02 Maggio 2024 - 15:53

Avv. Annetta (Einaudi): “Di questo passo si rischia il deserto imprenditoriale, non solo nel settore dei giochi!”

“E’ opportuna una riforma profonda di tutto il settore, con particolare riferimento al diritto penale. Infatti, nel controllo delle attività di impresa, che sono sempre più complesse, non è ammissibile

17 Ottobre 2023

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“E’ opportuna una riforma profonda di tutto il settore, con particolare riferimento al diritto penale. Infatti, nel controllo delle attività di impresa, che sono sempre più complesse, non è ammissibile che la normativa sia calata dall’alto. Al contrario, riteniamo che si debba collaborare tutti insieme per la legalità. E Il settore dei giochi ci sembra proprio uno di quelli in cui lo Stato fa l’esatto contrario di quello che dovrebbe fare, approcciandolo con una concezione prettamente punitiva. In altri termini, qui si sconta un difetto grave di tutta la legislazione italiana: eccesso quantitativo e disordine qualitativo. Abbiamo troppe norme spesso adottate in modo non coordinato, spesso dettate dall’istinto del momento dal legislatore nazionale ad ogni livello. Questo avviene ogniqualvolta si va regolare una attività amministrativa. Così, di fatto si finisce in balia di tutte le burocrazie, perché diventa sempre una questione interpretativa, che non dà certezze agli imprenditori. Non è un caso, dunque, che il nostro paese non sia attrattivo dal punto di vista degli investimenti.

Poi, l’attività dei giochi ha dei problemi tutti suoi. A monte è stata fatta questa scelta di creare vari centri di legislazione, attribuendo a regioni e comuni dei poteri che però hanno creato un guazzabuglio ingovernabile, tra distanziometri e fasce orarie, di cui il legislatore nazionale è responsabile per non aver dato indirizzi chiari sin dall’inizio. Tra l’altro, come evidenziato dalle sentenze della Corte Costituzionale 383/2005 e 1/2016, anche laddove siano previsti centri di legislazione concorrenti, il legislatore nazionale ha tutto il diritto di dettare le linee guida per uniformare, ma nel settore dei giochi questo non è avvenuto”.

Ad affermarlo in una intervista per PressGiochi MAG è l’Avv. Massimiliano Annetta, membro del Comitato scientifico della Fondazione Einaudi, centro di ricerca che promuove la conoscenza e la diffusione del pensiero politico Liberale.

“Il problema è certamente politico. Piu ci si avvicina ai territori, più il problema diventa pressante, che è di qualità e di ragioni della normazione. Io capisco che il sindaco debba intervenire con regolamenti molto stringenti nel momento in cui viene a sapere che il vecchietto pensionato si è giocato la pensione alle slot machines. Ma ciò viene fatto sempre senza avere conoscenze adeguate e senza rendersi conto che questo settore genera gettito, che può essere utilizzato anche per contrastare il gioco patologico. I regolamenti stringenti, che fanno comodo ai sindaci in chiave elettorale, coltivando l’illusione che più si limita il gioco legale, meno la gente giocherà; ma così non si fa altro che consegnare il gioco all’illegalità, su cui la criminalità organizzata sta investendo molto”.

Pensa che l’art. 15 della Delega fiscale potrà migliorare qualcosa in tal senso?

“Anche sulla delega fiscale vedo cose che non mi piacciono, a cominciare dal fatto che tendenzialmente gli oneri tributari andranno ad aumentare. Questo farà sì che l’illegalità potrà offrire quote enormemente più vantaggiose rispetto a quelle dei concessionari. In definitiva, non si può impedire alla gente per giocare, ma si può aiutarla a giocare responsabilmente, purché il gioco legale sia promosso e non represso.

Inoltre, quando si parla di razionalizzazione e concentrazione dell’offerta, noto che distanze e orari rientrano dalla finestra.

Ciò non toglie che il disegno di legge abbia molte cose positive, come l’obbligo della formazione continua per gli operatori e la tendenza – almeno dichiarata – all’uniformità normativa a livello nazionale. Ma di fondo la Delega conserva l’idea che il gioco sia brutto, sporco e cattivo.

