Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Seconda, ha rigettato in questi giornin i ricorsi presentati da diversi operatori di gioco contro il bando di gara predisposto dall’Agenzia delle Dogane
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione Seconda, ha rigettato in questi giornin i ricorsi presentati da diversi operatori di gioco contro il bando di gara predisposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per l’affidamento delle concessioni relative all’esercizio e alla raccolta a distanza dei giochi pubblici, così come previsto dal decreto legislativo 41/2024.
La sentenza conferma, piuttosto, la validità dell’impianto regolatorio adottato da ADM e riconosce la legittimità delle scelte tecniche ed economiche contenute nella procedura, che prevede concessioni della durata di nove anni.
Il ricorso aveva come principale oggetto la contestazione del valore attribuito alla concessione: oltre 37 milioni di euro per ciascun titolo concessorio, una cifra ritenuta sproporzionata e priva, secondo la parte ricorrente, di fondamento oggettivo. A detta dei ricorrenti, tale valore, ottenuto sommando la fee di ingresso (una tantum da 7 milioni di euro) al canone annuale (pari al 3% del margine netto), avrebbe determinato una soglia d’accesso eccessiva, ostacolando la concorrenza e penalizzando gli operatori con quote di mercato più ridotte.
Il Tar ha però respinto questa impostazione, ritenendo il metodo di calcolo trasparente, coerente con la normativa vigente e fondato su criteri oggettivi. Il valore della concessione, hanno spiegato i giudici, è stato correttamente determinato sulla base del margine netto medio dell’intero comparto negli ultimi tre anni (2022-2024), con una previsione di crescita del 20% annuo nel periodo di validità delle concessioni. L’importo della fee di ingresso, inoltre, è fissato direttamente dalla legge e non può essere oggetto di revisione in sede giudiziaria.
Sulle garanzie richieste e il piano investimenti – Altre censure riguardavano la dimensione delle garanzie (provvisoria e definitiva), considerate anch’esse eccessive e irragionevoli. Il Tar ha confermato la correttezza del meccanismo adottato dall’Amministrazione: la garanzia provvisoria, pari al 2% del valore della concessione, e quella definitiva, pari al 10% per il primo anno, sono parametri previsti dal Codice dei contratti pubblici e pienamente legittimi.
In merito alla richiesta di presentazione di un piano di investimenti obbligatorio, con soglie minime fissate (700.000 euro nei primi due anni e 0,03% della raccolta media successivamente), il Tribunale ha riconosciuto la legittimità della previsione. Gli investimenti, infatti, sono previsti per finalità di adeguamento tecnologico, sicurezza e gioco responsabile, e il loro valore minimo serve a garantire standard qualitativi uniformi tra tutti i concessionari. Nessuna previsione normativa impone che tali soglie siano tarate sulla quota di mercato detenuta da ciascun operatore.
Punti Vendita Ricariche – Una parte importante del ricorso riguardava anche la disciplina dei Punti Vendita Ricariche (PVR), introdotta dall’ADM con specifica determina direttoriale e recepita nella documentazione di gara. Il Tar ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso su questo punto, rilevando l’assenza di un interesse concreto e attuale, non essendo stato dimostrato che le clausole contestate avessero natura escludente.
In ogni caso, il Tribunale ha valutato nel merito le contestazioni, giudicando legittime le limitazioni previste per i PVR, tra cui il divieto di pubblicità cartacea e di apertura di conti di gioco a titolari, familiari e dipendenti dei punti vendita. Tali vincoli, secondo i giudici, rispondono all’obiettivo di assicurare trasparenza, contrasto al riciclaggio e piena legalità nella gestione delle operazioni di ricarica dei conti di gioco online.
Anche la previsione del divieto di operare in circoli privati o locali associativi è stata considerata conforme alle finalità del legislatore, essendo volta a garantire maggiore controllo da parte delle autorità. Il Tar ha inoltre riconosciuto il potere regolatorio dell’ADM, che, in quanto soggetto concedente, può definire in maniera puntuale le condizioni tecnico-operative per l’affidamento del servizio pubblico del gioco.
