25 Aprile 2024 - 13:17

Tassa dei 500 mln. Tar Lazio: “Prelievo forzoso una tantum e non misura strutturale”

“Non è identificabile nessuna delle violazioni di legge lamentate dalla parte ricorrente e declinate quali vizi di legittimità, né i denunciati profili di eccesso di potere ovvero di violazione di

08 Novembre 2019

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“Non è identificabile nessuna delle violazioni di legge lamentate dalla parte ricorrente e declinate quali vizi di legittimità, né i denunciati profili di eccesso di potere ovvero di violazione di regole procedimentali.

Tutte le istanze proposte dalla parte ricorrente, sia sotto il profilo della denunciata illegittimità costituzionale della normativa de qua, sia sotto il profilo della lamentata illegittimità del gravato decreto, devono essere disattese e per l’effetto il ricorso rigettato, con assorbimento di ogni altra questione e/o eccezione pure prospettata dalle parti contrapposte”.

Con queste parole il Tribunale amministrativo per il Lazio è tornato ad esprimersi in merito ai contenziosi nati dall’applicazione della tassa dei 500 milioni richiesti nel 2014 dal legislatore al comparto degli apparecchi da gioco. Nella giornata di oggi il Tar ha respinto ben 5 ricorsi.

 

Di seguito riportiamo integralmente le motivazioni del tribunale amministrativo:

 

Torna all’esame del Collegio la vicenda de qua, all’esito dell’entrata in vigore dei commi 920 e 921 dell’art. 1 L. 28 dicembre 2015 n. 208 – legge di stabilità per l’anno 2016, nonché all’esito della sentenza n. 125/2018 resa dalla Corte Costituzionale, originariamente investita della questione di costituzionalità per mezzo dell’ordinanza resa dalla Sezione n.14188/2015, resa in data 16 dicembre 2015.

Giova riassumere l’iter storico processuale della controversia.

Le società ricorrenti hanno dedotto di svolgere – sulla base di specifica abilitazione derivante dall’iscrizione in apposito elenco – l’attività di raccolta delle giocate tramite apparecchi da gioco lecito di cui all’art. 110, comma 6 del TULPS per conto dei concessionari individuati all’esito della procedura ad evidenza pubblica indetta dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ai sensi dell’art. 24, comma 35 DL n. 98/2011, convertito con legge n. 111/2011 e conclusasi nel2013 con le aggiudicazioni definitive in favore di 13 concessionari e relativa sottoscrizione delle accessive concessioni di convenzioni.

Le società ricorrenti rientrano pertanto nella categoria dei “gestori”, inserendosi nella filiera degli apparecchi da gioco denominati Amusement With Prize – AWP, quali soggetti abilitati iscritti all’apposito elenco dei soggetti che svolgono attività in materia di apparecchi con distribuzione di vincite di denaro.

Hanno riferito in ricorso le istanti che con l’art. 1 comma 649 della legge di stabilità di cui alla L. n. 190/2014, sono state introdotte rilevate modifiche nella regolazione del compenso dei concessionari e degli operatori di filiera, stabilendosi, in particolare, che, a decorrere dal 1 gennaio 2015, ….“A fini di concorso al miglioramento degli obiettivi di finanza pubblica e in anticipazione del più organico riordino della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell’ambito delle reti di raccolta del gioco per conto dello Stato, in attuazione dell’articolo 14, comma 2, lettera g), della legge 11 marzo 2014, n. 23, è stabilita in 500 milioni di euro su base annua la riduzione, a decorrere dall’anno 2015, delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. Conseguentemente, dal 1° gennaio 2015:

a) ai concessionari è versato dagli operatori di filiera l’intero ammontare della raccolta del gioco praticato mediante i predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate. I concessionari comunicano all’Agenzia delle dogane e dei monopoli i nominativi degli operatori di filiera che non effettuano tale versamento, anche ai fini dell’eventuale successiva denuncia all’autorità giudiziaria competente;

b) i concessionari, nell’esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, in aggiunta a quanto versato allo Stato ordinariamente, a titolo di imposte ed altri oneri dovuti a legislazione vigente e sulla base delle convenzioni di concessione, versano altresì annualmente la somma di 500 milioni di euro, entro i mesi di aprile e di ottobre di ogni anno, ciascuno in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, adottato entro il 15 gennaio 2015, previa ricognizione, sono stabiliti il numero degli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, riferibili a ciascun concessionario, nonché le modalità di effettuazione del versamento. Con analogo provvedimento si provvede, a decorrere dall’anno 2016, previa periodica ricognizione, all’eventuale modificazione del predetto numero di apparecchi;

c) i concessionari, nell’esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di filiera le somme residue, disponibili per aggi e compensi, rinegoziando i relativi contratti e versando gli aggi e compensi dovuti esclusivamente a fronte della sottoscrizione dei contratti rinegoziati.”.

