14 Giugno 2025 - 13:44

Biondi (BVA Doxa): “Per capire il gioco serve prima di tutto ascoltare, senza pregiudizi” – Video

Agli Stati Generali dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Sonia Biondi, esperta di ricerche di mercato applicate alle scienze comportamentali e rappresentante della società BVA Doxa, ha condiviso con PressGiochi

26 Maggio 2025

Agli Stati Generali dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Sonia Biondi, esperta di ricerche di mercato applicate alle scienze comportamentali e rappresentante della società BVA Doxa, ha condiviso con PressGiochi un punto di vista originale sul mondo del gioco, frutto di anni di osservazione diretta sul campo. Un lavoro prezioso, il suo, che parte dall’ascolto dei giocatori nei luoghi in cui il gioco si manifesta, per andare oltre stereotipi e pregiudizi.

Professoressa Biondi, lei si occupa di ricerche di mercato applicate alle scienze comportamentali. Durante il suo intervento ha parlato di pregiudizi nei confronti del gioco d’azzardo e dei giocatori. Che tipo di lavoro svolgete sul campo?

“È un lavoro complesso, ma affascinante. Noi osserviamo i giocatori nei luoghi in cui si gioca: sale giochi, sale scommesse, ma anche bar e tabaccherie dove si gioca con i numeri o con i Gratta e Vinci. Iniziamo sempre con un’osservazione discreta, diventiamo parte del contesto per creare fiducia. Solo quando le persone ci percepiscono come parte integrante della comunità si aprono davvero. E a quel punto possiamo iniziare le interviste”.

Come vi avvicinate alle persone senza creare diffidenza?

“Il punto di partenza è sempre la parte positiva. Chiediamo loro perché giocano, cosa trovano di divertente, quali sono le sensazioni che provano. Solo dopo emergono, se ci sono, anche gli aspetti più problematici. Una buona ricercatrice è prima di tutto curiosa ed empatica: quando si entra in empatia con l’intervistato, emergono davvero le storie”.

Lei ha detto che molti giocatori fanno fatica ad ammettere quanto giocano. Perché?

“È un meccanismo comune. Un po’ come quando evitiamo di dirci quanta cioccolata abbiamo mangiato o che non siamo andati in palestra nonostante la nostra app ce lo ricordasse. È un meccanismo di protezione, ma che ostacola la consapevolezza”.

E allora, cosa si può fare per aiutare i giocatori a essere sinceri con se stessi?

“Il primo passo è ridurre lo stigma. Ce lo chiedono spesso gli stessi giocatori: “per favore, dite che non siamo tutti uguali, che non bisogna parlare male di tutti quelli che giocano”. Se l’opinione pubblica fosse meno giudicante, le persone si aprirebbero di più, anche con sé stesse. Il senso di colpa è potente e, paradossalmente, può alimentare il comportamento stesso”.

Dalle vostre indagini emerge che ci sono giochi più a rischio di altri?

“Tutti i giochi possono essere rischiosi, se si eccede. Alcuni – come le slot – sono più ipnotici, fanno perdere la percezione del tempo. Altri portano a un uso compulsivo, come l’acquisto di troppi Gratta e Vinci. Non è il gioco in sé, ma il comportamento che fa la differenza. Per questo crediamo molto nelle scienze comportamentali: possono suggerire “gentilmente” al giocatore di fermarsi, di prendersi una pausa, di cambiare attività”.

E tra gioco fisico e gioco online? Qual è l’ambiente più sicuro?

“Non c’è un ambiente sicuro in assoluto. C’è l’ambiente più adatto alla persona. Il rischio dell’online è l’isolamento: puoi giocare ovunque, anche da solo in una stanza. Ma è anche vero che l’online permette un tracciamento preciso, come i conti gioco. Nel fisico c’è la presenza del personale, ma si può anche eccedere comprando biglietti su biglietti. Alla fine, è la persona e il suo comportamento che determinano il rischio”.

Cosa pensa del legame tra gioco patologico e altre dipendenze?

“È una realtà. Spesso chi ha una dipendenza ne ha più di una: gioco e alcol, gioco e sostanze, gioco e shopping compulsivo. Se eliminiamo l’opportunità di gioco, non è detto che abbiamo risolto il problema: potremmo solo aver spostato la dipendenza altrove. Chi ha una fragilità interiore la manifesterà comunque. È per questo che bisogna distinguere tra chi può essere “distolto” e chi ha bisogno di cure più profonde”.

E quindi le app che suggeriscono di fermarsi possono davvero aiutare?

“Possono funzionare con chi è in bilico, con chi ha già un’intenzione positiva. Servono proprio per colmare quel piccolo spazio tra intenzione e azione. Ma per i giocatori patologici servono strumenti terapeutici veri. Noi, intanto, stiamo già analizzando i dati delle app che ricordano, ad esempio, che si è superato il budget di spesa prefissato. E vediamo che, per alcuni, questi strumenti fanno la differenza”.

 

Giampiero Moncada – PressGiochi