29 Marzo 2024 - 06:17

Sapar contro le affermazioni di Mons. Delpini e Mons. D’Urso: “Il proibizionismo è l’anticamera del gioco illegale”

Ferma e circostanziata arriva la risposta da parte dell’associazione dei gestori di apparecchi da gioco Sapar nei confronti delle recenti esternazioni del mondo clericale e nello specifico del Vescovo di

07 Gennaio 2019

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Ferma e circostanziata arriva la risposta da parte dell’associazione dei gestori di apparecchi da gioco Sapar nei confronti delle recenti esternazioni del mondo clericale e nello specifico del Vescovo di Milano Mons. Delpini e del presidente della Consulta antiusura, mons. Alberto D’Urso.

 

 

In merito alla lettera indirizzata da Mons. Delpini ai parroci della diocesi di Milano che esorta i prelati a farsi carico di problemi come l’azzardo che egli definisce  “la nuova patologia che, insieme ad aggravare l’esposizione debitoria con banche e finanziarie, spesso sfocia nell’usura”, la Sapar ricorda le dichiarazioni di Antonio De Donno, Procuratore della Repubblica di Brindisi, presidente del Comitato Scientifico Osservatorio Eurispes: “Proibizionismo e para-proibizionismo sono l’anticamera del gioco illegale gestito dai settori malavitosi. Chi ha una diretta percezione di cosa è avvenuto e avviene nei territori, deve con nettezza rilanciare questo allarme che, certo, non annulla quello relativo ai rischi di “azzardopatia”, ma non può rimanere inascoltato”.

“Non sono affermazioni di parte – afferma l’associazione – ma tesi che trova maggior conforto nelle operazioni coordinate di recente dal sostituto procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Stefano Musolino e dal procuratore del capoluogo calabrese Nicola Gratteri i quali ben conoscono quale sia il terreno fertile attraverso cui la criminalità organizzata opera mediante l’espansione incontrollata del gioco online illegale.

Le affermazioni di mons. Delpini non possono non sollevare forti perplessità sulla reale consapevolezza del fenomeno soprattutto quando la generalizzazione contribuisce a confondere il gioco pubblico con quello illegale. E soprattutto quando, data la delicatezza dell’argomento, si corre il rischio di accostare consorterie criminali e malavitose con imprenditori e operatori che esercitano attività legali da decenni. Invero il rapporto Eurispes, correlato allo studio dell’Istituto Superiore della Sanità, restituisce un quadro molto più razionale del problema confermando un principio: la sistematica e progressiva contrazione  del gioco pubblico, e con esso le misure dirette o indirette tese a limitare l’esercizio della libera impresa riconosciuta e controllata dallo Stato, si traduce in un trasferimento delle attività nelle mani delle organizzazioni criminali, favorendo il radicarsi nel tessuto sociale di problematiche a cui lo stesso arcivescovo di Milano fa riferimento nel suo accorato appello. Sulla base dell’allarme sociale lanciato da Mons. Delpini, se il perno della regolamentazione è e resta il “distanziometro” che riduce drasticamente la possibilità di mantenere aperti punti vendita del gioco, quali presidi di legalità, dai luoghi sensibili, alla pari della esorbitante pressione fiscale esercitata dallo Stato nel settore delle apparecchiature da gioco, è evidente come gli auspici del prelato milanese non possono che restare impressi solo sul libro delle buone intenzioni”.

 

 

 

“Sorprendono, ma non più di tanto – continua l’associazione Sapar commentando le dichiarazioni di Mons. D’Urso – le esternazioni che sempre più spesso Monsignor d’Urso, presidente della Consulta nazionale antiusura riserva sui media nazionali nei confronti del gioco pubblico. Tanto più che il prelato, mai disponibile ad un confronto costruttivo sui temi delle dipendenze patologiche con le organizzazioni settoriali, ignora con consapevolezza l’esistenza di una industria del gioco fatta di lavoro, investimenti e persone in carne e ossa.

Ebbene in questo principio d’anno paradossalmente ci troviamo d’accordo con le affermazioni di Monsignore il quale dopo aver predicato la cancellazione del gioco e aver rivolto il plauso a questo governo per l’introduzione del decreto Dignità si trova ora costretto ad un rapido dietrofront e cambiamento di rotta. Le ragioni vengono sintetizzate in un dato essenziale confortato da studi riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale che riguardano la limitazione della pubblicità enfatizzata da Di Maio e professata da Mons. D’Urso i cui effetti di deterrenza sul gioco sono stati clamorosamente smentiti dalle cifre.  La fonte è ancora una volta l’Istituto Superiore della Sanità nel suo ultimo rapporto. Solo una insignificante percentuale di giocatori viene stimolata dalla pubblicità se non paradossalmente ottenere l’effetto contrario per chi soffre di dipendenze patologiche. Del resto non c’è bisogno di essere degli “stregoni” del marketing per comprendere che i canali di diffusione si sono così largamente modificati nel tempo da poterne controllare l’effetto.

Il punto di svolta è che Mons. D’Urso racconta anche delle bugie e per l’abito che indossa non è di esempio per il mondo cattolico e clericale quando cita cifre distorte. Ma a lui piace così. Affermare che gli italiani hanno speso nel gioco 107 miliardi significherebbe dire che nelle casse dello Stato è entrata una valanga di denaro considerando la continua vessazione a cui è sottoposto il settore. Invero mons. D’Urso omette che oltre il 70 per cento di quell’importo e’ rientrato nelle tasche dei giocatori e che sulla rimanente parte, solo una piccola porzione entra nelle casse delle imprese che investono e pagano stipendi ai lavoratori.

Ma tant’è, mons. D’Urso ha l’obbligo di mantenere una linea di coerenza che sempre più spesso confligge con la realtà dei fatti e che in questo frangente gli impone di prendersela con l’Esecutivo giallo verde sul tema della pubblicità (che per Di Maio è pura propaganda). Il secondo aspetto è ancor più grottesco quando il presidente della Consulta nazionale parla di uno Stato che per rimpinguare le casse usa il settore del gioco a scapito dei cittadini. Ebbene se n’è accorto anche lui che lo Stato utilizza il settore come fosse un bancomat dal quale attingere secondo le necessità contingenti pur di tacitare l’ira di Bruxelles. Ma non dice ancora la verità deragliando sull’argomento poiché i nuovi poveri, prossimi o futuri, non sono quelli a cui D’Urso si riferisce, piuttosto ai lavoratori del gioco pubblico ai quali non riserva alcuna parola di conforto ma che semmai preferisce ignorare come fossero solo numeri.

“Il prelievo fiscale – sostiene il prelato – non produrrà  la riduzione dei punti gioco” e dunque sarebbe necessario aggiungere come più volte sostenuto, che la vera natura del problema ruota attorno ad un errato approccio metodologico nell’affrontare con consapevolezza i problemi delle dipendenze patologiche che non si risolve con l’aumento indiscriminato della tassazione a carico delle imprese.

Al riguardo sarebbe opportuno ricordare che sebbene questo elemento abbia determinato la chiusura di numerose attività non ha modificato il monte complessivo nel settore del gioco”.

 

PressGiochi