In conclusione, il Tar ha dichiarato in parte inammissibile il ricorso, ritenendo infondati tutti gli altri motivi di doglianza.
Di seguito riportiamo la sentenza in forma integrale:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 958 del 2025, proposto da:
xxxx., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura CIG B4DF5D6BCF, rappresentata e difesa dall’avvocato xxx, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
xxxxxxxxxxx, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per l’annullamento
– dell’Avviso n. 774403 -2024, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 18.12.2024, con il quale è stata bandita la “Procedura per l’affidamento in concessione dell’esercizio e della raccolta a distanza dei giochi di cui all’articolo 6 del D.lgs. 25 marzo 2024, n. 41” (CIG B4DF5D6BCF);
– di tutta la documentazione di gara, segnatamente:
– delle “Regole amministrative per l’assegnazione della concessione e la stipula della convenzione” della medesima procedura e relativi allegati, come rettificati dalla Determinazione di rettifica 48344 del 14 gennaio 2025;
– dello “Schema di convenzione relativa al rapporto di concessione per l’esercizio e la raccolta dei giochi di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 25 marzo 2024. n. 41”, come rettificato dalla Determinazione di rettifica 48344 del 14 gennaio 2025;
– delle “Regole tecniche per la gestione della concessione”;
– dei Livelli di servizio (doc. 6), del Nomenclatore unico, delle Clausole Vessatorie;
– nonché di ogni altro atto presupposto connesso e conseguente, ivi compresa la presupposta Determinazione Prot. n. 777860/RU del 17.12.2024, con la quale l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Direzione Giochi ha indetto, “ai sensi degli articoli 71 e 176 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, una procedura telematica aperta, sopra soglia comunitaria, avente ad oggetto l’affidamento delle concessioni per le attività e le funzioni per l’esercizio dei giochi pubblici di cui all’articolo 6, comma 1, lettere da a) a f) del decreto legislativo 25 marzo 2024, n. 41, attraverso l’attivazione e la conduzione della rete di gioco a distanza” ed ha approvato tutti gli atti della relativa procedura, nonché occorrendo, in quanto successiva, la Determinazione di rettifica 48344 del 14 gennaio 2025.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e del Ministero dell’Economia e delle Finanze;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 maggio 2025 il dott. Igor Nobile e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso notificato a mezzo pec in data 17.1.2025 ai soggetti in epigrafe e tempestivamente depositato il 20.1.2025, la società ricorrente ha adito questo Tribunale per l’annullamento:
– dell’Avviso n. 774403 -2024, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 18.12.2024, con il quale è stata bandita la “Procedura per l’affidamento in concessione dell’esercizio e della raccolta a distanza dei giochi di cui all’articolo 6 del D.lgs. 25 marzo 2024, n. 41” (CIG B4DF5D6BCF);
– di tutta la documentazione di gara, segnatamente:
– delle “Regole amministrative per l’assegnazione della concessione e la stipula della convenzione” della medesima procedura e relativi allegati, come rettificati dalla Determinazione di rettifica 48344 del 14 gennaio 2025;
– dello “Schema di convenzione relativa al rapporto di concessione per l’esercizio e la raccolta dei giochi di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 25 marzo 2024. n. 41”, come rettificato dalla Determinazione di rettifica 48344 del 14 gennaio 2025;
– delle “Regole tecniche per la gestione della concessione”;
– dei Livelli di servizio (doc. 6), del Nomenclatore unico, delle Clausole Vessatorie;
– nonché di ogni altro atto presupposto connesso e conseguente, ivi compresa la presupposta Determinazione Prot. n. 777860/RU del 17.12.2024, con la quale l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Direzione Giochi ha indetto, “ai sensi degli articoli 71 e 176 del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, una procedura telematica aperta, sopra soglia comunitaria, avente ad oggetto l’affidamento delle concessioni per le attività e le funzioni per l’esercizio dei giochi pubblici di cui all’articolo 6, comma 1, lettere da a) a f) del decreto legislativo 25 marzo 2024, n. 41, attraverso l’attivazione e la conduzione della rete di gioco a distanza” ed ha approvato tutti gli atti della relativa procedura, nonché occorrendo, in quanto successiva, la Determinazione di rettifica 48344 del 14 gennaio 2025.
