29 Aprile 2024 - 01:59

Salva Sport, il Consiglio di Stato boccia la richiesta di versare i 30 milioni extra

I concessionari delle scommesse non dovranno versare i 30 milioni extra della tassa Salva-Sport. Lo ha deciso in via definitiva il Consiglio di Stato, affermando che “sussistono plurimi elementi, sia

27 Febbraio 2024

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I concessionari delle scommesse non dovranno versare i 30 milioni extra della tassa Salva-Sport. Lo ha deciso in via definitiva il Consiglio di Stato, affermando che “sussistono plurimi elementi, sia testuali, sia sistematici, tali per cui non devono nutrirsi dubbi circa il fatto che l’unica interpretazione corretta della disposizione” sia quella sostenuta dalle compagnie di gioco, e seguita inizialmente dalla stessa ADM.

La tassa è stata introdotta durante la pandemia del Covid con il decreto Rilancio, serviva a garantire risorse extra al mondo dello sport che in quel periodo ha dovuto fronteggiare un lungo stop. I bookmaker dovevano versare lo 0,5% delle scommesse raccolte nel 2020 e nel 2021, i soldi avrebbero poi dovuto alimentare un fondo da destinare allo sport in difficoltà. La norma fissava un tetto di 40 milioni il primo anno, e di 50 milioni il secondo. La stessa ADM all’epoca riteneva che una volta raggiunte quelle soglie i concessionari avrebbero dovuto smettere di versare il prelievo. E visto che gli importi erano stati raggiunti con qualche mese di anticipo sia nel 2020, sia nel 2021, aveva sospeso il pagamento della tassa.

Successivamente però Ragioneria dello Stato e Corte dei Conti hanno dato un’interpretazione differente della norma: le soglie dei 40 e dei 50 milioni si riferiscono solamente alle somme che vanno trasferite al fondo Salva Sport, e non al pagamento della tassa. Quindi anche se quegli importi erano stati raggiunti in anticipo, i concessionari erano comunque tenuti a versare la tassa per l’intero periodo. Che poi sarebbe stata incamerata nel bilancio dello Stato e utilizzata per altri fini di interesse generale. Di qui la richiesta richiesta di versare i 30 milioni extra.

Il Consiglio di Stato però osserva che “il legislatore ha chiaramente enunciato la propria intenzione di introdurre misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, con lo scopo cioè di bilanciare il sacrificio economico imposto a taluni operatori economici assoggettati ad una nuova forma di imposizione indiretta (nella specie, i concessionari della raccolta delle scommesse), con le superiori, generali e imperative esigenze di solidarietà economica e sociale“. L’obiettivo quindi non era di “sostenere in generale l’economia, ma proprio per rilanciare specifici settori dell’economia gravemente pregiudicati a seguito delle misure restrittive e delle chiusure“.

Lo stesso si deve concludere se si esamina la rubrica dell’articolo, ovvero “Costituzione del ‘Fondo per il rilancio del sistema sportivo nazionale’”. Per i giudici, quindi, c’è “un sicuro vincolo funzionale tra la ragione del prelievo e la finalità perseguita“. E’ vero poi che la norma prevede che la tassa venga versata dalla “data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2021“, ma il Consiglio di Stato “ritiene che tale espressione debba necessariamente essere posta in correlazione e letta in connessione con le previsioni recate dal primo comma e con il senso complessivo delle misure emergenziali introdotte dalla decretazione in via d’urgenza“.

I giudici ricordano poi che il decreto Rilancio prevedeva un meccanismo alternativo per alimentare il Fondo, qualora la tassa salva sport non fosse bastata. Quel meccanismo avrebbe appunto consentito di raggiungere gli importi di 40 e 50 milioni previsti. “Non si ravvede la ragione di assoggettare i concessionari dello Stato ad uno sforzo di contribuzione per esigenze solidaristiche maggiore di quello al quale si sottoporrebbe lo Stato stesso nel caso in cui le suddette soglie non venissero raggiunte” osserva il Collegio.

Infine, i giudici di Palazzo Spada sottolineano che questa lettura sembra confermata anche dal Diritto Comunitario. Su giochi e scommesse infatti gli Stati membri godono di ampio potere discrezionale, ma nel momento in cui adottano delle restrizioni, devono seguire motivi imperativi di interesse generale e rispettare il principio di proporzionalità. La Tassa, anche se non produce discriminazioni, deve quindi rispettare il vincolo di scopo che “non può che essere sorretto, sul piano della tenuta del sistema, dalla sussistenza di serie e gravi esigenze imperative di interesse generale, non riducibili alla generica ragion fiscale“.

PressGiochi

 

Fonte immagine: PALAZZO SPADA SEDE DEL CONSIGLIO DI STATO