25 Aprile 2024 - 04:02

Poker illegale: Wired.it ci porta all’interno delle bische online

Attraverso un articolo di Wired.it, al quale la testimonianza di una fonte, che attraverso la piattaforma WiredLeaks ha segnalato in modo anonimo le regole di ingaggio delle bische online, anche noi possiamo “sederci” al tavolo da gioco…

24 Maggio 2021

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Attraverso un articolo di Wired.it, al quale la testimonianza di una fonte, che attraverso la piattaforma WiredLeaks ha segnalato in modo anonimo le regole di ingaggio delle bische online, anche noi possiamo “sederci” al tavolo da gioco, verificando schemi ed escamotage adoperati per organizzare le partite di poker fuorilegge. Una zona grigia dove, come confermano indagini della Polizia e della Guardia di finanza, la malavita ha vita facile per riciclare denaro. Lo schema è semplice, come racconta la nostra fonte: “Con l’arrivo della pandemia, i giocatori d’azzardo e i gestori delle bische locali hanno dovuto adeguarsi e hanno portato le bische online: con app per smartphone e siti internet non regolamentati”.

Nelle applicazioni si scommettono soldi finti solo in apparenza, perché chi organizza i tornei di poker li pretende veri e in anticipo. Attraverso versamenti via Paypal, buoni regalo digitali o ricariche telefoniche si paga il dazio di ingresso (spesso indicato nelle locandine dei tornei dei social network, senza precisare però che l’unità di misura è in euro) e ci si ritrova con fiches o crediti equivalenti alla somma spesa. In questo modo, dice la fonte, “tu sei libero di giocare online soldi veri senza passare da nessun controllo”. Un sistema alla luce del sole che sottrae il denaro al vaglio dell’Agenzia delle dogane e monopoli e a quella delle entrate, immettendolo in un circuito alternativo ai conti correnti regolati, imposti in Italia alle aziende che hanno ottenuto le concessioni per il gioco legale proprio per monitorare le transazioni.

Per entrare nel giro delle bische di poker online, la prima porta a cui bussare sono i gruppi di organizzatori e partecipanti sui social network. In questo articolo non citeremo esplicitamente i nomi di questi ritrovi, per non agevolare chi li cerca, né faremo quelli di persone coinvolte non conoscendo il grado di coinvolgimento e responsabilità, in ossequio al principio di essenzialità dell’informazione. Chi è dentro questi circuiti riceve le indicazioni per iscriversi ai tornei di poker che si svolgono di sera, quasi quotidianamente, e che sono sponsorizzati (benché nel 2018 il decreto Dignità abbia vietato la pubblicità sui giochi) con formule tipo “buy in 20”. Nessuno lo dice, per ovvi motivi, ma quei 20 sono euro. Soldi veri. In alcuni casi è necessario un lungo lavoro di convincimento e una rete di profili-amici in comune che assicura agli organizzatori che il nuovo arrivato è affidabile. In altri casi basta mettere le mani sul contatto Whatsapp che tira le fila della partita e inviare un semplice messaggio: “Voglio giocare”. Per chi indaga sul gioco illegale, queste barriere all’ingresso sono sempre indizi che fanno drizzare le antenne, “Accendiamo una spia anche quando vediamo piattaforme a cui occorre essere invitato, per accedere”, commenta Cristian Maffongelli, commissario capo del Servizio centrale operativo della Direzione centrale anticrimine della Polizia.

Wired ha utilizzato un profilo creato ad arte su Facebook, la cui immagine è stata generata con programmi di intelligenza artificiale, per mettersi sulle tracce dei gruppi di giocatori, partendo dalle indicazioni della fonte relative a casi in Emilia Romagna. Non siamo stati subito fortunati. In alcuni casi siamo stati lasciati alla porta. Fino all’incrocio con un altro gruppo emiliano, che su Whatsapp non si fa molti scrupoli sull’identità del nuovo arrivato: “Ti posso caricare io… Come preferisci mandarmeli [i soldi, ndr]? Postepay? Paypal?”. Il cruccio del canale da cui muovere il denaro non è di poco conto. Per dare un nome e un cognome a chi gioca, in Italia le autorità hanno introdotto il conto gioco. Le aziende che ottengono una concessione sono tenute ad aprirne uno, prima che l’utente possa fare una scommessa o una mano di poker. “L’Unione europea stabilisce che questo conto deve essere alimentato da un conto corrente o da carte ricaricabili intestate al soggetto”, spiega Carlo Alluvion, del nucleo che si occupa di scommesse alla Direzione centrale anticrimine. E già così, a voler fare i furbi, c’è una scappatoia: “Dietro le mie generalità potrebbe operare un altro”, osserva Maffongelli.