2. Con la presente iniziativa processuale, la società ricorrente avversa gli atti della gara, avviata secondo i meccanismi di cui al D.lgs.n.36/2023, con cui l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli intende selezionare i concessionari per il cd. gioco a distanza, in dichiarata applicazione di quanto previsto dal D.lgs.n.41/2024 (rif. artt.6, co.5, 23, co.3), recante “Disposizioni in materia di riordino del settore dei giochi, a partire da quelli a distanza, ai sensi dell’articolo 15 della legge 9 agosto 2023, n. 111”.
La procedura in questione è finalizzata all’assegnazione delle concessioni per l’esercizio del gioco a distanza per un periodo di nove anni.
3. Il gravame veniva affidato ai motivi di seguito esposti in sintesi, e come meglio articolati nel relativo atto processuale:
– (primo motivo) si contesta la determinazione del valore novennale della procedura, pari ad euro 37.137.464,54, ritenuta immotivata, indeterminata e comunque sovrastimata, in relazione ai seguenti specifici profili:
a) violazione dell’art.179, co,3 D.Lgs.n.36/2023, per mancata indicazione di un criterio oggettivo di determinazione del valore della concessione (rif. par.1.1 e 1.2 dei motivi di ricorso);
b) erronea e sovradimensionata determinazione del canone medio annuo, su cui si fonda la determinazione del valore della concessione, a sua volta scaturita dalla sommatoria del valore della fee da versare una tantum (di seguito, “una tantum”), pari nel complesso a 7 milioni di euro, con l’aggiunta del canone annuale da versare a cura del singolo concessionario, pari al 3% del margine netto della raccolta (rif. par.1.3 dei motivi di ricorso);
c) violazione dell’art.14, co.4 D.Lgs.n.36/2023, applicato dall’Agenzia per la stima del valore della concessione, atteso che tale norma sarebbe applicabile unicamente alle gare d’appalto e non alle concessioni (rif. par.1.4 dei motivi di ricorso);
d) violazione dell’art.177, co.5 D.Lgs.n.36/2023, per mancata considerazione dell’equilibrio economico-finanziario delle concessioni messe a gara (rif. par.1.5 dei motivi di ricorso);
e) mancata considerazione, nella determinazione delle condizioni applicate ai concessionari e nell’analisi dei conseguenti riflessi sull’equilibrio economico della concessione, della circostanza per cui, con la legge 30 dicembre 2024, n. 207 (all’art. 1, comma 92) è stata disposta, dal 1.1.2025, un incremento dell’0,5 dell’aliquota dell’imposta unica sulle scommesse e sui giochi di abilità, che ascende al 2,5% sui cd. Virtual Games (rif. par.1.6 dei motivi di ricorso),
f) in via subordinata, si solleva eccezione di contrarietà dell’art. dell’art. 6, co. 5 lett. p) d.lgs. n. 41/2024 (da cui è derivata l’omologa previsione di cui al par.4.6 delle Regole Amministrative del bando) in tema di una tantum pari a 7 mln di euro, per violazione dei principi eurounitari di proporzionalità e concorrenzialità, nonché con gli artt. 49 e 56 TFUE, e di quelli costituzionali di cui agli artt.3 e 41 Cost. (rif. par.1.7 dei motivi di ricorso);
– (secondo motivo) stante la denunziata alterazione del valore della concessione, la ricorrente contesta il sovradimensionamento dell’importo previsto per le garanzie, provvisoria e definitiva.
