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Tar Lazio conferma la decadenza a Global Starnet: giusto se si esaurisce il rapporto di fiducia tra Stato e concessionario

Il Tar Lazio si è espresso oggi in merito alla decadenza della concessione disposta per Global Starnet confermando il provvedimento dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. In data 27 marzo

18 Giugno 2018

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Il Tar Lazio si è espresso oggi in merito alla decadenza della concessione disposta per Global Starnet confermando il provvedimento dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

In data 27 marzo 2017 l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva imposto a Global Sternet la decadenza dalla concessione di servizio pubblico per l’attivazione e conduzione operativa della rete telematica di gestione del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento ed intrattenimento.

 

La decadenza della concessione è una conseguenza del verificarsi di situazioni che – pur nella varietà dei casi – trovano il loro comune denominatore nel venir meno della fiducia dell’Amministrazione nel concessionario. Si tratta, perciò, di una misura da assumersi, laddove se ne riscontrino i presupposti, senza che possa assumere rilievo ostativo la circostanza che, temporaneamente, lo stesso concessionario non sia in condizione, eventualmente, di arrecare ulteriore pregiudizio all’interesse pubblico, in dipendenza di provvedimenti assunti dal giudice penale o da autorità amministrative.

 

 

Le ragioni della Decadenza – Come ricorda il tribunale: “il provvedimento di decadenza risulta basati su tre ragioni:

  1. a) l’applicazione della previsione di decadenza obbligatoria stabilita dall’articolo 24, comma 25, del decreto legge n. 98 del 2011, in relazione all’assunzione della qualità di imputato per il delitto previsto dall’articolo 416, commi 1 e 2, c.p. del titolare in via indiretta del cento per cento del pacchetto azionario di Global Starnet;
  2. b) l’applicazione della medesima disposizione, in relazione all’assunzione della qualità di imputato per il delitto previsto dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 74 del 2000 dell’ex-procuratore della stabile organizzazione in Italia del concessionario;
  3. c) l’esaurimento del rapporto fiduciario tra lo Stato e il concessionario, in considerazione: (I) del riscontro di situazioni anomale, condotte illecite, situazioni rilevanti sotto il profilo della responsabilità contrattuale, irregolarità e inefficienze gestionali, attitudini non corrette sul piano dei rapporti con l’Erario, condizionamenti interni alla gestione societaria; (II) dell’omesso adempimento dell’obbligo di sottoscrizione dell’atto integrativo della convenzione di concessione, ai sensi dell’articolo 1, comma 79, della legge n. 220 del 2010”.

 

 

 

Non intaccata la presunzione d’innocenza – La ricorrente lamenta, a questo proposito, che la grave conseguenza della decadenza della concessione sia prevista in dipendenza del mero rinvio a giudizio per uno dei delitti indicati, senza attendere una sentenza di condanna, e neppure una condanna definitiva. Secondo l’avviso della parte, sarebbe con ciò violato il principio della presunzione di innocenza, stabilito all’articolo 27, secondo comma, della Costituzione.

La previsione della decadenza delle concessioni in dipendenza anche del rinvio a giudizio per determinati reati – ha spiegato il Tar Lazio – non costituisce una misura dettata con finalità sanzionatorie, bensì a tutela dell’interesse pubblico a che le concessioni relative al settore dei giochi siano del tutto immuni da potenziali rischi di illecita contaminazione da parte di soggetti che potrebbero aver commesso alcuni delitti, di particolare gravità, specificamente individuati. Non si tratta, quindi, di una misura avente una finalità afflittiva nei confronti di soggetti la cui colpevolezza non è stata accertata e che devono, quindi, presumersi innocenti, bensì di una previsione che mira ad anticipare la tutela apprestata a presidio di un settore particolarmente sensibile per gli interessi erariali e soggetto a un rischio specifico di infiltrazioni criminali, quale quello dei giochi pubblici.

 

La Corte ha, quindi, chiaramente affermato che la presunzione di innocenza non è intaccata dalle previsioni normative che, in particolari ambiti, stabiliscano misure di carattere amministrativo e non penale, dirette esclusivamente a tutela dell’interesse pubblico, operanti in un momento anteriore rispetto all’accertamento della commissione di un reato con sentenza definitiva.

 

Non può poi ritenersi che, nel caso specifico, tale misura sia sproporzionata, in quanto diretta a incidere, a seguito della mera disposizione del rinvio a giudizio per determinati delitti, su una concessione già rilasciata, e che pure ha comportato ingenti investimenti da parte del concessionario.

D’altro canto, le conseguenze della decadenza, pur indubitabilmente gravi, a carico del patrimonio del concessionario sono giustificate, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, operato dal legislatore, dall’esigenza di evitare il rischio che, nelle more della celebrazione del processo, e fino alla sentenza definitiva di condanna, possano determinarsi danni ben più gravi a carico dell’interesse pubblico e delle ragioni erariali, a causa del mantenimento in essere di concessioni di giochi pubblici affidate a soggetti che potrebbero risultare responsabili di delitti dotati di una specifica portata lesiva.

