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Villotti (Istituto Friedman): “Il dibattito sulla riforma del gioco in Italia ed i danni del Neo-proibizionismo”

L’Istituto Milton Friedman interviene nel dibattito sulla riforma del gioco pubblico in Italia attraverso l’analisi politico-economica del direttore scientifico Prof. Andrea Maria Villotti, che ha inoltre commentato lo speciale sul

09 Febbraio 2017

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L’Istituto Milton Friedman interviene nel dibattito sulla riforma del gioco pubblico in Italia attraverso l’analisi politico-economica del direttore scientifico Prof. Andrea Maria Villotti, che ha inoltre commentato lo speciale sul gioco pubblicato nell’ultima edizione de L’Espresso.

 

“Il Comitato scientifico dell’Istituto Friedman riunitosi proprio in questi giorni – fa sapere – Villotti – ha valutato positivamente nel complesso la riforma economica proposta dal Governo agli Enti locali, ritenendo si tratti di un buon compromesso frutto di un intenso lavoro di mediazione tra le parti coinvolte. Ferma restando la convinzione che il mercato si autoregoli e che un’eccessiva regolamentazione dello stesso non può che favorire il mercato sommerso.

Il Comitato ha inoltre espresso preoccupazione per le ulteriori eventuali modifiche in senso restrittivo delle libertà economiche, alcune delle quali emerse proprio nel corso del dibattito pubblico di queste ultime settimane, queste infatti non potrebbero che danneggiare ulteriormente il tessuto economico del Paese, senza comunque dare un contributo migliorativo in alcun senso. Al contrario sarebbe bene che anche concessionari quali le tabaccherie, dotate di una importante rete sul territorio nazionale, che offrono tradizionalmente gioco pubblico con professionalità, godano di uno status di tutela maggiore rispetto ad attività generaliste come per esempio i bar, i quali hanno tutt’altra natura prevalente.

Infine, per garantire una tenuta del settore economico in questione e quindi delle relative entrate erariali, è fondamentale che i luoghi dedicati esclusivamente al gioco che verranno classificati, sulla base del loro livello qualitativo, come di “categoria A” siano esclusi dalle attuali o dalle future disposizioni normative stabilite dagli Enti locali, in particolare da limitazioni orarie e distanze dai luoghi sensibili. Come ha correttamente osservato il Sottosegretario Baretta, solo questa garanzia per il gioco lecito può evitare un’ulteriore crescita del mercato sommerso, al contrario, se la classificazione non volesse significare l’esclusione dalle limitazioni la Riforma stessa perderebbe il suo valore.

 

Il “Neo-proibizionismo” non cessa di creare danni ancora oggi, nonostante le problematiche generate sin nei secoli scorsi dal “vecchio” proibizionismo.

Ancora oggi, contro ogni logica scientifica,  il nuovo proibizionismo continua a manifestarsi e reclutare nuovi adepti, attraverso politiche che non tengono minimamente conto della natura dei processi economici, confondendo le cause con gli effetti.

Un esempio di scuola – continua Villotti – é quanto sta avvenendo ultimamente in Italia riguardo al settore del gioco, dove viene spesso confuso il gioco con i giocatori.

Poiché nella storia economica, come in tutta quella umana, la mancata comprensione dei fenomeni porta al ripetersi degli stessi, a prescindere dagli effetti negativi, così la periodica comparsa d’indizi che preludono al manifestarsi di patologie economiche vanno al più presto possibile segnalati per prevenirne o almeno limitarne gli effetti negativi.

La comprensione della natura dei processi economici infatti rappresenta l’unico efficace antidoto alla degenerazione dei tessuti produttivi, il cui deterioramento comporta sempre lunghi periodi di tempo per la loro ricostruzione, quand’anche questa avviene.

La comprensione di questa realtà costituisce quindi la base essenziale per lo sviluppo di modelli in grado di gestire e migliorare le tematiche a cui sono rivolti.

Un esempio dei rischi di sovrapposizioni a cui é possibile andare incontro in Italia in questo intenso dibattito, che spesso confonde purtroppo le cause con gli effetti e, nel caso specifico il gioco con il giocatore, é rappresentato dal lungo speciale pubblicato recentemente da l’Espresso il cui titolo é giá esemplificativo del “Ci giochiamo tutto”.

Dopo una serie di citazioni di dati estratti da varie fonti, l’articolo inizia a mescolarli e compararli in maniera alquanto originale: dalla percentuale che il volume complessivo del gioco rappresenta in rapporto al Prodotto Interno Lordo del Paese, 4,7%, alla sua rappresentazione in valore assoluto, ovvero 95 miliardi di Euro.