Quanto alla provvisoria, essa è stabilita., come per legge, nella misura del 2% del valore della procedura, risentendo negativamente dell’erronea quantificazione di detto valore.
Quanto alla definitiva, la ricorrente contesta la previsione della lex specialis (rif. art.22 dello Schema di convenzione) che, per il primo anno, “nella misura del 10 per cento del valore della procedura, come definito nelle regole amministrative del bando di gara per il rilascio delle concessioni per l’esercizio e la raccolta del gioco a distanza al capitolo 10, punto 10.1”. In tal modo- osserva criticamente la ricorrente- il valore della stessa, e quindi dei costi necessari alla società per la sua costituzione- sconta irrazionalmente l’incremento derivante dall’anomala determinazione del valore della procedura (che risente a sua volta del notevole importo attribuito per il pagamento dell’una tantum), disancorata dai ricavi e dai volumi della raccolta del singolo concessionario, sui quali invece si calcola il canone di concessione annuale e l’entità della garanzia definitiva per le annualità successive;
– (terzo motivo) l’erronea supposta quantificazione del valore della procedura viene anche contestata in relazione agli effetti che essa determina, ai sensi dell’art.8 dello Schema di convenzione, sull’entità degli investimenti a cui sono tenuti i concessionari. In particolare, si contesta la previsione recata dal comma 2, secondo cui ““l’importo annuo di tali investimenti è determinato, per ciascun concessionario, in una percentuale non inferiore al 10% dell’importo una tantum di cui all’articolo 6, comma 5, lettera p) del decreto legislativo 25 marzo 2024, n. 41” e che (comma 3) “a partire dal terzo anno di concessione, ADM, entro il 30 novembre di ogni anno, individua o autorizza, su proposta del concessionario, gli ulteriori investimenti, volti a implementare o sviluppare specifiche soluzioni tecnologiche, ai fini di aumento della sicurezza, di utilizzo della migliore tecnologia o di sviluppo di specifiche policy di gioco responsabile, prevedendo un importo non inferiore, per ciascun concessionario, allo 0,03% (zero virgola zero tre per cento) della raccolta media riferita a tutti i concessionari nell’anno precedente. La ricorrente contesta la previsione di investimenti minimi, obbligatori per ogni concessionario, parametrati tuttavia a valori assoluti elevati (l’una tantum per i primi due anni, i valori “medi” della concessione per gli anni successivi (0,3% della raccolta media riferita a tutti i concessionari nell’anno precedente).
Tale impostazione, oltre ad essere restrittivo della concorrenza, finisce per violare il D.lgs.n.41/2024, che in alcun modo contempla la previsione di un importo minimo di investimenti da assicurare nel corso della concessione.
– (quarto motivo) si contestano talune previsioni della lex specialis inerenti ai cd. Punti vendita Ricariche, disciplinati dall’Adm con determina ADM prot. n. 656848 del 25 ottobre 2024, impugnata al Tar Lazio con separato ricorso (r.g. n. 11569/2024). Allo scopo, la ricorrente richiama, nel preambolo del motivo, gli artt. 18 (ma anche 17, co. 3 lett. b) e art. 26, co. 3 lett. y)) dello Schema di convenzione di concessione (richiamati anche nel documento Clausole Vessatorie), la Parte II, punto 1 delle Regole Tecniche e gli artt. 5 e 11 dello Schema di contratto di conto di gioco.