In attuazione di tale norma, è stato adottato il gravato decreto dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli datato 15 gennaio 2015, con il quale è stato determinato il numero degli apparecchi riferibili a ciascuno dei concessionari ripartendo tra gli stessi, su tale base, il versamento annuale dell’importo di 500 milioni di euro in maniera proporzionale al numero di apparecchi riferibili a ciascun concessionario, versamento da effettuarsi nella misura del 40% entro il 30 aprile 2015 ed il residuo entro il 31 ottobre.

Avverso tale provvedimento, nonché avverso al disciplina normativa di cui lo stesso costituisce attuazione, parte ricorrente ha articolato i seguenti motivi di censura:

1.L’illegittima modifica sostanziale del vigente assetto concessorio per effetto dell’art. 1, comma 649 L. 190/2014 e del decreto ADM 15 gennaio 2015.

Parte istante, sotto un primo profilo, ha lamentato la radicale trasformazione in pejus della disciplina normativa e convenzionale del rapporto concessorio de quo, come prodotta per effetto delle nuove norme introdotte dal comma 649 dell’art. 1 L. n. 190/2014 e dal decreto dell’ADM, che incidono nei confronti di tutti gli operatori della filiera, ivi compresi i gestori, obbligati così a versare ai concessionari l’intero ammontare della raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di gioco, al netto delle vincite pagate, quando in precedenza gli stessi trattenevano invece dall’ammontare della raccolta i propri compensi, pagando le restanti somme al concessionario.La nuova disciplina retroattiva trasforma i citati compensi in risorse statali ed il rapporto concessorio in rapporto tributario.

Né sarebbe stata prevista una disciplina transitoria che compensasse l’alterazione del sinalagma e dell’equilibrio economico finanziario delle gestioni di filiera.

La nuova disciplina contrasterebbe con i principi e le regole romananti dalle convenzioni di concessioni sottoscritte nel 2013, con particolare riferimento al cd. “importo residuo”, quale importo risultante dalla differenza tra la raccolta di gioco tramite apparecchi, vincite erogate e compenso contrattualmente spettante all’incaricato del versamento, nonché con la definizione di compenso del concessionario.

2.Sulla qualificazione dell’art. 1, comma 649 L. 190/2014 alla stregua di “Legge – Provvedimento”. Illegittimità in via derivata e consequenziale.

Deduce parte istante che la norma contestata avrebbe la sostanza di una legge provvedimento e come tale sarebbe inficiata da irragionevolezza, in ragione dei criteri che presiedono allo stretto scrutinio di legittimità di tale tipo di leggi.

2A.Violazione dei principi europei e costituzionali relativi allo “jus variandi” (in particolare, di trasparenza, imparzialità e par condicio). Violazione dell’art. 43 direttiva 2014/23/UE. Violazione degli artt. 2 e 30 D.Lgs n. 163/2006. Violazione dell’art. 24, comma 35 DL n. 98/2011, conv. L.n. 111/2011.

La normativa de qua prevederebbe inoltre un inammissibile jus variandi delle concessioni di servizi, non consentito né dalla normativa sui contratti pubblici né dalle pattuizioni convenzionali, né tantomeno dalla normativa europea di riferimento.

2B.Violazione dei principi europei e costituzionali in materia di contratti pubblici (in particolare, di legittimo affidamento, certezza delle situazioni giuridiche, adeguatezza e proporzionalità). Violazione degli artt. 2 e 30 D.Lgs n. 163/2006. Violazione dell’art. 8, comma 8 DL n. 66/2014, convertito nella legge n. 89/2014. Violazione dell’art. 24, comma 35 DL n. 98/2011, conv. L. n. 111/2011.

Da quanto sopra deriverebb4e altresì un’evidente violazione dei superiori principi di certezza delle situazioni giuridiche e di legittimo affidamento sull’equilibrio economico e finanziario della gestione, con grave pregiudizio altresì della libertà imprenditoriale dei gestori, la cui programmazione economico finanziaria viene ad essere gravemente turbata.

