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Scommesse. Zanetti (Sott.segr. economia): “Su doppio binario, intervenga la delega fiscale con l’intervento anche della Commissione europea”

Il Sottosegretario all’economia Enrico Zanetti ha risposto ieri in Commissione finanze della Camera all’interrogazione presentata dai deputati del Pd Causi e Ginato che chiedevano al governo di adottare nella

02 Aprile 2015

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Il Sottosegretario all’economia Enrico Zanetti ha risposto ieri in Commissione finanze della Camera all’interrogazione presentata dai deputati del Pd Causi e Ginato che chiedevano al governo di adottare nella predisposizione del decreto legislativo delegato di attuazione dell’articolo 14 della legge n.23 del 2014, iniziative al fine di superare i profili di incertezza giuridica che si sono determinati nel mercato delle scommesse e ristabilire le necessarie regole di concorrenza tra reti ufficiali e reti alternative di raccolta scommesse in Italia.

“In Italia, – ha risposto Zanetti – da circa quindici anni a questa parte, alcune società legalmente stabilite in Paesi dello Spazio economico europeo a fiscalità di vantaggio sono riuscite a costituire e sviluppare in Italia vere e proprie reti fisiche di raccolta di scommesse alternative a quelle proprie dei concessionari di Stato legittimati alla raccolta del gioco mediante scommesse e con queste in diretta concorrenza all’interno di un unico mercato di riferimento.

Sentita l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, si rappresenta quanto segue. La dimensione del fenomeno è notevole. Come riferiscono le stesse società estere nel corso di processi, le reti alternative contano ormai circa 7.000 punti di offerta di gioco sul territorio, più della metà di quelli delle reti dei concessionari che assommano a circa 12.700. La convenienza a mantenere e sviluppare reti alternative sta nel vantaggio competitivo – efficace all’interno di un unico contesto di mercato del gioco interessato da concorrenza transfrontaliera, ossia quello della raccolta in rete fisica di scommesse – dato dall’assenza di costi per oneri di concessione, dal differenziale di costo fiscale tra il prelievo tributario nazionale sulla raccolta di scommesse e quello più conveniente (peraltro solo sui ricavi aziendali) del Paese di stabilimento legale della società di regia della rete alternativa in Italia (rete dei centro trasmissione dati, cosiddetti CTD), della autonomia nella scelta dei prodotti-scommessa da offrire sul mercato italiano (grazie al mancato rispetto delle regole di palinsesto italiane), nonché dall’assenza dei controlli sull’offerta di tali prodotti-scommessa (grazie al mancato collegamento al totalizzatore nazionale).

La convenienza risalta anche di più alla luce dell’obiettivo finale perseguito da tali società estere, ossia, attraverso sistematica erosione, delegittimazione e progressivo smantellamento del mercato della raccolta di scommesse gestito dai concessionari nazionali, quello di una sostanziale liberalizzazione di tale mercato, che – per quanto da loro auspicato – si dovrebbe trasformare, al più, in un «mercato meramente autorizzato».

L’attenzione concorrenziale delle società estere è concentrata sulla raccolta fisica delle scommesse. Lo dimostra anche il fatto che una di queste società ha effettivamente conseguito, a seguito di apposita gara nel 2011, una concessione per l’offerta on line di scommesse, ai sensi della legge n. 88 del 2009 (articolo 24, comma 13 e seguenti), che le permetterebbe di praticare concorrenza transfrontaliera in competizione con le altre concessionarie di gioco on line. La società, però, non utilizza appieno tale concessione, evidentemente perché è meglio – Pag. 74grazie al vantaggio competitivo sopra detto – concorrere nel settore dell’offerta di scommesse attraverso reti fisiche.

Vale precisare come si è realizzata fino ad oggi la neutralizzazione del sistema nazionale costituito da concessione ed autorizzazione, per effetto di un assunto teorico – giusto di per sé se preso isolatamente – dato anni addietro dalla Corte di Giustizia.

La Corte rilevò che nelle gare italiane del 1999 e del 2006 per l’attribuzione di concessioni per la raccolta in rete fisica di scommesse alcune prescrizioni erano comunitariamente non compatibili e tali da costituire barriera di ingresso in Italia a prestatori esteri di offerta di scommesse in regime di concorrenza transfrontaliera, di fatto discriminando – dal punto di vista concorrenziale – i prestatori esteri rispetto a quelli nazionali.

Una società estera – quella che storicamente esprime il modello organizzativo cui altre si sono accodate – si è così dotata del titolo di soggetto discriminato. La società, non partecipando alle gare dell’epoca, non ha conseguito concessione per la raccolta in Italia in rete fisica e, di conseguenza, neppure ha ottenuto provvedimento abilitativo ex articolo 88 Tulps.