Nello sviluppo del motivo, la parte ricorrente censura:
– l’art.18 dello Schema di Convenzione, laddove stabilisce: i) il divieto di messa a disposizione di materiale cartaceo nel quale vi sia un richiamo esplicito ad eventi di gioco, a palinsesti e/o a quote di gioco; ii) il divieto di affissione all’interno e all’esterno dei locali di insegne, locandine e vetrofanie;
– l’art.18, co.9 dello Schema di Convenzione, laddove stabilisce il divieto di apertura di conti di gioco intestati ai titolari di punto di Vendita Ricariche ai loro familiari e conviventi ed al personale dipendente;
– l’art.18 dello Schema di Convenzione, laddove impedisce di collocare i PVR “in circoli privati o locali di associazioni, anche se titolari di autorizzazione ai sensi dell’art. 86 TULPS;
– l’art.18 dello Schema di Convenzione laddove recepisce le ipotesi di decadenza, sospensione e cancellazione dall’Albo stabilite dalla Determina, fra le quali quelle collegate al mancato pagamento dell’importo previsto per l’iscrizione all’Albo dei PVR;
– gli artt. 17, co. 3 lett. b), 18 e. 26, co. 3 lett. y)) dello Schema di Convenzione ed in parte qua le Regole tecniche, nella parte in cui prevedono altresì: i) l’obbligo di non introdurre nei contratti con i PVR clausole di esclusiva; (ii) l’obbligo di concludere con i PVR contratti necessariamente onerosi;
(iii) il divieto per i PVR di effettuare ricariche in contanti e con strumenti inidonei a consentire la tracciabilità dei flussi finanziari, oltre il limite di € 100/settimana; (iv) il divieto per i PVR di consentire il prelievo dai conti di gioco;
– l’art.18 dello Schema di Convenzione, laddove- in contrasto con la suddetta determina- ammettono la possibilità che i PVR possano essere attivati presso rivendite di generi di monopolio.
4. Le parti intimate, in data 3.3.2025, si costituivano in giudizio per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, per resistere al ricorso, sulla base delle memorie difensive successivamente versate in atti. Inter alias, l’Avvocatura erariale eccepiva il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
5. Seguiva la produzione di ampia documentazione e articolate memorie a cura delle parti.
6. Alla pubblica udienza del giorno 7 maggio 2025 la causa è stata quindi trattenuta in decisione, previo rilievo ex officio del Collegio, ex art.73, co.3 cpa, in merito alla sussistenza di possibili profili di inammissibilità parziale del ricorso, in relazione ai seguenti motivi:
– nell’ambito del primo motivo, la doglianza di cui al par.1.4 del ricorso, per violazione dell’art.40, co.1, lett. d) cpa stante la genericità e indeterminatezza della contestazione, non indicandosi la normativa ritenuta applicabile al caso di specie e non consentendo di comprendere secondo quale criterio legale avrebbe dovuto essere stimato il valore della concessione, anche in relazione alla contestazione di fondo operata dalla parte ricorente;
– l’intero quarto motivo di ricorso, per carenza di interesse, non essendo stata fornita dimostrazione in merito al carattere escludente delle previsioni della lex specialis inerenti all’attività dei cd. PVR (Punti Vendita Ricariche);
– nell’ambito del quarto motivo, la doglianza di cui al par.4.1, per violazione dell’art.40, co.1, lett. d) cpa, nella misura in cui si richiamano le doglianze contenute nel ricorso a suo tempo proposto avverso la delibera Adm prot. n. 656848 del 25 ottobre 2024 (sull’istituzione dell’Albo PVR) che XXX ha impugnato dinnanzi al Tar del Lazio (r.g. n. 11569/2024), senza esplicita riproposizione delle specifiche doglianze.
7. In via preliminare, il Collegio esamina, accogliendola, l’eccezione di difetto di legittimazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze, espressamente evocato in giudizio dalla ricorrente. In proposito, si condividono le argomentazioni prospettate dalla difesa erariale, in merito all’estraneità del suddetto Dicastero rispetto agli atti impugnati.
Occorre quindi dichiarare il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze, con conseguente, relativa estromissione dall’odierno giudizio.
8. Il Collegio passa quindi all’esame del ricorso nel merito.
Il ricorso è in parte inammissibile, e infondato per il resto, come di seguito esplicato con riguardo alle singole doglianze proposte dalla parte ricorrente.