Ma nel mondo digitale è ancora più facile incappare in app che non hanno titoli per operare in Italia. “Le concessioni sono ferme, in attesa di un nuovo concorso” – spiega Maffongelli – “e il giocatore non si rende conto se la piattaforma è illegale”. Proprio come quella su cui il nostro contatto ci invita a giocare: Pppoker. Basta consultare l’elenco di siti e app autorizzati dall’Agenzie delle dogane per constatare che non è tra questi.

Un controllo più approfondito rivela che dietro Pppoker c’è una società con un conto corrente aperto presso la Cayman National Bank nel paradiso fiscale inglese dell’Isola di Man. È la Aceking Tech Limited, 100% proprietà di un 34enne di nazionalità cinese, Cheng Chen, e diretta dal connazionale Jiang Pu, a sua volta domiciliata nel paradiso fiscale di Anguilla (territorio britannico d’oltremare nei Caraibi). Aceking, avviata nel 2015, nel 2018 ha totalizzato un giro d’affari di 3 milioni di sterline, rivelano dei documenti ottenuti da Wired. Ppoker ha fatto anche richiesta di un’autorizzazione ufficiale alle autorità che regolano le scommesse sull’Isola di Man, dichiarando 1,3 milioni di utenti unici nel 2018 con una previsione di incassare una media annua di fee nell’ordine dei 4 milioni di sterline.

Per prendere casa sull’isola al largo del Regno Unito, Cheng Chen si è rivolto allo studio legale locale Mann Benham, il quale ha fornito, come si legge testuale nel documento, “gli altri due direttori di questa società: Paul Williams e Neil Young”. Un curioso caso di doppia omonimia con i ben più famosi musicisti in voga negli anni ‘70. Wired ha chiesto chiarimenti a Pppoker, che non ha fornito risposte prima della pubblicazione di questo articolo. “È difficile il monitoraggio online di bookmaker rimasti irregolari”, ammette Alluvion: “La polizia oscura i siti illegali, ma è un procedimento laborioso, perché basta che cambino estensione per rinascere. E il giocatore neanche se ne accorge”. Più di mille siti sono stati chiusi solo nel 2019. Gli fa eco Antonio Todisco, brigadiere capo della Guardia di finanza: “Spesso i server sono collocati in paesi canaglia o in stati extra-Ue”. E gli operatori sono veloci a cambiarli, sfuggendo alla presa delle autorità e saltando di dominio in dominio pur di tenere online la propria piattaforma.

Siccome queste piattaforme non aprono conti gioco regolari, per far circolare il denaro si usano canali alternativi. Versamenti via Paypal, buoni regalo, ricariche telefoniche o carte ricaricabili, senza nessun controllo dell’identità di chi versa e nessuna trasparenza su chi incassa. Noi abbiamo adoperato un profilo e generalità false per assicurarci il corrispettivo di crediti da giocare online. E “il frazionamento delle scommesse consente di far sparire denaro”, osserva Maffongelli, rendendo più difficile attenersi all’adagio per eccellenza di un buon investigatore: follow the money. Parcellizzato in piccole tranche (10-20 euro per i tornei di cui abbiamo potuto consultare le locandine) e smaterializzato (tanto che di valuta non si parla quasi mai sui canali ufficiali), il denaro viene tramutato in luccicanti monete d’oro virtuali. Crediti che sembrano “soldi finti”, come confessa la nostra fonte, ma che, come abbiamo potuto constatare con mano, sono veri. Specie quando li perdi.

L’importante è che la macchina continui a triturare contanti. Per questo, spiegano dalla Polizia, le mafie, che hanno trovato in questo sommerso digitale l’habitat ideale per mettere radici, puntano sulla manipolazione della mente di chi gioca. “Il gioco online è finalizzato a lavorare sulla compulsività del giocatore” – dice Maffongelli. “Offrono il play 4 fun, gioco gratuito che stimola la compulsività e ti fa passare a quello a pagamento”.

Tutta l’architettura della app è pensata per non farti allontanare dallo schermo. L’esperienza di gioco è travolgente e non lascia spazio a ripensamenti. Download, registrazione utente, neanche il tempo di entrare che da subito il giocatore viene “premiato” con delle monete d’oro virtuali e trascinato all’interno di un tavolo nel quale giocarle. Allontanarsi dal panno verde, seppur virtualmente, sembra improbabile: selezionando il pulsante “lascia il tavolo”, infatti, l’app ci riporta sempre alla stanza di gioco, meglio se con un tris di carte alte. Le prime volte si ha l’impressione di essere stati baciati dalla dea bendata con giocate fortunate. Anche la sola registrazione dell’account è vorticosa ma senza ostacoli o perdite di tempo che possano bloccare il giocatore: un nome a caso, password ai minimi requisiti di sicurezza, nessuna mail di conferma o altre forme di protezione dei dati.