Senza contare che trattasi di una riduzione fissa e gravante sui soli gestori degli apparecchi VTL e AWP, senza alcuna gradualità e temperamento ed anzi quale esito di una inammissibile efficacia retroattiva della legge.

2C.Violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza, di capacità contributiva e progressività dell’imposizione (artt. 3, 23, 41, 53 e 97 Cost.) anche alla luce di quanto disposto dall’art. 14, comma 2, lett. c) della L. n. 23/2014.

Contesta parte istante l’irrazionalità della contestata norma nella parte in cui opera la distribuzione della riduzione dei compensi di 500 milioni sulla base del numero degli apparecchi riferibili ai concessionari al 31 dicembre 2014, senza tener conto delle somme effettivamente incassate e ritenendo in esercizio anche apparecchi non operativi.

Se intesa quale norma tributaria, parte ricorrente denuncia la violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione.

Inoltre, la norma nel prevedere che i gestori debbano versare ai concessionari tutta la raccolta delle giocate al netto delle vincite erogate, attribuirebbe ai concessionari un eccessivo potere negoziale.

Sarebbe inoltre leso il principio di capacità contributiva e di progressività della contribuzione, posto che l’imposizione è parametrata alla sola disponibilità materiale di apparecchi da gioco, senza alcuna consiuderazione del loro tasso di redditività.

2D.Violazione dei principi europei e costituzionali in materia di contratti pubblici (in particolare, di concorrenza) violazione degli artt. 2 e 30 D.Lgs n. 163/2006. Violazione della normativa cd. “Antitrust” (L. n. 287/1990). Violazione dell’art. 24, comma 35 DL n. 98/2011, conv. L. n. 11/2011.

Ne conseguirebbe altresì un vantaggio competitito ed anticoncorrenziale a fare re degli altri soggetti che esercitano altre tipologie di gioco.

2E.Violazione della libertà d’impresa, di stabilimento e di prestazione dei servizi garantite a livello costituzionale ed europeo. Violazione degli artt. 2 e 30 D.Lgs n. 163/2006.

La disciplina contestata non risponderebbe ad alcun motivo imperativo di interesse generale, il quale giustifichi la restizione della libertà di stabilimento e di prestazione di servizio.

2F.Questioni di legittimità costituzionale ed europea.

Parte istante chiede disporsi la disapplicazione delle disposizioni recate dall’art. 1 comma 649 L. 190 del 2014, per contrasto con il diritto europeo ovvero la rimessione alla Corte Costituzionale delle prospettate questioni di illegittimità costituzionale.

3.Violazione degli artt. 1339 e 1341 c.c. violazione dell’art. 24, comma 35 DL n. 98/2011 conv. L. n. 111/2011. Violazione dell’art. 3 dello schema di convenzione di concessione.

Viene infine contestata l’illegittimità del decreto del 15 gennaio 2015, sia in quanto non preceduto dall’obbligatorio parere del Consiglio di Stato, sia in quanto non preceduto da una rinegoziazione consensuale e dall’atto aggiuntivo prescritto dallo schema di convenzione; realizzandosi, viceversa una inammissibile eterointegrazione che potrebbe operare solo in presenza di norme imperative che rechino una rigida predeterminazione della clausola sostitutiva di quella convenzionale.

Parte ricorrente ha dunque concluso come trascritto in atti.

Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli unitamente al Ministero dell’Economia e delle Finanze.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva.

L’ADM e il MEF hanno contestato tutte le deduzioni offerte dalla parte ricorrente nell’atto introduttivo, chiedendo la reiezione del ricorso e di tutte le istanze ivi contenute.

Con ordinanza cautelare n. 1466/2015, il Collegio ha respinto la domanda cautelare.

Con ordinanza collegiale n. 10477/2015, il Collegio ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei concessionari non evocati in giudizio, quali litis consorti necessari prepermessi.

Con ordinanza n. 14190/2015, l’intestata Sezione ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 1 comma 649 della legge di stabilità 2015 per la presunto violazione dell’art. 3 e dell’art. 41, comma 1 della Costituzione.

