“Le strutture sanitarie potranno entrare nei luoghi di gioco per collaborare con chi svolge queste attività nell’individuare i comportamenti a rischio e nell’intervenire tempestivamente”
“C’è voluto un po’ di tempo perché stiamo facendo le cose con molta attenzione e non è semplice. Vogliamo che ci sia una omogeneità non solo con le ASL, che hanno un ruolo diretto sull’intervento epidemiologico, ma anche con gli enti locali in tutto il territorio”.
Queste le parole di Antonietta Ciaramella, firmataria della legge regionale della Campania sul contrasto al gioco patologico del marzo 2020. Una legge il cui iter la consigliera ha seguito passo dopo passo e continua a farlo oggi che fa parte dello staff dell’assessore alla Formazione professionale.
Nella giornata di ieri, la Giunta regionale ha firmato il provvedimento con il quale sono stati scelti i componenti che nei prossimi tre anni lavoreranno all’Osservatorio sul gioco patologico.
Qualcosa di diverso dalle altre esperienze analoghe?
“Direi di sì. Perché- spiega Ciaramella nell’ultima edizione di PressGiochi MAG – in questo caso è previsto che le strutture sanitarie possano anche entrare nei luoghi di gioco per collaborare con chi svolge queste attività nell’individuare i comportamenti a rischio e nell’intervenire tempestivamente”.
In effetti, per realizzare questo progetto serve un’ottima intesa con gli operatori di gioco.
“Questa possiamo dire che è la vera novità e unicità di questo osservatorio: la presenza degli operatori di gioco. Perché in questo osservatorio ci saranno tutti gli attori che, oltre a monitorare il fenomeno, operano concretamente. Non solo chi svolge un’attività di sensibilizzazione ma anche chi fa consulenza ed è già in contatto con gli organismi nazionali. Quindi, anche le comunità di accoglienza, i Comuni, le associazioni dei consumatori, che lavorano molto sul tema di accompagnamento ed educazione sulla faccenda dell’usura e del sovraindebitamento”.
Ma per un operatore sanitario non dev’essere semplice entrare e svolgere il suo lavoro all’interno di un luogo di gioco. Come sarà accolto?
“Questa cosa è possibile proprio perché abbiamo creato un tavolo di confronto reale. Faremo una prima esperienza a Salerno, dove sperimenteremo il protocollo che abbiamo messo a punto. L’obiettivo è di arginare tutte quelle situazioni che non sono soltanto di illegalità ma anche di deviazione da quello che può essere una sostenibilità di vivere in comune. Quindi, non dobbiamo partire dal patologico, come fanno di solito quando devono scrivere una legge su queste problematiche. Noi dobbiamo innanzitutto governare l’ordinario, gestire il vivere quotidiano, dove la gente gioca, altra gente fa impresa nel gioco, altra gente fa cura, altra gente fa sensibilizzazione. Abbiamo a che fare con tutti, se sono nella legalità e nella responsabilità. Se io parto dal presupposto che tutti gli esercenti sono delinquenti, non ci potrò parlare. In questo modo, non avremmo potuto ottenere di fare entrare i sanitari nelle sale gioco”.
Eppure, negli altri osservatori hanno escluso non solo le imprese di gioco ma perfino chi dialoga con loro. Anche le organizzazioni no profit.
“Esiste l’autonomia regionale, con i suoi vantaggi e i suoi problemi. Questo, comunque, consente alle Regioni di avere una propria organizzazione. Io non concordo con l’esclusione perché quello che non entra dalla porta entra dalla finestra. E non mi piace l’ipocrisia”.
L’ipocrisia è quella di chi strumentalizza l’argomento? Molti politici hanno raccolto consenso intestandosi delle guerre sante contro il gioco, anche legale.
“Quando abbiamo iniziato a lavorare sulla legge regionale, nella scorsa legislatura, io ho detto: vogliamo discutere se fare un referendum per eliminare il gioco d’azzardo e renderlo illegale? Il nostro compito qui è di gestire la realtà. Che è quella di una legge che lo considera legale con determinate condizioni. Quindi, dobbiamo fare il possibile per riportare sul binario giusto l’operato di tutti. Se io fossi partita dal presupposto che gli operatori di gioco sono tutti delinquenti, oggi non potrei proprio parlare con loro. E un operatore sanitario non potrebbe mai entrare in una sala giochi. Certo, questo è un settore più a rischio di altri anche per le infiltrazioni della criminalità. Ma allora dobbiamo parlare anche dell’edilizia e di tanti altri settori. Alla fine, chi opera in maniera corretta ha interesse ad avere e mantenere una buona reputazione”.
Ma l’allarme sociale si è diffuso e sono tanti a rifiutare il dialogo con gli imprenditori di questo settore.
“Infatti, quando ci incontravamo per impostare lo schema di questa legge, la discussione era incentrata su un solo argomento: il distanziometro. Non si riusciva a uscire dalle diatribe su quali dovessero essere i luoghi sensibili e a quanti metri di distanza dovessero stare i locali di gioco. Quando finalmente risolvemmo questo problema, che per me non era così fondamentale dato che 500 metri di distanza non possono certo scoraggiare un giocatore patologico, allora abbiamo potuto finalmente parlare di tutto il resto e affrontare il cuore del problema: la prevenzione e la cura. Che deve riguardare non solo il ludopatico ma tutta la sua famiglia”.
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