassazionista che ha dedicato anni di ricerche, analisi giuridiche e battaglie legati proprio alla questione territoriale.

Nel testo dal titolo: “Il gioco pubblico in Italia: riordino, questione territoriale e cortocircuiti istituzionali”, oltre all’inquadramento delle tematiche, è possibile consultare l’analisi di più di 140 casi concreti, riguardanti anche distanziometri e orari locali, e le tavole urbanistiche di oltre 70 città italiane, con evidenza degli effetti delle misure applicate.

Quando e come ha iniziato ad occuparsi di quella che oggi Lei definisce la questione territoriale?

“Seguiamo la questione territoriale da quando è sorta, dal 2011. Da quando abbiamo cominciato a capire in quali luoghi e in quali orari alcuni operatori del gioco pubblico avrebbero potuto lavorare ai sensi delle nuove leggi regionali e dei nuovi regolanti comunali che, come noto, sono stati concepiti dal 2010. Nel 2016 ho pubblicato una prima raccolta degli articoli di analisi/denuncia del fenomeno, con circa quaranta tavole finali di perizie urbanistiche redatte nel tempo per la dimostrazione dell’effetto espulsivo delle norme richiamate. Il testo, dal titolo “La Questione Territoriale – Il proibizionismo inflitto al gioco legale dalla normativa locale”, recava la prefazione del Sottosegretario del Ministero dell’Economia e delle Finanze dell’epoca con delega ai giochi che precisava quanto l’elaborato costituisse un quadro fedele del contesto. Da allora abbiamo continuato a seguire casi di distanze ed orari di regioni provincie e comuni, analizzando altri 140 casi specifici e 70 perizie urbanistiche. Oggi il punto della situazione è d’obbligo per l’attualità del tema del riordino del gioco pubblico distribuito sui territori”.

Tra i vari limiti che vengono applicati dagli enti territoriali ad alcune verticali di gioco, quello delle distanze è sicuramente quello più contestato e dannoso. Nel suo libro, si mettono in rassegna decine di leggi regionali e regolamenti comunali con i quali si è scontrato in questi anni. Qual è il caso più eclatante che ha incontrato nella sua esperienza e di cui ci racconta nel volume?

“In realtà, oltre ai distanziometri, le limitazioni orarie hanno a loro volta messo in ginocchio numerosissimi punti di gioco specializzati e generalisti che distribuiscono principalmente gli apparecchi. E ciò perché quando ad un esercizio commerciale si chiede di lavorare a singhiozzo e per poche ore al giorno, è evidente che gli si impedisca di stare aperti a sufficienza per pagare i costi di gestione. Ma venendo ai distanziometri, forse non c’è un caso più eclatante degli altri. La cosa eclatante è che la sintesi di tutte le analisi dei distanziometri porta a dire che sostanzialmente tutti i distanziometri concepiti e mappati hanno presentato percentuali di interdizione dei territori prossime al 100%. E ciò, al punto di paralizzare su base nazionale lo svolgimento delle gare, come poi ha avuto modo di sottolineare anche il Consiglio di Stato al MEF nel 2018. Il volume racconta di tanti casi di percentuali impossibili e delle motivazioni giuridiche per le quali esse di fatto, da un lato, non raggiungono lo scopo e, dall’atro, determinano diversi profili di illegittimità”.

E’ riuscito a contare il numero di amministratori che sono intervenuti sulla questione dei giochi?

“Nel libro facciamo l’elenco e l’analisi di tutte le leggi regionali e provinciali, comprese quelle delle realtà che sono tornate sui loro passi, e l’elenco di moltissimi provvedimenti comunali. Questi sono anche riepilogati nella prima parte in cui diamo la lettura complessiva del fenomeno per mettere nelle condizione chiunque si avvicini al tema per la prima volta di avere contezza della sua complessità ma anche delle sue radici comuni”.

Negli anni che idea si è fatto delle ragioni che spingono Comuni e Regioni a vietare il gioco?

“L’obiettivo delle amministrazioni è nobile: individuare misure per contrastare il disturbo da gioco d’azzardo. Ma gli strumenti adottati (distanze e limitazioni orarie, peraltro di fatto sostanzialmente espulsive) sono inefficaci se non controproducenti. Lo dicono, oltre che gli studi scientifici, anche i numeri del gioco pubblico che sono cambiati negli anni. Ottime invece le altre politiche attive di contrasto al DGA previste dagli enti del territorio che, in alcune regioni, sono state adottate per la prevenzione e cura facendo sistema tra gli attori del territorio. Nel libro ne diamo conto dettagliatamente”.