La società si è concentrata su questa soluzione organizzativa: contrattualizzare una serie di titolari di esercizi (fisici) di offerta di scommesse dislocati in Italia, che a quel punto avrebbero potuto operare sotto il suo nome. Quindi ha fatto sì che questi esercizi di offerta di scommesse dialogassero in modalità telematica con lei – stabilita in un Paese dello Spazio economico europeo sufficientemente conveniente –, onde poter sostenere che tali esercizi non fossero loro a vendere prodotti-scommessa ai giocatori italiani bensì che tali prodotti-scommessa fossero venduti informaticamente direttamente all’estero.

Le autorità preposte ai controlli, applicando le norme proibitive di settore che sanzionano, anche penalmente, chi vende in Italia scommesse in assenza di concessione ed autorizzazione (i.e., licenza del Questore ex articolo 88 Tulps), hanno quindi preso ad irrogare sanzioni nei riguardi dei punti fisici di offerta di scommesse in Italia contrattualizzati con la società estera (giacché non concessionari né titolari di titolo abilitativo ex articolo 88 Tulps).

Sempre la Corte di Giustizia, investita incidentalmente da giudici nazionali che dovevano decidere sulle sanzioni impugnate dagli esercizi contrattualizzati dalla società estera o da questa impugnati direttamente, ha poi stabilito che non fosse comunitariamente compatibile una norma sanzionatoria nazionale applicata nei riguardi di un soggetto «discriminato» nei termini anzidetti.

L’effetto, a livello di contenzioso nazionale (specie in sede penale), è stato che risultassero spuntati ed inefficaci gli strumenti di contrasto alla proliferazione in Italia di punti di offerta fisica di scommesse contrattualizzati con società estera e che si dilatassero progressivamente le reti fisiche di raccolta di scommesse affrancate de facto dal quadro regolatorio nazionale.

Questo spiega la finalità ultima perseguita dal Governo con le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 643 e 644, della legge n. 190 del 2014.

Il risultato della giurisprudenza comunitaria ricordata è che, oggi, nel mercato nazionale dell’offerta di scommesse in rete fisica operano due «circuiti» di reti: quella dei concessionari di Stato e quella degli esercizi contrattualizzati con le società estere (cosiddette bookmaker). È però il secondo circuito, nei fatti, a godere del vantaggio competitivo innanzi detto.

La qualifica di soggetto discriminato, indicato dalla citata giurisprudenza comunitaria, non poteva ovviamente essere ex se eterno. In primo luogo perché, scadute le concessioni in relazione alle quali la discriminazione era stata dichiarata, questa evidentemente non poteva esistere più. In secondo luogo perché l’ordinamento nazionale ha fatto tesoro di quella giurisprudenza.

Così l’articolo 10, comma 9-octies, del decreto-legge n. 16 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44 del 2012, il cui obiettivo è stato – cogliendo l’occasione della necessità di riporre in gara 2.000 concessioni all’epoca scadute – anche quello di offrire a quanti cosiddetti bookmaker esteri avessero voluto la opportunità di entrare nel mercato dell’offerta di scommesse in rete fisica data in concessione dello Stato.

Ma la società estera sopra ricordata – ha continuato Zanetti – a differenza peraltro di un altro operatore suo collega, che si è aggiudicato un non marginale numero delle concessioni bandite – neppure ha fatto domanda di partecipazione alla selezione, assumendo che ancora una volta le condizioni di gara fossero discriminatorie.

Il motivo di questo atteggiamento sta in ciò. Soltanto ottenendo un nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, per pretesa incompatibilità comunitaria della normativa nazionale, sarebbe stato possibile perpetuare quel meccanismo di sostanziale salvacondotto che opera attraverso l’equivalenza «discriminato=non punibile» che pure, involontariamente, è stato creato dalla stessa Corte di Giustizia.

Un meccanismo che – secondo plastica traslazione esemplificativa – potrebbe portare un qualsiasi concorrente transfrontaliero rispetto al mercato italiano, per quanto regolato, ad operarvi in concorrenza con gli operatori che rispettano le regole di mercato. Ma una concorrenza falsata dalla possibilità di non dover osservare quelle stesse regole.

Rispetto alla gara della norma del 2012 è tuttavia mutato il panorama giurisprudenziale di riferimento.

Il Consiglio di Stato prima, in sede di rinvio pregiudiziale, e la Corte di Giustizia poi, rispondendo (sentenza 22 gennaio 2015), hanno stabilito che quella società estera non è stata discriminata.