 

 

Esclusi i profili di incompatibilità della disposizione con le norme europee – La Corte di giustizia dell’Unione europea ha affermato che una normativa nazionale, la quale subordini l’esercizio di un’attività economica all’ottenimento di una concessione e preveda varie ipotesi di decadenza della concessione, costituisce astrattamente un ostacolo alle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 TFUE. le restrizioni esplicitamente consentite dal Trattato rientrano le ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. Le restrizioni imposte dagli Stati membri devono soddisfare le condizioni risultanti dalla giurisprudenza della Corte per quanto concerne la loro proporzionalità, nel senso che devono essere idonee a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non eccedere quanto è necessario per il suo raggiungimento; una normativa nazionale è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo invocato solo se essa soddisfa effettivamente l’esigenza di conseguirlo in modo coerente e sistematico.

 

Deve concludersi nel senso che la decadenza comminata con il provvedimento impugnato resiste alle censure allegate dalla ricorrente per ciò che attiene alle prime due, autonome, ragioni indicate nello stesso provvedimento.

Tale conclusione è di per sé sufficiente a respingere il ricorso, in ossequio al principio consolidato per il quale “in caso di impugnazione giurisdizionale di determinazioni amministrative di segno negativo fondate su una pluralità di ragioni ciascuna delle quali di per sé idonea a supportare la parte dispositiva del provvedimento, è sufficiente che una sola di esse resista al vaglio giurisdizionale perché il provvedimento (…) nel suo complesso resti indenne dalle censure articolate ed il ricorso venga dichiarato infondato o meglio inammissibile per carenza di interesse alla coltivazione dell’impugnativa avverso l’ulteriore ragione ostativa, il cui esito resta assorbito dalla pronuncia negativa in ordine alla prima ragione ostativa”.

 

Per completezza, il Collegio ritiene, tuttavia, di prendere in considerazione anche l’ulteriore motivazione posta alla base del provvedimento, ossia l’esaurimento del rapporto fiduciario tra lo Stato e il concessionario, nella parte in cui, a sua volta, poggia sulle anomalie e gli illeciti riscontrati a carico del concessionario.

 

 

La violazione degli obblighi concessori costituisce ragione sufficiente a far venir meno la fiducia dello Stato nel concessionario –

La previsione della convenzione non esclude – né avrebbe potuto farlo – la possibilità per l’Amministrazione di riscontrare un grave inadempimento del concessionario rispetto ai propri obblighi, tale da determinare il venir meno della fiducia dello Stato nei suoi confronti, deve ritenersi che, in concreto, il provvedimento impugnato enumeri tante e tali vicende a carico di Global da non lasciare dubbi in ordine al fatto che tale situazione sia in concreto riscontrabile.

Le diffuse contestazioni svolte nel ricorso non tolgono, infatti, che nella gestione societaria siano emerse anomalie tali da determinarne il commissariamento, secondo quanto diffusamente illustrato nel provvedimento impugnato.

 

Inoltre, il concessionario si è reso responsabile di una serie concomitante di azioni tali da determinare una situazione nella quale, mentre maturava una sempre più consistente esposizione debitoria nei confronti dello Stato, veniva operato il versamento di somme di importo particolarmente rilevante su conti esteri. E – secondo quanto affermato nell’ordinanza del Tribunale di Roma, Sez. riesame, del 26 gennaio 2017, riportata nel provvedimento impugnato – tali trasferimenti non avevano alcuna giustificazione, se non la sottrazione di somme all’adempimento di debiti tributari.

Al riguardo, non può neppure convenirsi con la ricorrente, ove essa afferma che le imposte sarebbero state semplicemente rateizzate, nello svolgimento di ordinarie operazioni di pianificazione fiscale. La rateizzazione di cui si è avvalsa la ricorrente è, infatti, quella relativa alle imposte insolute alla scadenza e, quindi, presuppone la commissione di un illecito tributario. D’altro canto, la rateizzazione delle imposte non comporta, di per sé, il venir meno del rischio del relativo inadempimento, rendendo per ciò solo rilevante la circostanza del trasferimento dei fondi all’estero, che è un fatto di per sé idoneo quanto meno a rendere più difficile la tutela delle ragioni erariali. E ciò tanto più ove si consideri che – secondo quanto si legge nell’ordinanza del Tribunale di Roma sopra richiamata – i trasferimenti delle somme sui conti britannici risultavano solo in minima parte finalizzati al pagamento di fatture, e per la maggior parte venivano, invece, destinati a investimenti in conti titoli e successivi trasferimenti su conti di società offshore.

In conclusione “Ritiene il Collegio che il concessionario di Stato, titolare di un munus pubblico, per di più nel delicato settore dei giochi, sia tenuto ad assicurare una gestione aziendale regolare, trasparente e scevra da influenze illecite e non debba tenere comportamenti anche soltanto astrattamente idonei a mettere in pericolo le ragioni erariali. La violazione, nel caso di specie, di tali obblighi costituisce, di per sé, ragione sufficiente a far venir meno la fiducia dello Stato nel concessionario e a sorreggere la decadenza dalla concessione”.

 

 

 

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