Assunto che il decreto direttoriale impugnato del 15 gennaio 2015 è manifestazione di potere vincolato attribuito dalla norma incriminata in capo all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, il Collegio ha rimesso gli atti alla Consulta ritenendo che dalla soluzione della questione di legittimità sarebbe dipesa la risoluzione della controversia de quo.

Si rinvia all’argomentata ridetta ordinanza per la illustrazione dei motivi di sospetta incostituzionalità.

Nelle more del giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale è tuttavia intervenuto il legislatore con le disposizioni di cui ai commi 920 e 921 dell’art. 1 della L. 28 dicembre 2015 n. 208 – legge di stabilità 2016 il quale ha previsto quanto segue.

L’abrogazione della norma sospettata di incostituzionalità, disposta dal comma 920 dell’art. 1 della L. 208/2015, ha ristretto e limitato soltanto all’anno 2015 l’applicazione del prelievo forzoso imposto alla filiera operante nella gestione e raccolta del gioco mediante apparecchi di cui all’art. 110, comma 6 TULPS e pertanto nessun prelievo potrà essere effettuato a far data dal 1 gennaio 2016.

Per il riferito anno 2015 il prelievo de quo mediante decurtazione del compenso spettante ai surriferiti soggetti viene attuato in misura proporzionale alla partecipazione di ciascun operatore alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015 (v. art. 1, comma 921 L. 208/2015).

Per quanto sopra, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, intervenuta nel giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale, ritenuto che erano intervenute modifiche alla disposizione censurata e incidevano sulla prospettazione rappresentata dal Giudice a quo (con riguardo alla dedotta irragionevole protrazione nel tempo della riduzione del compenso spettante alla filiera, nonché con riferimento all’imprevedibilità del taglio che turbava l’assetto derivante dalle convenzioni stipulate dai concessionari) ha chiesto alla Corte di restituire gli atti al Giudice remittente, onde riesaminare la questione alla luce del sopravvenuto mutamento del quadro normativo, segnatamente in punto di rilevanza.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 125/2018, depositata in data 13 giugno 2018, dopo aver rigettato le eccezioni di inammissibilità delle questioni di illegittimità costituzionale sollevate con l’ordinanza di rimessione, ha rilevato la portata delle norme sopravvenute di cui ai commi 920 e 921 dell’art. 1 L. 28 dicembre 2015 n. 208.

La Corte ha ritenuto l’intervento del legislatore “…orientato nella stessa direzione dell’ordinanza di rimessione, con l’effetto di ridimensionare o finanche emendare i vizi di legittimità costituzionale denunciati dal giudice rimettente” che come tale comporta la restituzione degli atti al giudice rimettente “perché rivaluti il presupposto dell’incidente di costituzionalità, costituito dalla non manifesta infondatezza della questione” (punto 8 della sentenza n. 125/2018).

La Consulta, pertanto, ha restituito gli atti al TAR, rilevando che: “In conclusione, in questa situazione così profondamente modificata in melius – sia per i concessionari, inizialmente obbligati (dalla disposizione censurata) essi soli per l’intero ed ora (in forza della disposizione sopravvenuta) obbligati unitamente a tutti gli altri operatori della filiera, tenuti anch’essi in misura proporzionale ai compensi contrattuali del 2015; sia per gestori ed esercenti, inizialmente tenuti a riversare l’intero ricavato delle giocate, senza possibilità di trattenere il compenso loro spettante, ed ora obbligati anch’essi, ma solo in misura proporzionale ai compensi contrattuali del 2015 – è mutato, di conseguenza, anche il presupposto della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità, sicchè si impone la restituzione degli atti al giudice rimettente per valutare, in tutti i giudizi a quibus, se permangono, o no, ed eventualmente in quali termini, i dubbi di legittimità costituzionale originariamente espressi nell’ordinanza di rimessione”.

Il fascicolo è dunque tornato all’esame del Collegio, il quale ha trattenuto la causa in decisione all’udienza pubblica del 22 maggio 2019.

DIRITTO

Tanto esposto in fatto, il Collegio è chiamato ad esaminare ancora la vicenda in rilievo e, in particolare, ad indagare su potenziali profili di perdurante illegittimità costituzionale della nuova norma applicabile alla fattispecie de qua (eventualmente sollevando ulteriore questione dinanzi alla Corte Costituzionale), quindi, in caso di esito negativo, a decidere nel merito la vertenza, tenendo pure presente i principi espressi dalla Corte, come applicabili alla sopravvenuta modifica legislativa.

