di Chiara Sambaldi e Andrea Strata
Si può ancora parlare di libertà di impresa?
Se lo chiedono gli avvocati Chiara Sambaldi e Andrea Strata nell’ultima uscita di PressGiochi MAG.
La domanda, volutamente provocatoria, nasce dall’analisi di una recente pronuncia del giudice amministrativo che sembra riservare all’attività di impresa nel settore del gioco pubblico una valutazione parziale e afflittiva.
Lo spunto proviene dalla sentenza con la quale il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità della nota della Regione Lazio dell’11 gennaio 2023 n. 32218, relativa ai chiarimenti sulla legge regionale n. 5 del 2013, come modificata dalla L.R. n. 16 del 2022 (Sez. V, n. 5176 del 13 giugno 2025). Con tale intervento, come noto agli addetti ai lavori, sono stati introdotti nuovi adempimenti a carico degli esercenti che gestiscono apparecchi da gioco, finalizzati a tutelare categorie di soggetti maggiormente vulnerabili e a prevenire fenomeni di dipendenza.
Senza entrare nel dettaglio tecnico delle motivazioni — che richiederebbero uno spazio diverso — ciò che qui interessa è il bilanciamento degli interessi in campo e il “pregiudizio” che sembra impedire una valutazione più approfondita dell’attività delle imprese del settore.
Il Consiglio di Stato, muovendo dalla constatazione che il fine di utilità sociale (posto a fondamento delle restrizioni) è la tutela della salute pubblica, giunge a escludere la necessità di un controllo di proporzionalità tra mezzo (le restrizioni all’attività di impresa) e fine (la protezione della salute).
Secondo la sentenza, la libertà di iniziativa economica nel settore del gioco si colloca in una posizione peculiare rispetto ad altri mercati poiché il fenomeno “si presta a fornire l’habitat ad attività criminali”.
Ne consegue che le restrizioni imposte alle imprese di gioco “non possono che tenere conto della “pericolosità” del settore, che richiede interventi più incisivi rispetto ad altri segmenti di mercato, che non evidenziano altrettanti profili patologici”. E ancora: “la comparazione fra libertà di impresa e restrizioni deve tenere conto del fatto che le derive patologiche sono connaturali al settore”.
A sostegno delle proprie conclusioni, il Collegio richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo la quale la violazione dell’art. 41 Cost. si configura solo in presenza di un’arbitraria individuazione dell’utilità sociale perseguita o di una palese incongruità delle misure adottate (Corte Cost., 31 marzo 2015 n. 56). Nel caso in esame, secondo il Supremo giudice amministrativo, l’utilità sociale si identifica nella tutela della salute e dell’ordine pubblico, senza che risulti dimostrata l’incongruità delle misure introdotte dalla Regione Lazio.
Tuttavia, il ragionamento della Corte Costituzionale in materia di limitazioni alla libertà di impresa è più articolato. Già con la sentenza n. 548 del 19 dicembre 1990 (in materia di trasporto merci), era stato affermato che ciò che rileva è che l’intervento legislativo non condizioni le scelte imprenditoriali “in grado così elevato da sacrificare le opzioni di fondo” o “restringendone in rigidi confini lo spazio e l’oggetto delle stesse scelte organizzative”. Si tratta dunque di una valutazione che implica l’analisi concreta dello spazio riservato alle scelte organizzative e dei margini di operatività delle imprese.
Ecco perché, al di là dell’esito della sentenza, a lasciare perplessi è l’impianto argomentativo: esso sembra enfatizzare la “pericolosità” del settore, senza considerare l’impatto concreto delle singole misure restrittive sulle imprese, fino a neutralizzare ogni valutazione di proporzionalità, come invece richiesto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE.
Un elemento ulteriore di riflessione arriva dal recentissimo intervento della Corte costituzionale, con la sentenza n. 104 del 10.07.2025, che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 7, comma 3-quarter, del Dl n. 158 del 2012. Tale disposizione sanciva il divieto di messa a disposizione, presso pubblici esercizi, di apparecchiature collegate telematicamente a piattaforme di gioco online.
In quel caso la Consulta ha rilevato anche la violazione dell’art. 41 Cost., affermando che “la disposizione censurata introduce una misura di tutela del diritto alla salute consistente in un divieto volto a fronteggiare la diffusione della ludopatia tramite la delimitazione dell’offerta di gioco online che comunque rimane capillare e vastissima, anche attraverso canali di accesso diversi da quelli contemplati dalla disposizione in esame. Ciò rivela la modesta efficacia della misura rispetto alla sua finalità, a fronte di una significativa e immediata compressione degli interessi contrapposti, fra i quali, in primo luogo, la libertà di impresa. Anche sotto questo profilo, l’estensione del divieto in esame risulta sproporzionata rispetto agli obiettivi che esso si prefigge”.
La Corte ha, inoltre, sottolineato la necessità di valutare la legittimità delle restrizioni anche alla luce della giurisprudenza europea. Secondo la Corte di Giustizia UE, infatti, pur essendo gli Stati membri liberi di stabilire obiettivi e livelli di protezione nel settore del gioco, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi devono comunque rispettare il principio di proporzionalità. In particolare, va verificato che la normativa restrittiva persegua davvero l’obiettivo di ridurre le occasioni di gioco, limitare le attività e contrastare la criminalità in modo coerente e sistematico (CGUE, seconda sezione, sentenza 14 giugno 2017, causa C-685/15, Online Games Handels GmbH e altri, punti 49-50).
Ne deriva che, come ricordato dalla Consulta, il giudice nazionale è sempre chiamato a valutare proporzionalità e adeguatezza delle restrizioni rispetto al fine perseguito. Non appare, quindi, conforme ai principi europei un approccio che escluda, in via preventiva, questo tipo di analisi.
Su un piano più ampio, un simile metodo di giudizio sembra presupporre che l’attività delle imprese del gioco legale non meriti spazio di approfondimento. Eppure, un esame attento conduce a riconoscere che si tratta di un’attività sottoposta a controlli stringenti, fortemente strutturata e, soprattutto, “necessaria” per evitare che chi vuole giocare sia attratto dall’illegalità e dalla criminalità, in un ecosistema privo di tutele per salute e sicurezza.
Provando a rispondere alla domanda iniziale, si può osservare che l’equilibrio tra libertà di impresa e gioco pubblico è sempre più fragile. Ne consegue l’importanza che il comparto imprenditoriale, sul piano istituzionale, percorra la strada per il riconoscimento del ruolo di interlocutore autorevole al fine di dare il proprio contributo al disegno delle politiche pubbliche dei giochi in concessione.
PressGiochi MAG






