La Corte costituzionale ha discusso oggi in udienza pubblica la legittimità di alcune norme che vietano l’uso di dispositivi collegati online nei locali pubblici per accedere a piattaforme di gioco
La Corte costituzionale ha discusso oggi in udienza pubblica la legittimità di alcune norme che vietano l’uso di dispositivi collegati online nei locali pubblici per accedere a piattaforme di gioco autorizzate, nell’ambito delle misure per prevenire la ludopatia.
Al centro del dibattito la legge Balduzzi, articolo 7, comma 3-quater, del decreto-legge n. 158/2012 (convertito in legge n. 189/2012) e l’articolo 1, comma 923, della legge di bilancio 2016 (legge n. 208/2015), che prevedono pesanti sanzioni – fino a 20.000 euro – per i titolari di esercizi pubblici o proprietari di apparecchi che consentano ai clienti di giocare d’azzardo online, anche solo fornendo l’accesso a dispositivi connessi a Internet.
I giudici sono stati chiamati a valutare se queste norme violino i principi costituzionali in materia di legalità e proporzionalità delle sanzioni amministrative. Secondo i ricorrenti, le disposizioni non descrivono in modo chiaro la condotta vietata e attribuiscono un potere eccessivo all’amministrazione, che può sanzionare anche chi offre semplicemente un accesso a Internet.
Inoltre, si contesta la mancanza di una differenziazione tra chi gestisce un Internet point e altri pubblici esercizi che offrono wi-fi e dispositivi per navigare sul web, senza subire le stesse restrizioni. La disciplina sarebbe quindi discriminatoria, lesiva del diritto di proprietà, della libertà d’impresa e della privacy, tutelati dalla Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Oggetto dell’esame odierno della Corte anche una seconda causa, promossa con un’ordinanza del 17 luglio 2024 dal Tribunale di Viterbo, che riguarda sempre l’art. 1, comma 923 della legge n. 208/2015, ma si concentra sulla misura fissa della sanzione amministrativa prevista in caso di violazione: 20.000 euro, applicabili sia al titolare dell’esercizio sia al proprietario dell’apparecchiatura. Secondo il giudice rimettente, la mancanza di una graduazione in base alla gravità della violazione e alla capacità economica del soggetto colpito comporta una compressione ingiustificata del diritto di proprietà e della libertà d’iniziativa economica, violando sia la Costituzione italiana che i testi sovranazionali come la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
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