Il Collegio reputa immune la normativa de qua da possibili profili di incostituzionalità ed altresì reputa, di risulta, il ricorso infondato nel merito, con conseguente rigetto di ogni domanda proposta.

Invero i dubbi di illegittimità costituzionale, originariamente ravvisati dalla Sezione nella predetta ordinanza 14188/2015, sembrano definitivamente rimossi dalle modifiche apportate al prelievo forzoso de quo, per effetto dell’entrata in vigore dei commi 920 e 921 dell’art. 1 della l. 28 dicembre 2015 n. 208.

Decisive le osservazioni della stessa Corte Costituzionale, laddove ha chiarito che, posto che la questione di costituzionalità atteneva al reparto dell’onere economico aggiuntivo e non tanto l’an ed il quantum della prestazione obbligatoria, i commi 920 e 921 dell’art. 1 L. n. 208/2015 ridimensionano la denunciata illegittimità della disposizione originaria, tanto da rendere indispensabile una nuova valutazione del presupposto della non manifesta infondatezza della sollevata questione.

Orbene, all’esito di tale nuova valutazione, il Collegio reputa insussistente il requisito della non manifesta infondatezza della questione, giacchè non è più ravvisabile, allo stato, la violazione degli artt. 3 e 41 Cost., sotto qualsivoglia profilo riguardati.

Va infatti ricordato che la Corte Costituzionale, nella ridetta sentenza, dopo aver ricordato le criticità evidenziale dal TAR, osservando che: “Rileva infatti la circostanza – su cui si appuntano le censure del TAR del Lazio − che secondo la disposizione censurata, nella sua originaria formulazione, il prelievo forzoso è posto solo a carico delle società concessionarie sulla base del criterio costituito dal numero degli apparecchi da gioco lecito riferibili a ciascuna società, poi oggetto di ricognizione, concessionario per concessionario, ad opera del decreto del direttore dell’ADM impugnato innanzi al TAR; criterio criticato dal giudice rimettente sotto vari profili, in particolare per la sua irragionevolezza ed incoerenza e per la conseguente disparità di trattamento cui darebbe luogo.

Non è invece disciplinata in alcun modo, né in alcuna misura, la traslazione di quest’onere economico sugli altri operatori della filiera del gioco lecito, che infatti l’impugnato decreto direttoriale non prende in considerazione, ma è approntato, in favore delle società concessionarie, un meccanismo di pressione indiretta, tanto radicale quanto invasivo – secondo il TAR – degli accordi contrattuali tra concessionari ed operatori della filiera (con conseguente sospetta violazione soprattutto dell’art. 41 Cost. sulla tutela dell’iniziativa economica privata): i quali ultimi (gestori ed esercenti) sono stati obbligati a versare ai concessionari tutto il ricavato del gioco lecito da essi attivato, al netto delle vincite erogate ai giocatori e del prelievo erariale unico (PREU), ma senza più la possibilità di trattenere il compenso pattuito, così invertendo il flusso dei pagamenti e del finanziamento dell’attività d’impresa, salva una non meglio precisata rinegoziazione degli accordi.”, ha poi evidenziato il novum della modifica legislativa intervenuta, qualificandolo come uno ius superveniens che “interviene proprio su questo assetto normativo, innanzi tutto abrogandolo, con effetto ex nunc, sicché la disposizione censurata finisce per trovare applicazione, ratione temporis, per un solo anno (2015).”.

Il che significa che il prelievo forzosi di cui si verte non è più misura strutturale ma si atteggia ormai quale intervento una tantum posto a carico della filiera; con la conseguenza che, non solo non si da più la non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale, ma è dato anzi inferirsi la legittimità dei provvedimenti gravati.

Decisive poi le successive osservazioni della stessa Corte Costituzionale laddove ha osservato che

“Inoltre il legislatore interviene anche sulla norma censurata con una disposizione definita interpretativa e quindi da intendersi qualificata come di interpretazione autentica. Ma quale che sia la sua natura – che sarà valutata dal giudice rimettente – certo è che l’onere del prelievo forzoso non è più a carico solo dei concessionari, ma grava su tutti gli operatori della filiera del gioco lecito e quindi anche su esercenti e gestori. Inoltre il criterio di riparto di tale onere è basato non solo sul numero degli apparecchi riferibili ai concessionari, ma anche sulla partecipazione alla distribuzione del compenso cui ha diritto ciascun operatore della filiera secondo i relativi accordi contrattuali.