9. Con il primo motivo, la ricorrente si duole dell’erronea determinazione del valore della procedura, ergo della singola concessione, per l’importo di euro 37.137.464,54. Tale modus operandi, oltre a non essere sorretto da una trasparente modalità di calcolo, avrebbe in ogni caso effetti anticoncorrenziali, in danno dei concessionari che, come la ricorrente, detengono minori quote di mercato.
9.1 In ordine alla contestazione sul clare loqui in merito ai criteri di calcolo del valore della singola concessione ed in riferimento alla dedotta violazione dell’art,179, co.3 D.Lgs.n.36/2023, si osserva che, al par.10.1 delle Regole Amministrative, Adm ha esposto il meccanismo di calcolo, prevedendo che il valore della singola concessione (come detto, euro 37.137.464,54), sia determinato “sommando l’importo del corrispettivo una tantum di cui all’articolo 6, comma 5, lettera p) del decreto legislativo 25 marzo 2024, n. 41, pari a € 7.000.000,00 (sette milioni/00) e il canone di concessione medio di cui all’articolo 6, comma 6, lettera n) del decreto legislativo 25 marzo 2024, n. 41 da versare per l’intera durata della concessione, pari a € 30.137.464,54, calcolato partendo dal margine netto medio conseguito dai concessionari per il gioco a distanza negli ultimi 3 anni di raccolta (2022, 2023, 2024), aumentato del venti percento annuo, derivante dalla stima di crescita annua della raccolta di gioco, per un totale di € 37.137.464,54”.
Il valore della concessione è stato quindi calcolato quale somma di due addendi: l’una tantum di euro 7.000.000,00 (prevista in tale precisa entità dall’articolo 6, comma 5, lettera p) del decreto legislativo 25 marzo 2024, n. 41), e il canone annuale di concessione, che ogni concessionario è tenuto a versare in misura pari al 3% del margine netto della raccolta (come previsto dall’art.6, co.6, lett.n del D.Lgs.n.41/2024). Ai fini della determinazione del margine netto, l’Amministrazione ha considerato il margine netto medio, ovvero dell’intero mercato di riferimento, calcolato nell’ultimo triennio (2022-2023-3034). Detto margine, in ragione del progressivo aumento della raccolta per i giochi a distanza, è stato aumentato del 20% annuo per ciascuno dei nove anni di durata della concessione.
La contestazione sulla mancata indicazione di un metodo oggettivo di calcolo va dunque disattesa, posto che la lex specialis indica chiaramente che il valore della procedura è parametrato al valore della singola concessione e che detto valore corrisponde a quanto il singolo concessionario medio verserà all’Adm per l’attivazione (una tantum, fissata ex lege in euro 7 mln) e, in seguito, per la conduzione della concessione nel novennio (canone concessorio pari al 3% del margine netto medio sulla raccolta). L’entità della raccolta, su cui si fonda il margine netto (presupposto “impositivo” del canone annuale), è stata calcolata a sua volta come valore “medio” del mercato, applicando altresì una maggiorazione annuale del 20% (ipotizzando cioè che il mercato di settore cresca annualmente con un trend di pari sviluppo).
9.2 La parte ricorrente contesta altresì che il predetto meccanismo di calcolo avrebbe portato a valori esorbitanti e sperequati, con effetti anticoncorrenziali in danno dei concessionari che detengono quote assai minoritarie del mercato, talmente insostenibili, nella prospettiva di parte ricorrente, da rendere oltremodo difficoltosa, se non impossibile, la presentazione di un’offerta consapevole.
Ad avviso del Collegio, la doglianza non persuade.
In primo luogo, occorre osservare che l’importo dell’una tantum è stato fissato direttamente dalla legge (rif. art.6, co.5, lett. p D.Lgs.n.41/2024) e pertanto, in disparte quanto infra con riguardo alla legittimità di tale previsione, esso si imponeva all’Adm.
