20 Aprile 2024 - 01:24

Tassa dei 500 mln: la sentenza della CJUE è attesa per il 22 settembre

E’ fissata per il prossimo 22 settembre la decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea in merito alle questioni pregiudiziali poste dal Consiglio di Stato nel contenzioso promosso dai concessionari

21 Luglio 2022

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E’ fissata per il prossimo 22 settembre la decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea in merito alle questioni pregiudiziali poste dal Consiglio di Stato nel contenzioso promosso dai concessionari di gioco italiani sulla tassa dei 500 milioni.

La legge in questione prevedeva che i concessionari, nell’esercizio delle funzioni pubbliche ad essi affidate, versassero anche, annualmente, oltre a quanto versato allo Stato ordinariamente, la somma di 500 milioni di euro, ciascuno in proporzione al numero di apparecchi ad esso attribuito alla data del 31 dicembre 2014. Essi avrebbero dovuto ripartire le somme restanti, disponibili per i loro compensi e i loro aggi. In applicazione di tale normativa, si era proceduto alla liquidazione delle somme dovute di conseguenza nonché al prelievo ripartito tra tutti gli operatori della filiera del gioco d’azzardo, e non più soltanto tra i concessionari.

A distanza di sette anni forse sarà possibile mettere la parola fine su una norma che ha diviso il settore del gioco relativo alla gestione degli apparecchi da intrattenimento e costretto il Governo a tornare sui propri passi.

In questi anni, infatti, concessionari, gestori e esercenti si sono dati battaglia tra di loro, con le compagnie madri che hanno cercato di riscuotere la tassa con le buone o con le cattive, e con la filiera che si è opposta strenuamente. Allo stesso tempo, però, tutti hanno impugnato la tassa di fronte al Tar Lazio, cercando di farla annullare, i ricorsi sono piovuti a decine. Nel frattempo, il Governo ha cercato di appianare tutte le difficoltà. Con la Stabilità del 2016 ha abrogato la tassa per gli anni a venire e l’ha rimpiazzata con un aumento del PREU. In sospeso quindi è rimasta solo la prima “rata” da 500 milioni, soldi che oltretutto erano già stati contabilizzati nel bilancio dello Stato del 2015. Il Governo allora ha dettato una norma interpretativa per spigare come dovessero regolarsi concessionari, esercenti e gestori.

Poco dopo è arriva anche la decisione della Corte Costituzionale. Gli ermellini hanno però bypassato il problema: visto che la tassa era ormai stata abrogata e sostituita dalla norma interpretativa, eventualmente bisognava sollevare dei nuovi dubbi di legittimità su quest’ultima. Anche il Tar ha ritenuto che la questione fosse risolta, e ha intimato a concessionari e filiera di versare il dovuto. Gli operatori però non si sono dati per vinti, hanno intentato appello al Consiglio di Stato che – appunto – ha rinviato la questione alla Corte di Giustizia.

Il Consiglio di Stato, giudice di ultimo grado, ha quindi sottoposto alla Corte alcune questioni pregiudiziali volte a stabilire, da un lato, se la normativa nazionale costituisse una restrizione della libertà di stabilimento o della libera prestazione dei servizi garantite dagli articoli 49 e 56 TFUE e, dall’altro, se essa fosse compatibile con il principio della tutela del legittimo affidamento.

 

Lo scorso aprile sono intervenute la conclusioni dell’avvocato generale Athanasios Rantos secondo il quale una normativa nazionale, la quale riduca una tantum le risorse statali messe a disposizione dei concessionari di giochi d’azzardo mediante apparecchi da intrattenimento eroganti vincite in denaro, costituisce una restrizione della libertà di stabilimento o della libera prestazione dei servizi, garantite rispettivamente dagli articoli 49 e 56 TFUE, purché essa sia idonea a rendere meno attraente l’esercizio dell’attività dei giochi d’azzardo mediante apparecchi da intrattenimento.

Una restrizione siffatta può nondimeno essere giustificata in virtù di motivi imperativi di interesse generale, purché il giudice nazionale concluda, al termine di una valutazione complessiva delle circostanze che hanno accompagnato l’adozione e l’attuazione di tale normativa, che essa persegue effettivamente, in maniera coerente e sistematica, obiettivi di interesse generale, come quelli di prevenire la diffusione di giochi illegali e di proteggere le fasce più deboli della popolazione dal rischio di dipendenza dal gioco, tenendo presente che il semplice fatto che una restrizione delle attività di gioco d’azzardo persegua l’obiettivo del risanamento delle finanze pubbliche non impedisce che tale restrizione possa essere considerata come anzitutto intesa effettivamente alla realizzazione di obiettivi di interesse generale quali quelli sopra indicati e che essa li persegua in maniera coerente e sistematica.

A questo proposito, l’avvocato generale ha constatato che la legge italiana prevedeva effettivamente che il governo fosse autorizzato ad attuare il riordino delle disposizioni in materia di giochi pubblici, ma non ha ritenuto che un siffatto riordino generale sia stato perseguito dalla normativa nazionale che ha ridotto le risorse statali per i concessionari.

Spetta al giudice italiano altresì verificare il carattere proporzionato delle restrizioni e accertare se la normativa nazionale, riducendo la redditività dell’attività dei giochi d’azzardo, sia necessaria per raggiungere gli obiettivi evocati dal governo italiano, e non vada oltre quanto è necessario per realizzarli.

 

Per quanto concerne il principio del legittimo affidamento, l’avvocato generale ha osservato che il rapporto contrattuale tra operatori economici e amministrazioni pubbliche legate al regime di concessione presenta un «carattere dinamico», che permette interventi statali giustificati da obiettivi di interesse pubblico. Da ciò egli ha tratto la conclusione che la natura evolutiva ed incerta della normativa in materia di giochi d’azzardo, nonché il carattere temporaneo del prelievo e il suo impatto limitato sulla redditività degli investimenti effettuati dai concessionari, fanno sì che l’intervento legislativo in questione sia ben lontano dall’essere eccezionale o imprevedibile.

In conclusione, secondo l’avvocato generale, il principio della tutela del legittimo affidamento non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale la quale riduca, per un anno determinato e per importi limitati, l’aggio stipulato in una convenzione di concessione di giochi d’azzardo mediante apparecchi eroganti vincite in denaro. Spetta però al giudice del rinvio verificare, nell’ambito di una valutazione concreta dell’insieme delle circostanze pertinenti, se tale principio sia stato rispettato.

 

Posto che, abbiamo alcuni dubbi sull’efficacia dell’equazione posta dall’Avvocato Generale secondo il quale l’aumento della tassazione porti a migliorare il contrasto dell’illegale e alla protezione delle fasce più deboli, ricordiamoci che il parere dell’AG Rantos non è la sentenza e che la Corte a settembre potrebbe anche discostarsi da tale orientamento, come altre volte è accaduto in passato.

PressGiochi

Fonte immagine: CORTE DI GIUSTIZIA DELL' UNIONE EUROPEA CJEU CURIA