Ed allora il verso dell’intervento del legislatore, nella legge di stabilità per il 2016, è chiaramente orientato nello stesso senso dell’ordinanza del TAR. Infatti, secondo una diversa scelta di politica economica, il legislatore ha desistito dall’assegnare al prelievo forzoso a carico dei concessionari la stabilità di un istituto a regime, valido anche per gli anni successivi al 2015, optando invece, a partire dal 1° gennaio 2016, per un inasprimento dell’imposizione fiscale costituita dal PREU sulle giocate al fine di compensare il mancato introito del prelievo forzoso per gli anni successivi al 2015.”

La Consulta, inoltre, sottolinea come il legislatore abbia “poi modificato profondamente – con disposizione sia essa a carattere di interpretazione autentica, sia in realtà innovativa con efficacia retroattiva − il contenuto precettivo della disposizione censurata. Il prelievo forzoso non è più solo a carico dei concessionari, ma «si applica a ciascun operatore della filiera», e per essi il criterio di riparto dell’onere economico aggiuntivo è fissato direttamente dalla legge (e non più affidato ad un’incerta rinegoziazione degli accordi contrattuali) in misura proporzionale alla partecipazione di ciascun operatore della filiera a valle dei concessionari (ossia esercenti e gestori) alla distribuzione del compenso sulla base dei relativi accordi contrattuali quanto all’anno 2015. Non essendoci più necessità di disciplinare la traslazione dell’onere economico dai concessionari ai gestori e agli esercenti, perché su di essi posto direttamente dalla legge in misura precisa, in quanto determinata sulla base di un dato fattuale “storico” (atteso che rilevano, in chiave retrospettiva, i compensi spettanti per l’attività già svolta dagli operatori della filiera nel corso del 2015 e previsti dagli accordi contrattuali), la nuova disposizione della legge di stabilità del 2015 non menziona l’obbligo per gestori ed esercenti di riversare ai concessionari il ricavato delle giocate, comprensivo del compenso loro spettante sulla base degli accordi contrattuali. Valuterà il giudice rimettente se in questa parte la disposizione censurata non debba ritenersi abrogata ex tunc per incompatibilità con la nuova disposizione (art. 15 delle disposizioni preliminari al codice civile).”

Da quanto sopra si deduce, osserva il Collegio che, oltre alla significativa limitazione temporale del prelievo de quo, emergono, a seguito della mutata normativa, altre essenziali novità che escludono un perdurante contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione.

Ed invero la norma ha legato il principio di equa redistribuzione delle risorse al criterio oggettivo del numero di apparecchi (essendo impossibile fare una valutazione specifica sulla produttività di ogni singolo apparecchio.

La suddivisione della somma individuata dalla nuova disposizione di manovra finanziaria si incentra sul rilievo che maggiore è il numero di apparecchi riferibili, tanto maggiore è la raccolta delle giocate e, di conseguenza più grande la partecipazione al pagamento della cifra indicata dal legislatore.

Il Collegio, già in sede di rimessione alla Corte Costituzionale, aveva già escluso, sotto tale profilo, alcuna violazione del principio di proporzionalità; solo paventando un rischio di eccessiva onerosità in ipotesi di contrazione del mercato dei giochi.

Orbene, tale potenziale pericolo è stato neutralizzato dalle disposizioni di cui ai commi 920 e 921 dell’art. 1 L. 208/2015, più sopra trascritti.

Osserva infatti il Collegio che, da una parte, il legislatore ha abrogato le disposizioni di cui al comma 649 della legge di stabilità contestate in sede giurisdizionale ed al limitato solo all’anno 2015 il raggio di operatività della riduzione annua dei compensi derivanti dal gioco mediante gli apparecchi da divertimento e intrattenimento, dall’altra parte, ha imposto un’interpretazione autentica sulla ripartizione della riferita riduzione fra tutti gli operatori della filiera.

In sostanza le norme sopravvenute hanno precisato che, limitatamente al solo anno 2015, il versamento della somma definita in capo a ciascuno dei concessionari, in proporzione al numero di apparecchi riferibili alla data del 31 dicembre 2014, deve essere ripartito tra ciascuno operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali e tenuto conto della loro durata nel 2015.