In sede di giudizi penali, però, altri rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia sono stati sollevati nei riguardi della gara del 2012. Né le società estere di regia si astengono dal promuovere nuovo contenzioso. Il più recente di tutti, innanzi al Tar Lazio e di prossima decisione, anche contro le norme, e gli atti applicativi dell’Agenzia, di cui all’articolo 1, commi 643 e 644, della legge n. 190 del 2014.

In ciò, si direbbe, i motivi di questa ulteriore iniziativa giudiziaria:

da un lato, tenere salde le fila di reti che – altrimenti sfaldandosi – potrebbero non credere più al granitico assunto secondo il quale il modello organizzativo sopra descritto è vincente e lo sarà per sempre;

da un altro lato, e soprattutto, alimentare il moto continuo di rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia – per presunte nuove forme di non compatibilità comunitaria di norme nazionali – che costituisce il motore di quel modello organizzativo che si basa tutto sulla possibilità di perpetuare anche solo l’ipotesi di una discriminazione ad infinitum, all’ombra del quale poter poi via via invocare il «diritto» alla non soggezione alle norme sanzionatorie che vigono in Italia nei riguardi di chi offre e vende prodotti-scommessa in assenza di concessione ed autorizzazione.

È utile rappresentare altresì che, dal punto di vista fenomenico, quello che gli stessi onorevoli interroganti definiscono «salvacondotto comunitario» si manifesta come una medaglia a due facce.

Da un lato, le sembianze di un elaborato processo argomentativo di tipo giuridico. Dall’altro, però, una aggressività nella incalzante pretesa della totale immunità dal pur possibile vaglio critico della sua stessa plausibilità e tenuta.

Si allude all’amplissimo fenomeno messo in atto da una delle società estere in questione di progressiva e sistematica diffida di tutto il personale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (oltre che del coadiuvante personale delle Forze di Polizia), impegnato nei propri ordinari compiti di istituto, e financo dei vertici dell’Agenzia, a disapplicare in logica comunitaria tutte le norme nazionali sanzionatorie che invece, per ambito soggettivo ed oggettivo, si applicherebbero alla società e alla sua rete fisica di offerta di scommesse sul territorio nazionale. E ciò perché, a Pag. 76suo dire, proprio quello che qui è stato sinteticamente definito un «ragionamento salvacondotto» imporrebbe tale risultato ed effetto.

Agli atti di diffida, se ritenuti non ottemperati, la società fa quindi seguire sistematicamente veri e propri atti di citazione di quel personale innanzi al G.O. per il risarcimento dei danni che essa assume di subire (e la cui prova viene data per implicita ed assodata, pur se il persistente sviluppo della fenomenologia del sistema lascerebbe pensare l’esatto contrario) in conseguenza degli atti sanzionatori dell’Amministrazione che vengono – causa carenza di concessione ed autorizzazione – adottati per la non osservata disapplicazione pretesa.

La «politica» di un siffatto modo di agire è sufficientemente chiara: riuscire progressivamente a mettere sotto scacco l’intera azione amministrativa dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, e delle Forze di Polizia che la coadiuvano istituzionalmente, e a paralizzarla, in modo da coronare anche nei fatti «l’effetto salvacondotto» frutto dell’impianto argomentativo sopra descritto.

Sono ormai giunti circa 230 atti di diffida ai dipendenti e 19 atti di citazione in giudizio per risarcimento dei danni.

La paralisi dell’azione dell’Agenzia non si ferma al fronte degli atti sanzionatori. La società estera più attiva sul fronte giudiziario assume che illegittimi siano anche gli atti di accertamento tributario che l’Agenzia adotta per il mancato assolvimento della fiscalità nazionale sulle singole transazioni di gioco che si realizzano in occasione di ciascuna vendita di un prodotto-scommessa da parte della rete fisica di offerta di gioco che con la società è contrattualizzata.

All’architettura argomentativa della società (basata sull’assunto che i contratti di scommessa si concludano all’estero e che quindi in Italia non ricorra il presupposto impositivo per la fiscalità nazionale sul gioco) è però replicabile che:

1) una discriminazione, pur patita in occasione di gare risalenti nel tempo vale al più per il periodo di durata delle concessioni attribuite in forma discriminatoria. Allo stato, tutt’al più, una discriminazione patita risulta essere stata affermata dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) solo fino alle gare anteriori a quella del 2012;

2) comunque, quando pure un soggetto sia stato discriminato questo non significa affatto che quel dato soggetto possa liberamente esercitare l’attività per la cui legittimazione la procedura selettiva era stata indetta, come se dunque la procedura stessa, e la relativa selezione, non servissero a nulla;

