19 Aprile 2024 - 20:13

Betting e sponsorizzazioni: trovare una strada mediana per ristabilire l’equità

Il dibattito si è acceso sin da quando l’epidemia Covid 19 era ancora in piena fase ascensionale e precisamente nel momento in cui è uscito il decreto Cura Italia per

14 Aprile 2020

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Il dibattito si è acceso sin da quando l’epidemia Covid 19 era ancora in piena fase ascensionale e precisamente nel momento in cui è uscito il decreto Cura Italia per dare i primi sostegni economici a famiglie e imprese.

Per aiutare il calcio (ma noi aggiungiamo tutto lo sport italiano) sarebbe giusto o meno cancellare, o sospendere sine die, la norma del decreto Dignità che vieta ogni forma di sponsorizzazione sportiva da parte dei concessionari di betting e che riapra addirittura a certe forme di pubblicità?

La nostra testata è in linea di principio favorevole, ma c’è una domanda a monte: perché lo Stato dovrebbe farsi carico di alleviare in questo modo le pesanti posizioni debitorie che affliggono tutti i club sportivi professionistici?

 

Posta così, la questione ha degli evidenti profili di illegittimità concettuale, tant’è vero dal fronte delle concessionarie di betting non è giunta alcuna risposta. Strano, vero? La strategia del silenzio, in genere, può avere tanti motivi. Sicuramente è la più comoda, ma al tempo stesso quella che ti fa perdere visibilità. Anche solo alimentare i dibattito avrebbe permesso ai vari bookmaker di promuovere il proprio marchio, almeno nell’ambito dei magazine sportivi.

Allora, si può immaginare che il mondo delle scommesse abbia ricevuto, dallo sport (sino a quando ha potuto) meno di quanto si aspettasse, e perciò preferisce stare alla finestra; oppure che in esso prevalga la volontà di non compromettere ulteriormente la sua precaria reputazione (non per colpe proprie, ovviamente, ma del sistema,).

Altrimenti, dovremmo arguire che i gestori del betting non vogliono essere “complici” di una perdente in partenza. Perché anche il più accanito dei tifosi, lavoratore precario ed eternamente in bolletta, che magari fa fatica pure a prendere quei miseri 600 euro che il governo gli ha promesso, non sosterrà mai l’idea che il grande calcio debba chiedere forme di sostentamento per proseguire nella sua folle corsa allo sperpero, per accaparrarsi questo o quel “fenomeno” sperando solo, nella maggioranza dei casi, di qualificarsi alla prossima Champions League, perché porta in cassa altri soldi. Un circolo tanto vizioso quanto perverso, che non è più accettabile in questi giorni, anche al netto del Coronavirus.

Qualunque sia il motivo, i concessionari di betting, alla fin dei conti, fanno bene a non schierarsi. Che vadano avanti i club, il presidente del CONI (le cui uscite sono spesso avventate e controproducenti) e i giornali che li sostengono (per chiari motivi…): se ne esce fuori qualcosa di buono, ok; altrimenti… ciccia!

 

C’è poi un altro aspetto, forse il peggiore, su cui bisogna riflettere. Visto che la cosiddetta “industria calcio” continua a prendere porte in faccia dalla politica, adesso sta portando la questione sul piano degli stipendi che non potranno essere pagati e dei posti di lavoro che andranno perduti. Non dei calciatori, ovviamente, bensì dei dipendenti “qualunque”. E questa ci sembra una subdola forma di ricatto. Pensarci prima no, eh?

 

L’altra possibilità prospettata al momento è la costituzione di un fondo “sanguisuga”, che dovrebbe attingere l’1% dall’ammontare delle scommesse sul calcio. Ma che bella idea! Un 1 per cento da togliere a chi? Allo stato, ai bookmaker o ai giocatori? Come la metti, la metti male. Poi, siccome si parlerebbe delle sole scommesse sul calcio italiano, se uno gioca una multipla con tre partite, di cui due straniere, cosa facciamo?

 

Si rassegnino, i signori del calcio. Che diano un bel taglio alle loro folli spese e vedranno che i loro bilanci miglioreranno, eccome se miglioreranno!

 

Tornando alla faccenda che più ci interessa, non vi è dubbio che se proprio il Governo volesse dare una mano al settore del gioco, l’idea di riaprire il fronte sponsorizzazioni di gaming non sarebbe una cattiva idea. Il vero problema è quello di scongiurare l’ipotesi di una deregulation complessiva. Ovvero che si inneschi, per non creare figli e figliastri, una reazione a catena che riporti la situazione allo status iniziale. E in effetti, sebbene per noi il divieto del decreto Dignità sappia così tanto di populismo che una ridimensionata dovrebbe subirla a prescindere, d’altra parte concordiamo nel dire che un ritorno tout court al passato recente sarebbe eccessivo.

 

Allora, in chiave propositiva, si potrebbero accettare solo gli sponsor sulle maglie; al limite riammettere pure la cartellonistica negli stadi – così come in tutti gli impianti sportivi, perché non dobbiamo dimenticarci di tutti gli altri sport, e soprattutto della fascia dilettantistica, che è la più a rischio – in forma limitata affinchè non abbia visibilità eccessiva durante le riprese televisive. Magari si potrebbe dare pure il via libera a tornei direttamente sponsorizzati, purchè non coinvolgano atleti di età inferiore ai 18 anni. Tutto resterebbe più o meno chiuso nello stretto ambito degli appassionati. Quindi, sponsorizzazioni (moderate) ok, ma niente pubblicità in Tv, per strada o sui giornali. Da evitare pure i gadget (cappellini, portachiavi, agendine e quant’altro) a distribuzione gratuità, perché questi si sono molto ambiti dai ragazzini.

 

Ovviamente, tutto ciò non deve costituire un privilegio per il settore betting, ma al contrario analoghe possibilità dovrebbero essere concesse a tutte le altre branche dell’industria del gioco. Sempre, lo ripetiamo, coi giusti accorgimenti e le giuste sanzioni, anche prevedendo la responsabilità solidale di Leghe e Federazioni, che dovranno così farsi carico dei controlli, a costo praticamente zero per lo Stato.

Potrebbe essere una discreta soluzione, valida per sempre, che restituirebbe un po’ di equità alla norma del Decreto Dignità, decisamente sproporzionata e penalizzante per il settore, dettata, ben lo sappiamo, più dalla pancia che non dal cervello.

 

 

 

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Marco Cerigioni – PressGiochi