La mancanza più vistosa è il non prevedere in alcun modo la valorizzazione prassi virtuose. Si dovrebbe creare un tavolo tecnico che licenzi delle norme per creare buone prassi, senza tagliare con l’accetta. E deve essere un tavolo che accolga tutti, la parte statale, le organizzazioni territoriali, i concessionari, le forze dell’ordine, ecc. Ci stiano pure dei mesi, ma da lì si deve uscire con regole certe, che permettano alle aziende di investire”.

 

Lei sostiene che il paradigma delle legalità deve essere rinnovato. In che modo?

“C’è una svolta da compiere. Abbiamo una normazione in materia penale che fa da architrave a tutto questo sistema, perché quella amministrativa è servente, a volte stupidamente, in quanto vuole impedire la commissione reati. Fino ai primi 50 anni dello scorso secolo vedevamo la norma penale in modo unilaterale, calata dall’alto, e il cittadino non doveva cooperare ma ottemperare ai divieti. Dopo, innanzitutto all’estero, ed in particolare nel mondo anglosassone, si è cominciato a dire che l’attività impresa è particolare, pericolosa ma necessaria. Perciò bisognava cercare di regolarla per far sì che potesse liberare solo energie positive. Pertanto, si è diffusa l’idea che il solo controllo esterno non funzionava; al contrario, bisognava sviluppare buone prassi, affinché l’industria si autoregolamentasse. Per capirci, un tipico esempio è la segnalazione sonora che scatta quando entriamo in auto e non mettiamo la cintura. All’inizio ha creato fastidio in alcuni, ma oggi nessuno la indossa perché teme di essere sanzionato; al contrario, si è raggiunta ormai la piena consapevolezza del pericolo che si corre non allacciandosi le cinture e il gesto viene fatto in automatico.

Ecco, il modello 231 si cui parlavo è la stessa cosa. Nel nostro caso però siamo in un clima dove non basta più mettersi la cintura, perché quando ci sono i controlli qualcuno ti dice sì, l’avevi allacciata ma era di colore rosa e non nera! Il paradosso serve per ribadire che il nuovo paradigma della legalità è che questa non sia imposta dall’alto ma condivisa; decidiamo le buone pratiche e poi premiamo chi le rispetta!”.

Con questo nuovo sistema, non si corre però il rischio di penalizzare le aziende meno strutturate?

“E’ ovvio che i sistemi di autogestione favoriscono le imprese più strutturate, mentre quelle più piccole fanno fatica ad adeguarvisi. D’altra parte, in questo settore qualche forma di concentrazione è necessaria, purchè non sia punitiva.  Invece, alla luce di quanto accaduto sino ad oggi, mi viene il dubbio che tanti ritengano i concessionari delle cattive persone, di cui non ci si può fidare, e perciò vengono costantemente puniti a colpi di decreti. Lo stesso divieto alla pubblicità imposto dal Decreto Dignità è sintomo di questo, è la tipica pagliacciata italiana che ha messo fuori gioco più i soggetti seri che non quelli meno seri”.

La Delega Fiscale, allora, può essere il momento ideale per affrontare questi problemi e risolverli. Della serie “ora o mai più”!

“La delega, se non sarà partecipata da tutti gli attori della filiera, rischia di diventare una batosta per loro, perché dentro quel dettato può starci di tutto e il contrario di tutto. E’ quindi necessaria un’attività sana di lobbying, dove si anteponga al tutto l’interesse comune per la legalità, da raggiungere nei modi che ho fin qui descritto. I concessionari non devono aver paura di fare sentire la propria voce, così come la Fondazione Einaudi non ha paura di esternare le proprie idee; questo è il nostro ruolo, e lo svogliamo da sempre anche in materie più delicate di questa”.

Leggi l’intervista completa su PressGiochi MAG

 

Di Marco Cerigioni – PressGiochi

Fonte immagine: https://it.depositphotos.com