Poi prende questa cifra e la paragona con una simile, 90 Miliardi di Euro nel caso della Boeing, che peró in questo caso rappresentano il fatturato dell’azienda americana.

Ora dato che, come per tutte le aziende, anche per la multinazionale americana le imposte vengono calcolate sull’utile, ovvero 4,8 Miliardi di Dollari secondo i bilanci 2016, sarebbe interessante, per avere un termine di paragone effettivo, andare a vedere quanto l’azienda di Chicago ha versato come tributi all’Erario americano.

Nel caso invece dei 95 miliardi calcolati nell’articolo come totale giocato in Italia, poiché 76,5 miliardi sono stati redistribuiti, per legge, é evidente che se applicassimo questa redistribuzione al fatturato della Boeing l’azienda fallirebbe immediatamente, e giá questo fa capire l’evidente incongruità della comparazione ed il rischio di confusione citato precedentemente.

Poiché però nel succitato articolo vi sono altri clamorosi esempi di tale situazione, proseguiamo con un altro paio di citazioni. Nella prima, dopo essersi evidentemente reso conto che la cifra corrispondente al totale redistribuito come vincite non costituiva fatturato, l’articolo prende il totale dei 95 miliardi raccolti e somma la parte rimanente, data dagli 8 miliardi e mezzo dei ricavi e dai 10 miliardi delle imposte versate, 18,5 miliardi, per comparare ancora una volta tale cifra ottenuta in modo improbabile, con il fatturato invece di un’azienda, italiana questa volta, e niente di meno che la Ferrari, arrivando anche ad affermare che il valore della stessa é di 1/7 rispetto al totale di cui sopra.

Ora, al di lá del fatto che anche uno studente di economia del primo anno non confonde il fatturato di un’azienda con il suo valore, e che nel caso poi della Ferrari giá gli assets a bilancio 2016 sono superiori ai 3,8 Miliardi, a questi dovremmo poi sommare quelli immateriali derivanti dal valore del brand che, proprio nel caso della Ferrari giustamente considerata come quella di maggior valore in Italia, sono ben superiori ai materiali, andando quindi facilmente ad eguagliare o superare la cifra indicata nell’articolo.

Peccato peró che tale cifra sia stata ottenuta nel caso precedente sommando incassi con imposte, che, al di lá del l’evidente assurdità dell’operazione, se applicata alla Ferrari presa a paragone dall’articolo, darebbe poco piú di 370 Milioni, una cifra ben diversa rispetto ai 18,5 Miliardi citati.

Anche la Ferrari, seguendo la logica distorta dell’esempio dell’articolo, se versasse imposte sul suo fatturato in proporzione ai 10 miliardi versati sui 18,5 miliardi giocati, ovvero il 54%, nel 2016 avrebbe dovuto versare 1 miliardo e 541 milioni di euro. Un po’ troppi anche per la casa di Maranello, che come la Boeing dell’esempio sopra anche in questo caso non sfuggirebbe al fallimento certo.

Entrambi gli esempi di fallimento, – conclude il direttore scientifico – se si applicassero le distorte comparazioni economiche dell’analisi pubblicata su l’Espresso, non accadono fortunatamente per il fisco italiano, per le aziende che operano nel settore le quali, dopo aver versato imposte sulle giocate per 10 miliardi di Euro, pagano ancora le imposte sugli utili derivanti dai ricavi dei restanti 8 miliardi e mezzo.

Questo nonostante l’articolo definisca “ridicole” le tasse pagate, facendo riferimento al 10% e ad altri bene e confondendo banalmente tasse ed imposte, in questo caso l’I.V.A.

Al di lá che si potrebbe proseguire con la disanima della confusione in materia emersa nell’articolo, quanto risulta ancora una volta preoccupante é la pericolosa commistione tra neo proibizionismi ed confusione delle piú elementari basi economiche: i risultati sono sotto gli occhi di tutti”.

 

Il Prof. Andrea Maria Villotti è il Direttore Scientifico del Friedman Insitute, oltre che Consigliere del Comitato per la Ricerca e l’Innovazione della Provincia Autonoma di Trento.

Laureato in Economia all’Università Bocconi di Milano e con studi post laurea ad Harvard negli Stati Uniti si occupa di Strategia e Marketing in diverse nazioni per Pubbliche Amministrazioni ed Imprese private.

 

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