Nel corso del convegno “Gli Stati Generali del Gioco”, tenutosi oggi alla Camera dei Deputati, Emmanuele Cangianelli, Presidente di EGP Fipe Confcommercio, ha tracciato un’analisi lucida delle criticità normative che
Nel corso del convegno “Gli Stati Generali del Gioco”, tenutosi oggi alla Camera dei Deputati, Emmanuele Cangianelli, Presidente di EGP Fipe Confcommercio, ha tracciato un’analisi lucida delle criticità normative che frenano il comparto del gioco pubblico in Italia. Secondo Cangianelli, il settore vive da anni una fase di incertezza causata da interventi frammentari e contraddittori. Per superare questa impasse, ha spiegato, è necessario un vero atto di coraggio politico, che dia coerenza al sistema, tuteli i cittadini e riconosca il ruolo economico e sociale del gioco legale.
«Lasciamo sul tavolo alcuni punti nello spirito di un lavoro comune, anche partendo da posizioni differenti, ma con l’obiettivo condiviso di mantenere un sistema di consumo del gioco con vincita in denaro e del gioco di intrattenimento con il minor numero possibile di giocatori compulsivi, e potenzialmente nessun minore che vi si avvicini.
Il primo spunto lo ha già accennato l’avvocato Cardia: come federazione dei pubblici esercizi, che raccoglie le sale specializzate nel bingo, negli apparecchi e nelle scommesse, e rappresenta anche molte decine di migliaia di bar e punti della ristorazione con un apparecchio da gioco o un angolo scommesse, riteniamo grave il continuo rinvio della riforma. Il principale motivo di dispiacere per l’allungamento dei tempi normativi è infatti l’impossibilità di pianificare, avviare investimenti e realizzare soluzioni che sono già disponibili a livello internazionale. Il nostro sistema attuale è stato concepito oltre 25 anni fa. Ricordo il lavoro, estensivo e di visione, del senatore Pedrizzi con quella Commissione che avviò un decennio importante di emersione dal gioco illegale. Ma oggi siamo nel 2025, e la tecnologia offre strumenti già pronti per qualificare l’offerta dei singoli punti vendita.
Tutto questo è nell’interesse degli esercenti, non solo per tutelare il minore che si introduce in un punto scommesse magari attratto dalle partite sugli schermi o su invito di qualcun altro, ma anche per proteggere chi quel punto vendita lo gestisce. Viviamo in un mondo dove tutti abbiamo in tasca dispositivi capaci di raccogliere segnali, allarmi, dati: molte soluzioni ci sono già e possono essere adottate. È uno dei motivi per cui riteniamo urgente accelerare il riordino del settore.
Un secondo punto, che richiede sensibilità politica, riguarda il riconoscimento che alcune soluzioni finora adottate non hanno funzionato. Mi riferisco ai distanziometri e alle limitazioni orarie, misure che hanno colpito solo parte dell’offerta e che, nella realtà, non hanno ridotto le patologie: al massimo le hanno spostate altrove. È quindi necessario un ripensamento.
Il terzo tema per noi è fondamentale: la qualificazione degli operatori. Sono passati 25 anni dall’emersione massiva. Oggi, grazie alla tecnologia e al lavoro delle autorità, possiamo avere una chiara mappatura dell’offerta. Le future gare – come avviene in altri settori – dovranno probabilmente prevedere un numero chiuso di punti vendita. Diversamente da vent’anni fa, quando c’era bisogno di portare nel legale il maggior numero possibile di esercizi, ora abbiamo l’opportunità di puntare sulla qualità, indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa.
Come FIPE, sia nella ristorazione che nelle sale, rappresentiamo imprese con molti lavoratori dipendenti. Le nostre aziende stanno già investendo in formazione, per migliorare il rapporto con il consumatore e per saper riconoscere segnali di consumo compulsivo. Vorremmo che questo diventasse lo standard del mercato: offrire luoghi ben identificati, con personale qualificato e in grado di gestire in modo responsabile l’intrattenimento.
L’obiettivo comune è costruire un mercato che, nel lungo termine, sappia escludere i comportamenti patologici, perché questi rappresentano un danno anche per le imprese. In una parola, vogliamo un mercato più sostenibile: non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale».
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