30 Aprile 2024 - 09:28

Delega fiscale. Causi (Pd): “Nelle scommesse occorre ristabilire la giuste regole di concorrenza tra reti ufficiali e CTD”

Quali iniziative intenda assumere il Governo italiano, anche con l’avallo da parte della Commissione europea, nella predisposizione del decreto legislativo delegato di attuazione dell’articolo 14 della legge n. 23 del 2014,

01 Aprile 2015

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Quali iniziative intenda assumere il Governo italiano, anche con l’avallo da parte della Commissione europea, nella predisposizione del decreto legislativo delegato di attuazione dell’articolo 14 della legge n. 23 del 2014, al fine di superare i profili di incertezza giuridica che si sono determinati e ristabilire le necessarie regole di concorrenza tra reti ufficiali e reti alternative di raccolta scommesse in Italia. Lo chiedono gli onorevoli del Pd Causi e Ginato all’interno di una interrogazione presentata ieri al Ministro dell’economia e delle finanze.

“L’articolo 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, – ha affermato Causi – ha delegato al Governo il compito di attuare il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, raccogliendole in un codice in modo sistematico ed organico. Il settore in assoluto più coinvolto dall’evoluzione dei principi comunitari in cui l’assetto regolatorio sembra non essere più attuale è quello delle scommesse;

Nell’arco degli ultimi quindici anni, accanto alle reti fisiche ufficiali di imprese dedite alla raccolta delle scommesse secondo il modello della concessione di Stato per la gestione delle relative attività, si sono fortemente sviluppate reti fisiche parallele di imprese (centri trasmissione dati-CTD) che raccolgono anch’esse scommesse – per conto di società di riferimento con sede legale nello Spazio economico europeo ma, di fatto, operando come vere e proprie sale scommesse – in un regime di sostanziale migliore concorrenza rispetto alle imprese concessionarie. Reti alternative e parallele la cui attuale dimensione, pari ormai a circa la metà della rete ufficiale, impone di non potere più ignorare il fenomeno.

I CTD si sottraggono con ogni mezzo alla fiscalità italiana sul gioco e le società di loro regia, in quanto dislocate all’estero, non assolvono in Italia l’IRES ma versano imposte nei Paesi di rispettiva residenza ad aliquote oggettivamente più concorrenziali; con l’effetto finale che i servizi di queste reti alternative riescono ad essere offerti a prezzi più vantaggiosi degli analoghi servizi offerti dalle reti ufficiali dei concessionari di Stato.

Le reti alternative inoltre, sottraendosi al regime regolatorio delle concessioni di Stato, non sono collegate ai totalizzatori né rispettano i palinsesti nazionali, ossia gli strumenti che, in Italia, perimetrano, legittimandoli, la tipologia e la quantità di eventi – sportivi ed ippici – sui quali nel nostro Paese è consentito ufficialmente raccogliere scommesse: questa situazione impedisce, tra l’altro, di poter assicurare all’intera platea dei giocatori parità di garanzie in ordine alla qualità dei servizi-scommesse, giacché, relativamente alle reti alternative, occorre esclusivamente affidarsi al senso di autoresponsabilità di chi vende scommesse nei CTD e delle loro società estere di riferimento e regia; tale situazione, peraltro, aumenta il gap competitivo, in quanto presso i CTD possono essere acquistate scommesse che non possono essere offerte dai concessionari di Stato che devono rispettare le regole di totalizzazione e palinsesto;    la propensione delle reti fisiche alternative di raccolta delle scommesse a non accettare l’attuale modello regolatorio nazionale trova più recente testimonianza nell’attuazione prevista dall’articolo 1, comma 643, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante la procedura di regolarizzazione dei soggetti attivi alla data del 30 ottobre 2014, che offrono scommesse con vincite in denaro in Italia, senza essere collegati al totalizzatore nazionale dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli; come appare dai primi dati appresi, solo un terzo circa della consistenza delle reti alternative sarebbe emersa, avvalendosi delle opportunità di questa procedura;

le maggiori società estere che organizzano le reti italiane di CTD stanno tentando con ogni mezzo di contrastare l’eventualità di una prevalenza dell’assetto regolatorio nazionale di riferimento mediante la citazione innanzi ai giudici civili con la richiesta del risarcimento di tutti i possibili danni patrimoniali conseguenti ad una mancata disapplicazione delle norme nazionali repressive, e ciò nel presupposto che tali norme non sarebbero compatibili con l’ordinamento comunitario.