La novella ha dunque chiarito che il versamento deve essere ripartito pro quota tra ciascuno operatore della filiera e in ragione delle condizioni contrattuali già in essere.

Con il che risulta superata la problematica evidenziata dal Collegio in ordine alla sostenibilità della misura per gli anni successivi, con potenziale turbamento delle condizioni economiche pattuite in convenzione dai concessionari.

Osserva insomma il Collegio che nessuna delle ragioni che hanno imposto la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità sono più allo stato sussistenti, proprio per effetto della modifica apportata dalla novella del 2015.

I concessionari non sono infatti più i soli tenuti per l’intero ha corrispondere il contributo pari a 500 milioni di euro per il solo anno 2015, atteso che, per effetto della disposizione sopravvenuta, anche tutti gli altri operatori della filiera sono tenuti in misura proporzionale ai compensi contrattuali del 2015.

Mentre d’altra parte i gestori, odierni ricorrenti, mentre erano originariamente obbligati a riversare l’interi ricavato delle giocate, senza possibilità di trattenere il compenso loro spettante, attualmente sono invece solo obbligati in misura proporzionale ai compensi contrattuali del 2015 e non devono più rinegoziare i rapporti in essere con i concessionari.

Quanto esposto vale a superare ogni dubbio di illegittimità costituzionale, come ancora prospettato dalla parte ricorrente.

Quanto poi ai motivi di ricorso, anch’essi devono essere ritenuti infondati.

Ed invero, giova rilevare in via assorbente che il gravato decreto direttoriale del 15 gennaio 2015 è stato adottato nell’esercizio di un potere assolutamente vincolato e, segnatamente, in applicazione necessitata della contestata norma di legge, con la conseguenza che la già prospettata risoluzione dei dubbi di legittimità costituzionale rilevano positivamente anche onde ritenere insussistente la lamentata illegittimità derivata.

Giova ribadire infatti che il prelievo forzoso de quo tanto più rispetta il principio di proporzionalità dopo l’entrata in vigore dei commi 920 e 921 dell’art. 1 della L. 208/2015.

Per effetto del ius superveniens, i gestori e gli esercenti, inizialmente obbligati a versare l’interi ricavato delle giocate, senza possibilità di trattenere il compenso loro spettante, restano attualmente tenuti in misura proporzionali ai compensi contrattuali del 2015.

Né è dato riscontrare alcun vizio proprio nell’impugnato decreto.

In forza di quanto già sopra esposto, non è identificabile nessuna delle violazioni di legge lamentate dalla parte ricorrente e declinate quali vizi di legittimità, né i denunciati profili di eccesso di potere ovvero di violazione di regole procedimentali.

Va infatti ribadita la natura necessitata dell’impugnato decreto direttoriale del 15 gennaio 2015, emanato in dichiarata applicazione della contestata normativa, con il corollario che, ritenuta la piena legittimità costituzionale della stessa, del tutto legittimo appare il pedissequo provvedimento amministrativo.

Quanto poi alla lamentata violazione degli artt. 1339 e 1342 del c.c., nonché dell’art. 24 comma 35 DL n. 98/2011 e dell’art. 3 dello schema di convenzione di concessione, deve innanzitutto essere reiterata la natura vincolata e meramente attuativa del decreto direttoriale.

Mentre d’altro canto, non si versa in ipotesi di inammissibile eterointegrazione della disciplina convenzionale, bensì della coerente applicazione di una disciplina imperativa di legge, della cui costituzionalità non è dato dubitarsi.

Inferendosi dunque che la modifica del rapporto non è altro che l’effetto diretto della normativa sopravvenuta, la quale ha previsto un (legittimo) prelievo forzoso che si sovrappone all’originario assetto consensuale del rapporto, senza che possa l’istante lamentare un perturbamento irragionevole ed inammissibile dell’equilibrio contrattuale.

Alle luce di tutte le sopra esposte considerazioni, tutte le istanze proposte dalla parte ricorrente, sia sotto il profilo della denunciata illegittimità costituzionale della normativa de qua, sia sotto il profilo della lamentata illegittimità del gravato decreto, devono essere disattese e per l’effetto il ricorso rigettato, con assorbimento di ogni altra questione e/o eccezione pure prospettata dalle parti contrapposte.

La particolarità della vicenda e la sussistenza delle altre condizioni di legge impongono l’integrale compensazione delle spese di lite fra tutte le parti in causa.

 

 

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