3) non è vero che la CGUE abbia affermato che una società estera di regia possa operare in Italia, attraverso CTD, a suo totale piacimento. All’opposto, la sentenza 12 settembre 2013 della CGUE ha affermato che, in ogni caso, la discriminazione patita in passato da una società non legittima affatto i suoi CTD ad operare in assenza dell’altro titolo abilitativo necessario in Italia per offrire scommesse, ossia il provvedimento ex articolo 88 Tulps;

4) non vale invocare il fatto che la società paga imposte all’estero, tra l’altro esclusivamente «sul margine», ossia sulla differenza tra denaro raccolto con le scommesse e vincite pagate, senza nulla dovere al fisco straniero sulle singole transazioni di gioco costituite dalle singole scommesse vendute. Queste imposte, ove la società avesse sede in Italia, equivarrebbero allora alla nostra Ires. Ma le concessionarie di Stato, in Italia, pagano, oltre all’Ires, anche le imposte sul gioco raccolto in forma di scommessa. La simmetria, dunque, è totalmente imperfetta;

5) è un «gioco di specchi» far credere che l’offerta di gioco della società estera operi, a livello giuridico-contrattuale, secondo lo schema della «offerta al pubblico». Si sa che nel nostro ordinamento, anche in materia di contratti, la sostanza prevale sulla forma. Ad un esame più attento del fenomeno, allora, non si può disconoscere che, in ogni caso, è sempre il giocatore italiano a costituire la Pag. 77parte contrattuale «proponente» nei riguardi di una parte contrattuale «accettante» estera che ha sempre e comunque il diritto di rifiutare l’offerta (delle condizioni) di gioco – del giocatore in Italia – che le viene trasmessa informaticamente attraverso il CTD. Del resto, questo è ora anche legislativamente ribadito dall’articolo 1, comma 643, alinea della legge n. 190 del 2014, dove si legge «in considerazione del fatto che, in tale caso, il giocatore è l’offerente e che il contratto di gioco è pertanto perfezionato in Italia e conseguentemente regolato secondo la legislazione nazionale».

Al momento, la giurisprudenza delle Commissioni tributarie è percentualmente favorevole all’Amministrazione: 68 le decisioni positive per l’Erario, 38 quelle contrarie.

Questo scenario non esaurisce però il panorama problematico per il quadro regolatorio nazionale in materia di raccolta di scommesse. Al contenzioso ancora pendente – e dal quale i ricorrenti sperano di ottenere nuovi rinvii pregiudiziali in Corte di Giustizia – altro se ne aggiungerà. La società estera più attiva, oltre ad avere impugnato come detto, insieme ad altra analoga società estera, le disposizioni di cui ai commi 643 e 644 citati, ha già mediaticamente annunciato che impugnerà anche tutti i titoli abilitativi ex articolo 88 Tulps che saranno rilasciati dalle Questure ai soggetti che hanno chiesto di regolarizzarsi ai sensi dell’articolo 1, comma 643, della legge n. 190 del 2014 (e si tratta di quasi 2.200 soggetti).

Per rispondere dunque al quesito conclusivo degli On.li interroganti, – conclude Zanetti – si crede che l’unica soluzione veramente affidabile a breve non possa che essere la seguente: attuare la delega legislativa di cui all’articolo 14 della legge n. 23 del 2014.

Lo schema di decreto delegato, che riconfermerebbe, in tema di raccolta di gioco in rete fisica, il modello tradizionale della concessione ed autorizzazione, peraltro in formale e sostanziale aderenza ai principi e criteri direttivi della delega legislativa, dovrà necessariamente essere sottoposto ad esame e giudizio anche della Commissione europea.

Se questo giudizio sarà favorevole all’impianto italiano difficilmente potranno sopravvivere contestazioni da parte di concorrenti transfrontalieri.

Una riprova sta nelle disposizioni di cui all’articolo 24, comma 13 e seguenti, della legge n. 88 del 2009 che disciplinano la raccolta di gioco (incluse le scommesse) attraverso reti on line.

Nessuna delle società estere in argomento, fino ad oggi, ha mai eccepito alcunché in relazione a questa disciplina.

Anzi la più attiva delle società estere sul fronte del contenzioso, relativamente al mercato della raccolta di gioco in rete fisica, si è addirittura procurata di sua libera scelta, come detto, una di tali concessioni.

Dunque l’attuazione della delega legislativa – o comunque un qualunque adattamento del quadro regolatorio nazionale –, abbinata al suo riscontro positivo in sede comunitaria, potranno solo fornire un quadro di certezze regolatorie in vista della scadenza di tutte le concessioni di Stato in tema di scommesse che avverrà a giugno 2016. Diversamente questa scadenza potrà coincidere con un panorama contenzioso ed incerto alquanto ampio.

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