In particolare, – ha continuato Causi – è stata intimata una diffida ai vertici nazionali dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli ad adottare ogni atto necessario perché al personale dipendente – e le forze di polizia che li coadiuvano – venga disposto di non attuare il predetto sistema di norme repressive della raccolta di scommesse fuori dalle reti fisiche organizzate dai concessionari di Stato; tale atto pregiudicherebbe il funzionamento e l’assetto legale nazionale in materia di raccolta di scommesse, con una caduta verticale della sua credibilità agli occhi delle imprese che hanno creduto nel sistema organizzativo italiano di riferimento ed hanno investito nelle attività di offerta dei servizi-scommesse all’interno del mercato di riferimento; l’assunto dal quale muove la citata azione di diffida e giudiziaria per il risarcimento di pretesi danni consiste nel fatto che la Corte di giustizia ha dichiarato, in sentenze passate, che le imprese che governano le reti di CTD sarebbero state illegittimamente impedite nella partecipazione alle gare pubbliche di affidamento delle concessioni di raccolta delle scommesse, ed in tal modo discriminate, e che in quanto tali non sarebbero state punibili nel momento in cui avessero di fatto comunque raccolto scommesse in Italia: un’affermazione, questa, che continua praticamente a tenere in piedi una sorta di «salvacondotto comunitario» per le reti alternative che, invocandolo, riescono a conseguire l’assolvimento presso molte sedi giudiziarie penali nel momento della verifica della legittimità degli atti di repressione delle scommesse raccolte fuori dalle reti ufficiali.

Più recenti sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea (l’ultima in ordine di tempo del 22 gennaio 2013, nella causa C-463/13) hanno invece non solo confermato, specialmente nel settore delle scommesse, la legittimità comunitaria dell’assetto organizzativo delle reti ufficiali italiane di raccolta del gioco basato sul rilascio di una concessione di Stato e sul conseguimento previo di titoli abilitativi di polizia ai sensi del testo unico delle leggi in materia di polizia e sicurezza, ma, nello stesso settore, hanno affermato come non sia stata discriminatoria la gara pubblica per la selezione dei soggetti che raccolgono scommesse bandita ai sensi dell’articolo 10, comma 9-octies del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, appositamente prevista proprio per offrire agli organizzatori storici delle reti di CTD in Italia l’opportunità di entrare nel perimetro delle concessionarie di Stato per la raccolta di scommesse.

Ancor più di recente il TAR del Lazio, che si è pronunciato con sentenza 5 marzo 2015, appunto applicando il principio di diritto stabilito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la citata decisione del 22 gennaio 2015, ha decisamente respinto la domanda di una società italiana che, attirata emulativamente dall’esempio delle reti dei CTD, pretendeva di essere autorizzata dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli ad avviare attività di raccolta di scommesse senza necessità di rispetto alcuno per il quadro regolatorio nazionale di riferimento; si può confidare sul fatto che il Consiglio di Stato, dal quale è partito il quesito pregiudiziale che si è al momento concluso con l’affermazione di diritto fatta dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la decisione 22 gennaio 2015 e che dovrà conseguentemente concludere il suo processo entro breve, farà propria tale affermazione, respingendo le doglianze della storica società di organizzazione di una rete di CTD in Italia, se è vero che lo stesso, già nel momento in cui formulava il quesito pregiudiziale, anticipava di «non aderire alla richiesta di diretta disapplicazione della norma nazionale in punto di durata delle concessioni messe in gara (…) permanendo il convincimento negativo del Collegio (…) costituente il punto di vista del Collegio nella soluzione della questione pregiudiziale» posta;

Nondimeno una divaricazione fra la giurisprudenza dei giudici amministrativi e dei giudici penali – rispetto alla quale è peraltro ancora del tutto imprevedibile quella del giudice civile investito più di recente dei giudizi di risarcimento del danno sopra detti –, frutto di un paradigma logico certamente non sviluppato in tutte le sue implicazioni proprio dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, è tale per cui, se da un lato è ben accetto a livello europeo il modello organizzativo italiano di raccolta delle scommesse, basato sul binomio concessione di Stato-titolo abilitativo di polizia, dall’altro però è pure consentito – sempre in nome di principi comunitari – a chi sfrutta la concorrenza transfrontaliera nell’offerta di scommesse in reti fisiche in Italia di approfittare del salvacondotto per la non punibilità nei riguardi delle norme repressive nazionali del gioco non in concessione, tanto che a quest’ultimo è consentito di perpetuare con veemenza atteggiamenti di immunità dall’applicazione del sistema regolatorio nazionale;

la situazione complessiva- ha concluso – genera tanto maggiore incertezza, sia dal punto di vista dell’ordine pubblico e della sicurezza, oltre che della salute, sia dal punto di vista della confidabilità degli investimenti, anche esteri, in Italia, quanto più vicino è l’approssimarsi della scadenza – a metà del prossimo anno – di tutte le concessioni rilasciate dallo Stato per la raccolta di scommesse secondo il quadro regolatorio vigente; una scadenza sicuramente superata ampiamente dai tecnici di risoluzione per sola via giudiziaria dei profili di incertezza sopra detti”.