Ma non è per l’intrattenimento offerto dal software in sé che siamo qui. Fatto il versamento in denaro al nostro intermediario – 40 euro su un conto Paypal intestato a un’altra persona – si aprono le porte sala privata nel “retrobottega” dell’app. In questo privé digitale, tra le nove di sera e le tre del mattino, siedono tra i 9 e i 15 giocatori. Dopo alcune ore di gioco l’impressione è che si conoscano tra di loro: generalmente aggressivi sui rilanci, solo quando il nostro giocatore aumenta la puntata stanno sulla difensiva e più volte passano la mano. Stiamo rompendo il ghiaccio, e dietro il nostro nickname e la foto profilo di un piccolo alieno non sanno se si nasconda un giocatore professionista, un dilettante fortunato o un osservatore con altre intenzioni che stracciare i concorrenti.

Tuttavia le carte danno il ritmo, e sono sufficienti poche ore per terminare le fiches e venire invitati a lasciare il tavolo, fatta salva la disponibilità di ricaricare il credito con un’altra puntata da venti euro. E la trappola, il cosiddetto rebuy (nuovo acquisto), per i ludopatici è servita. Il meccanismo è lo stesso delle sale fisiche, chiarisce la nostra fonte. “Anche prima del lockdown, dalle 23.30 i giocatori non potevano più comprare fiches perché altrimenti il gioco sarebbe durato all’infinito”, spiega: “Ma i gestori ci tenevano ad annunciare in anticipo l’arrivo di quell’orario così che chi avesse gettoni potesse giocarseli tanto male da uscire dal torneo e chiedere di rientrare con una nuova posta completa”. Sul fil di lana, anche noi siamo rientrati con una nuova posta, dopo una giocata sbagliata. E così altri venti euro sono finiti ufficialmente nelle tasche dell’organizzatore.

“Questo meccanismo è assolutamente vietato in Italia”, spiega Luca Giacobbe, avvocato specializzato in diritto del gioco: “Proprio per prevenire che si tragga vantaggio dalla dipendenza del giocatore, una volta pagato l’ingresso in un torneo e solo previo il rilascio di una concessione, non è possibile acquistare un nuovo titolo ad accedere al tavolo”. Eppure quasi tutti lo fanno almeno una volta, nelle partite a cui abbiamo assistito.

“Un altro principio fondamentale è quello della riconoscibilità del giocatore: tutti gli erogatori sono tenuti a mettere in atto dei meccanismi in grado di prevenire il cheating, che si verifica quando due giocatori si accordano e interagiscono in modo da aiutarsi a vincere”, dice il legale. Uno schema spesso riconosciuto dalle indagini della Polizia e della Guardia di finanza. A questo serve la certificazione dell’Agenzia delle accise, dogane, monopoli, che accerta il corretto funzionamento dei servizi online, di fatto garantendo che il software non imbrogli i giocatori. “Al solito, l’Italia è il paese delle regole e non c’è settore più regolamentato di quello del gioco”, puntualizza Giacobbe: “Ma se da un lato i controlli sono serratissimi nei confronti degli operatori legalmente autorizzati, dall’altra fiorisce in modo incontrollato il gioco illecito, che non viene intercettato e di fatto è fortemente favorito anche da un impianto normativo ipertrofico”.

Ma non sono solo le norme sul gioco a cadere di fronte all’assenza di controlli sulle bische clandestine: uno dei problemi principali è costituito dalla possibilità di aggirare le norme antiriciclaggio, necessarie a tenere la criminalità organizzata quanto più lontana da una raccolta (il totale delle puntate) che nel 2019 ha raggiunto i 110 miliardi (dati Agenzia dogane e monopoli).

Per le mafie il gioco d’azzardo è stato sempre un affare redditizio. Da un lato è un’infaticabile lavanderia per il denaro sporco. Todisco spiega che, per esempio, gregari della malavita lavano gli incassi di attività di riciclaggio ai videopoker, inserendo le banconote nella macchinetta e bloccando poi la puntata, come se avessero un ripensamento, in modo da mettersi in tasca soldi di cui, nel giro di pochi secondi, diventa acclarata la provenienza. Che il gioco sia illegale o meno, poco conta. Quello che interessa è assicurarsi entrate costanti. Nel 2019 Federico Cafiero de Raho, procuratore antimafia, stimava che il gioco illegale muove ogni anno circa 20 miliardi di euro in Italia. Un euro ogni cinque di quelli scommessi. D’altronde, per farli sparire, basta un click.

 

 

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