In che percentuale le distanze, secondo la sua opinione, possono incidere nel ridurre il rischio di gioco patologico?

“Sulla inidoneità delle distanze a perseguire l’obiettivo di contrasto al DGA quale metodo ne diamo conto in diversi punti di approfondimento, anche richiamando diversi studi scientifici che nel tempo si sono succeduti. Nella prima parte spieghiamo anche il perché: gli utenti ancor prima di frequentare un luogo sensibile, ammesso che i numerosi individuati abbiano effettivamente la natura di luogo sensibile ai fini che interessano, frequentano anzitutto la propria abitazione oggettivamente non distanziabile. Ma questa è solo una delle tante criticità descritte nel libro. È anche per queste che prendono quota diverse misure, alternative e non, pure descritte nel libro, dalle quali non si può prescindere per una riforma efficace”.

Nella trattativa che si sta realizzando tra MEF e Enti locali in Conferenza Unificata si parla ancora di distanze. Come giudica la proposta che fissa a 250 metri le distanze dai luoghi sensibili?

“Peccato si parli di trattativa. Dovrebbe essere una valutazione congiunta che parta dalla consapevolezza dell’insuccesso conclamato e delle incongruenze delle misure fino ad oggi adottate, che passi per lo sforzo di riduzione dell’offerta degli apparecchi imposto dall’Intesa Stato Regioni del 2017, oggi già raggiunto, che consideri gli effetti distorsivi sul piano sanitario e fiscale della applicazione discriminatoria tra prodotti, e giunga ad una strategia tanto globale quanto sostenibile di contrasto al DGA che veda gli operatori tutti protagonisti nel contribuire alle misure di contrasto. Il tutto senza dimenticare la grande esperienza della rete generalista di chi è per lavoro abituato a gestire prodotti altrettanto delicati, quali tabacchi e superalcolici, e che per il gioco potrebbe anche essere ulteriormente formato. Ammesso che non ci si riesca a liberare dal concetto di distanze, dire 250 metri è sicuramente meglio che dire 500 metri, perché i 500 metri certamente determinano effetto espulsivo. Così come la misura deve essere pedonale non il raggio, perché gli utenti non volano. Ma questo non significa che la misura indicata sia corretta. Occorre, diciamo anche questo nel libro, che sia previsto un principio di presidio capillare che consenta di mettere in discussione e di paralizzare quelle misure che non assicurino una presenza capillare ma solo offerte marginalizzate su porzioni di territori limitati”.

Non solo: nella proposta di ADM si introduce anche un secondo concetto di distanza, quello che incide sulla densità dei punti di gioco. Qual è il suo parere?

“La valutazione la condividiamo, ne scriviamo da anni e nel libro è ben focalizzato il punto sul criterio distanziale TRA punti piuttosto che DA luoghi sensibili. Le motivazioni sono diverse, tutte menzionate; tra queste ricordiamo che il criterio è ben collaudato da anni in settori merceologici altrettanto delicati quali la distribuzione dei tabacchi”.

In conclusione, il libro ‘Il gioco pubblico in Italia: riordino, questione territoriale e cortocircuiti istituzionali’ fornisce anche delle soluzioni che potrebbero essere adottate nel processo di riordino?

“Dopo avere evidenziato i numerosi cortocircuiti istituzionali di parlamenti, governi, sedi giudiziarie nazionali ed unionali che in questi anni di provvedimenti non hanno impedito il trascinamento del problema sino ai giorni nostri, il libro porta inevitabilmente e senza ipocrisie ad una maggiore consapevolezza del problema, delle sue numerose sfaccettature, delle diverse tipologie di prodotti e di forme di distribuzione, oltre che delle chiare e semplici possibili vie di uscita. Il tutto con l’unico obiettivo di perseguire non interessi di parte ma gli interessi che presuppongono l’esistenza del gioco pubblico e del suo comparto: tutela delle tasche e della salute dell’utente, presidio di legalità dei territori, mantenimento di gettito erariale da emersione, tutela delle imprese a partire da quelle medio piccole e dell’occupazione concentrata soprattutto sui territori”.

 

Cristina Doganini – PressGiochi

 

 

 

Fonte immagine: Roma, 20/09/2023 FORUM ACADI