17 Luglio 2025 - 04:14

Bingo, la sentenza della Cgue segna uno spartiacque sulle proroghe

Avv. Giacobbe: “Bocciata l’ipotesi di un rimborso dei canoni, ma i giudici italiani potrebbero rimodularli in via equitativa”

20 Giugno 2025

Anche se critica aspramente le proroghe senza fine che hanno pietrificato il settore del bingo, la Corte di Giustizia dell’Unione europea sembra frustrare le aspettative degli operatori. Le sale bingo puntavano infatti a ottenere la restituzione dei canoni maggiorati, ma alcuni passaggi della sentenza suonano come un no a priori: nelle proroghe ci sono un insieme di paletti che hanno reso insostenibili le proroghe, tanto che si deve mettere in discussione l’intero sistema, non si possono salvare solo gli elementi più favorevoli agli operatori. Ma poi – scrive Gioel Rigido nell’ultima edizione di PressGiochi MAG – c’è anche il problema di che peso può avere questa sentenza per gli altri giochi, magari non hanno subito un trattamento rigido come il bingo, ma comunque sono anch’essi alle prese con le proroghe nell’attesa di un riordino che dovrebbe arrivare entro la fine del 2026. Di tutto questo, PressGiochi MAG ne ha discusso con l’avvocato Luca Giacobbe, uno dei legali che ha assistito le sale bingo nei ricorsi.

Avvocato, partiamo dal primo quesito, quello sulla possibilità di rinegoziare i canoni di proroga per sostenere le sale durante l’emergenza Covid. Cosa dice esattamente la Cge?

“La Corte ha stabilito che qualora ci fosse una norma che impedisse o vietasse espressamente ad un’amministrazione aggiudicatrice di avviare un procedimento di modifica delle condizioni della concessione originaria, questa non sarebbe illegittima. Nel contenzioso pendente dinnanzi il Consiglio di Stato, Adm e Avvocatura dello Stato hanno sostenuto che non vi era una normativa espressa che consentisse all’Amministrazione di riequilibrare l’importo dei canoni, non che vi fosse un divieto a farlo. Nel nostro caso così non è perché non c’è una norma espressa che vieta ad Adm di riequilibrare il rapporto concessorio. Al contrario, soccorrono a mio avviso i principi generali codicistici e le norme speciali del codice appalti che prevedono i cosiddetti rimedi manutentivi al verificarsi di sopravvenienze che possono incidere sull’equilibrio del rapporto di lunga durata”.

Insomma, occorre analizzare attentamente la normativa, e il compito spetterà ai giudici italiani… la Cge, invece, non ha risparmiato critiche sull’altro punto, il sistema delle proroghe che si è creato nel corso degli anni. Che quadro ne esce?

“Un quadro piuttosto desolante dell’attuale assetto concessorio e normativo: gli attuali concessionari in questi anni sono stati sottoposti a logiche vessatorie, e hanno dovuto sopportare delle restrizioni illogiche alle proprie attività. Pensate a un qualsiasi operatore economico che non è libero di gestire la propria attività, è vincolato a esercitarla solo nei locali dove si era insediato 20 anni prima con condizioni di mercato del tutto diverse da quelle odierne, ed è obbligato a restare nel mercato per non perdere il diritto di partecipare ai nuovi futuribili bandi di cui si parla da almeno dieci anni. Non parliamo poi dei possibili newcomer o di investitori che potrebbero essere interessati ad entrare nel mercato: anche qui nessuna certezza sulle gare e nessuna certezza sulla possibilità di superare gli attuali limiti distanziometrici regionali. Un disastro economico e un caos normativo sintomatici di un paese essenzialmente arretrato, ma che per fortuna è ben inquadrato in un ambito e in una cornice di principi eurounitari a tutela del cittadino e della libera impresa”.

Alcuni passaggi della sentenza, però, non sono piaciuti agli operatori. In sostanza quali paletti la Corte fissa ai giudici nazionali?

“La Cge osserva che i concessionari ricorrenti non possono ricavare un argomento per pretendere che vengano disapplicate soltanto le disposizioni mediante le quali il legislatore nazionale ha aumentato l’importo del canone. Come a dire, se è l’intero impianto normativo a saltare non può salvarsi solo la parte più conveniente ai concessionari. Si tratta di un dictum che andrà valutato dai giudici di merito”.

Ma a maggior ragione, se con le proroghe i concessionari sono stati costretti ad accettare condizioni vessatorie, avrebbero diritto a essere risarciti. Non crede?

“Ribadisco che su questo aspetto decideranno Tar e Consiglio di Stato. Quel passaggio, comunque, potrebbe anche portare a una rideterminazione a equità del canone finora corrisposto mensilmente dai concessionari. La preoccupazione dei concessionari è comprensibile perché ragioni di garanzia delle finanze pubbliche potrebbero vanificare in tutto o in parte le legittime aspettative dei ricorrenti di rimborso totale o parziale dei canoni sinora versati all’amministrazione”.

Il bingo è chiaramente il caso più eclatante, ma anche apparecchi e scommesse stanno fronteggiando il problema delle proroghe. La sentenza della Cge può essere applicata anche ai loro casi?

“La Corte di Giustizia esaminerà in un altro giudizio le questioni di pregiudizialità sollevate dal Tar Lazio sulla legittimità della normativa sulla proroga della concessione apparecchi contestata da un concessionario. La concessione apparecchi a differenza di quella del bingo ammetteva la proroga unilaterale da parte di Adm anche se temporanea. Sicuramente la sentenza del 20 marzo 2025 costituisce un precedente estremamente significativo per questo giudizio, ma è sopratutto uno spartiacque per il Legislatore che dovrà portare a termine il riordino dell’offerta di gioco terrestre senz’altro entro la fine dell’attuale periodo di proroga stabilito fino al dicembre 2026. Se così non sarà e ci saranno ulteriori ritardi, gli operatori potranno del tutto legittimamente contestare le proroghe e i possibili incrementi dei canoni per il mantenimento delle concessioni”.

 

PressGiochi MAG