19 Aprile 2024 - 21:24

Ora che il videogame è diventato sport, vuol diventare anche business

Poco prima della pandemia, Malta si era candidata a diventare “l’hub europeo per gli eSports”. E nell’ultimo Sigma, la manifestazione che si è svolta la scorsa settimana dopo due anni

25 Novembre 2021

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Poco prima della pandemia, Malta si era candidata a diventare “l’hub europeo per gli eSports”. E nell’ultimo Sigma, la manifestazione che si è svolta la scorsa settimana dopo due anni di fermo dovuto proprio al Covid, questo settore impegnava un intero settore espositivo con due team che si sfidavano davanti al pubblico dei visitatori e un palcoscenico sul quale si alternavano esperti e operatori del settore.

Per capire quali siano le reali connessioni tra i videogiochi agonistici (questo sono gli eSports) e il mondo del gioco con puntate in denaro, PressGiochi ha intervistato Kersten Chirchop, vicepresidente della Malta eSports association.

 

Una manifestazione come Sigma è il punto d’incontro delle aziende che operano nel settore del gioco. Ma gli eSports rappresentano un business?

“Per essere onesti, questa presenza a Sigma è dovuta molto al fatto che durante l’emergenza covid gli eSports sono diventati molto interessanti per il betting perché non c’erano più gli eventi sportivi sui quali potere scommettere. Calcio, corse e tutto il resto sono stati sospesi per un certo periodo e i bookmaker hanno visto negli eSports un’opportunità di business. Una volta che si è capito come questo mondo possa generare business, ovviamente pensiamo di potere interagire molto di più con gli altri settori economici. Anche le persone stanno scommettendo un po’ di più in quest’ambito”.

Malta ha approvato già da qualche anno delle norme specifiche che favoriscono gli eSports. Questo vuol dire che può ospitare degli eventi che non si potrebbero svolgere in altri Paesi? Penso per esempio all’Italia, dove ci sono grosse limitazioni ai tornei sportivi che prevedono premi in denaro.

“Da noi c’è indubbiamente un vantaggio di tipo fiscale. La quota di tasse che si paga è più bassa, rispetto altri Paesi. Per le società straniere, Malta applica una quota fissa del 5%. Se si ospita un tour internazionale, e una squadra straniera vince, solo una piccola parte del premio viene tassata. E questo può attirare l’organizzazione di molti eventi, che in altri Paesi dell’Ue si vedrebbero decurtati i premi anche del 50%: se ci sono in palio 1 milione di dollari, 500mila vanno allo Stato come tasse”.

Durante una presentazione, lei ha detto che negli eSports sono coinvolti molti soggetti. Tra gli altri, anche le università. Ma cosa c’entrano con un’attività strettamente ludica?

“Quando parliamo di eSports non dobbiamo pensare solo a chi gioca con i videogame. Ci sono tante professioni che gli ruotano intorno. Abbiamo videografici, designers, programmatori. E ovviamente l’università deve essere sempre aggiornata su quelle che sono le esigenze del mondo produttivo, per quel che riguarda i talenti che devono essere formati con specifici corsi che possono interessare un giocatore con la prospettiva di una carriera professionale”.

C’è un grosso limite in questo settore: l’età dei giocatori è molto bassa. Ma sta cambiando qualcosa? Il limite si sta alzando un po’?

“Negli ultimi cinque anni abbiamo visto un gioco, Fortnite, che ha conquistato bambini di sei-sette anni insieme a giochi come Counter strike che si è affermato tra appassionati di 35-40 anni. Quindi, se pensiamo a 10 anni fa quando il grosso degli appassionati era tra i 15 e i 25 anni, questa fascia si è ampliata molto. E, di conseguenza, tutti gli eSports si sono diffusi ancora di più. I giocatori di una volta sono cresciuti e adesso hanno dei bambini. Se li vedono giocare con i videogame, non diranno loro “vai fuori a giocare!” o cose del genere. C’è una maggiore consapevolezza di come funzionano i videogame. Se adesso il calcio lo seguono anche i 50-60enni, sono convinto che presto persone come me che arrivano a quell’età continueranno a seguire gli eSports”.

Quali sono i Paesi nei quali gli eSports hanno più successo?

“Ovviamente, in cima c’è tutta l’area asiatica. In Corea o in Cina i campioni di questo settore sono trattati come superstar. Gli stessi giocatori hanno un seguito che non si può confrontare con gli altri sport. Per esempio, in Corea ci sono canali televisivi dedicati. Se parliamo dell’Europa, direi proprio che il maggior seguito è in Scandinavia: in Svezia, Danimarca e altri Paesi di quell’area i Governi sono decisamente più coinvolti nel fenomeno. Ma in generale posso dire che un Governo è più coinvolto nella vita quotidiana dei cittadini”.

Però in Corea anche lo sport è organizzato come business. E questa è una ragione per la quale il Comitato olimpico non ha ancora accettato gli eSports tra le discipline per le Olimpiadi: non esiste una federazione sportiva no-profit ma organizzazioni che fanno capo a grandi società di capitali.

“Sì, conosco bene questo dibattito. Anche dal nostro punto di vista, quando cercano di rendere tutto un brand commerciale e un team punta ad affiliarsi a una società o essere sponsorizzato da un’azienda. In Europa, quando parliamo di sport è molto diverso. Noi siamo portati più a seguire rendere un business le gare, in generale”.

 

 

Giampiero Moncada – PressGiochi