30 Aprile 2024 - 09:03

La cura dimagrante di Campione d’Italia non riduce gli incassi del casinò

Se la vogliamo sintetizzare in un tweet, si può dire che il casinò di Campione d’Italia era fallito nel 2018, nel 2020 il Tribunale ha revocato la sentenza di fallimento

12 Ottobre 2023

Print Friendly, PDF & Email

Se la vogliamo sintetizzare in un tweet, si può dire che il casinò di Campione d’Italia era fallito nel 2018, nel 2020 il Tribunale ha revocato la sentenza di fallimento e dopo qualche mese ha riaperto.

Ma in questa vicenda i dettagli sono importanti: i dipendenti del casinò erano 490 e ne sono stati riassunti 170.

Quando è fallito aveva l’obbligo di versare all’Amministrazione comunale la bellezza di 40 milioni di euro all’anno mentre quest’anno ne ha dati 500mila e si impegna ad arrivare a 7,5 milioni entro cinque anni (un sesto, rispetto a prima). E perfino il Comune ha fatto una bella cura dimagrante: aveva 102 dipendenti e adesso ne ha appena 17! E ci sono ancora da pagare un mucchio di debiti: quando è fallito, il casinò doveva ai suoi creditori 130 milioni di euro, dei quali oltre 30 proprio al Comune, ovvero il proprietario. Che, a sua volta, aveva 41 milioni di debiti. Di questi, 16,5 erano dovuti ai suoi stessi dipendenti.

Quindi, il paese di Campione d’Italia rinasce con la riapertura della casa da gioco ma non è più lo stesso. Questa piccola enclave italiana all’interno del territorio svizzero, che comunque appartiene alla provincia di Como, non è stato un comune che ospitava un casinò ma piuttosto un casinò dal quale dipendeva un comune. In queste due strutture lavoravano un quarto di tutti gli abitanti, che erano meno di 2mila. Se si considerano anche le famiglie, avere ridotto il personale di circa 400 unità potrebbe avere dimezzato la popolazione. Basta pensare che con la chiusura del casinò sono state chiuse anche le scuole, compreso l’asilo. E per due anni, i bambini di Campione sono stati presi in carico dalle scuole svizzere.

“Molti ex dipendenti sono stati ricollocati in altri uffici della pubblica amministrazione” ha detto a PressGiochi Roberto Canesi, sindaco dal 2020 e, di conseguenza, presidente del casinò “e quindi si sono trasferiti in vari centri della Lombardia. Alcuni erano già domiciliati in Svizzera e hanno trovato lì delle alternative lavorative. Va detto però che c’è stato anche un ricambio per cui, alla fine, avremo perso circa 200 residenti”.

Canesi dice che Campione non sarà più un paese casinò-centrico. Ma in cinque chilometri quadrati di territorio, in gran parte in pendenza, non si può certo pensare a degli insediamenti industriali.

“Abbiamo una posizione invidiabile anche per via del lago” dice ancora Canesi “e molte attrattive artistiche che meritano di essere conosciute. Inoltre, penso che dovremo tornare a ospitare eventi importanti. Anche perché il salone delle feste del casinò è in grado di mettere a sedere 500 persone ed è attrezzato con le tecnologie più innovative”.

Lo stesso casinò ha nei suoi programmi una diversificazione. L’edificio che fu inaugurato nel 2006, in sostituzione della vecchia sede storica, è oggi la casa da gioco più grande d’Europa, con i suoi nove piani e 55mila metri quadrati in grado di ospitare oltre 3mila persone intente a giocare, e poi un ristorante da 350 posti.

Ma una struttura così gigantesca può tornare a produrre utili, visto che è rimasta chiusa tre anni per fallimento?

Anche quando è fallito, in realtà, l’attività produceva utili di cassa. Ma con l’impegno di passare al Comune una cifra pari alla metà dell’incasso era impossibile chiudere i bilanci in attivo. Quella cifra era stata fissata quando c’erano più giocatori e giocavano tutti molto di più. Adesso, tutti i casinò hanno visto ridursi il movimento e bisogna studiare strategie alternative.

Lo spiega Marco Ambrosini, che è stato amministratore unico nella fase precedente il fallimento e poi, dopo essersi battuto per la revoca della sentenza, è tornato allo stesso posto nel momento della riapertura. Secondo lui, bisogna semplicemente pensare ad attività collaterali a quelle del gioco:

“Integreremo l’offerta di gioco con offerte di tipo commerciale come uno shopping center, attività ricreative, eventi, ristorazione. Tutte, però, autonome. Non sarà più il ristorante dei giocatori, il teatro dei giocatori. Sarà come nei grandi casinò americani dove si può fare di tutto, anche andare a messa e perfino non andare a giocare. È quello che sta succedendo anche con gli stadi che non sono più contenitori del calcio ma edifici multifunzionali”.

Dallo scorso marzo, Ambrosini ha dovuto passare il testimone a Stefano Silvestri per una incompatibilità stabilita dalla cosiddetta legge Madia per i dipendenti di società pubbliche. Ma i piani non sono cambiati.

Quello che è cambiato, in effetti, è il mercato. Come ha spiegato lo stesso Ambrosini “non esistono più i grandi giocatori” e l’attività preferita in un casinò sono le slot machine. C’è poi la concorrenza del gioco diffuso, quello che si trova sotto casa, e soprattutto del gioco online, che ognuno può avere perfino in tasca nel proprio smartphone.

Ed è per questo che Ambrosini nel suo piano di rilancio aveva inserito anche un’area live experience. Una sorta di studio televisivo dove viene prodotto gioco destinato alla Rete: “Sono convinto comunque che il gioco fisico sia un’altra cosa, rispetto al gioco online. Con il telefonino si può anche giocare a tennis, ma non è mica la stessa cosa che stare in campo!”.

Intanto, le cure dimagranti non hanno riguardato solo i tagli all’organico. Anche le retribuzioni sono state ridotte, rispetto a prima. “Sono state allineate a quelle del territorio svizzero” dicono i vertici. Mentre in precedenza erano nettamente al di sopra.

Ora, però, i lavoratori cominciano a farsi sentire con delle rivendicazioni sindacali. E iniziano dalle mance.

In quest’anno e mezzo di attività le cose sono andate bene, addirittura con incassi leggermente superiori a quanto preventivato. E le mance, che per tradizione i giocatori più fortunati lasciano ai croupier dopo una vincita, sono arrivate a circa 1,5 milioni. Secondo il contratto di lavoro, la metà di questa cifra va distribuita tra tutti i dipendenti. Ma questo impegno non è stato ancora onorato.

 

PressGiochi MAG