Quanto al margine netto, parametro su cui si fonda l’entità del canone annuale e la cui aliquota (3%) è parimenti stabilita dalla legge (rif. art.6, co.6, lett. n D.Lgs.n.41/2024), Adm, anche negli scritti difensivi (pag.5 memoria Avvocatura depositata il 2.4.2025), ha confermato che il margine medio è stato desunto dall’osservazione dei valori dell’intero mercato nell’ultimo triennio, con l’applicazione di un coefficiente di maggiorazione del 20% annuo.
Rispetto alla tesi esposta, parte ricorrente non ha fornito in giudizio elementi idonei a comprovare il fatto che il valore del margine medio di mercato del triennio 2022/2024 (ossia la sommatoria del margine diviso il numero di concessionari) non corrisponda a realtà. La scelta di desumere il valore del margine dalla media del mercato è del tutto logica, dal momento che essa è ancorata ad un dato oggettivo e, vieppiù, le quote di mercato del singolo concessionario non sono dalla lex specialis né delimitate a monte, non essendoci del resto alcun limite quantitativo assoluto di titoli assegnabili, né a valle, in quanto non sono previsti limiti all’entità della raccolta per il singolo concessionario (in altri termini, le quote di mercato sono variabili e possono fluttuare, così come i volumi della raccolta e l’andamento del business).
Anche sulla stima di incremento tendenziale della raccolta (20% pro anno), il ragionamento messo in pratica dall’Adm non appare manifestamente irragionevole, posto che:
– trattasi, necessariamente, di una stima condotta su un orizzonte temporale lungo (nove anni);
– oggettivamente, il mercato dei giochi a distanza è in rapidissima crescita, anche e soprattutto in ragione della progressiva informatizzazione del mercato delle scommesse; secondo i dati (incontestati sul punto) esposti dall’Avvocatura erariale, la crescita della raccolta, nel periodo 2019-2024, è pari al 153%.
9.3 La ricorrente contesta inoltre che il metodo di calcolo per la determinazione del valore della procedura si sia fondato dichiaratamente sull’art.14, co.4 D.Lgs.n.36/2023, disposizione (tuttavia) che si applica, in conformità al suo letterale tenore, agli appalti e non alle concessioni.
Come prospettato alle parti ex officio ai sensi dell’art.73, co.3 cpa, il motivo è inammissibile, in primo luogo per violazione della regola sancita all’art.40, co.1, lett. d) (specificità dei motivi di ricorso). In relazione a detto principio, la giurisprudenza è costante nell’affermare che il motivo di doglianza deve avere carattere “perspicuo, inteso come idoneità a rendere comprensibile e percepibile la critica che si muove alla azione dei pubblici poteri, sia in punto di conformità alle fonti normative che ne governano il concreto dispiegarsi nella fattispecie, sia in punto di ragionevolezza, logicità e coerenza dell’iter procedimentale seguito, ovvero della insussistenza dell’eccesso di potere nelle sue disparate forme sintomatiche” (da Tar Milano, 18.9.2023, n.2095).
Nella circostanza, pur essendo prospettata la contestazione circa l’erronea applicazione del criterio di quantificazione recato dall’art.14, co.4 D.Lgs.n.36/2023 (e ciò, sul presupposto che lo stesso possa venire applicato solo nelle gare per gli appalti), la parte tuttavia non chiarisce quale sia, nell’impostazione perseguita, la norma applicabile sulla tematica evocata. In altri termini, la parte ricorrente si limita ad evidenziare la indebita applicazione della disposizione succitata, senza nulla chiarire in ordine alla regola da applicare e, soprattutto, senza esplicitare perché mai, con un diverso (e corretto) approccio fondato sull’applicazione della normativa pertinente, il valore della procedura si sarebbe legittimamente ribassato (dacchè, in buona sostanza, la censura di parte ricorrente mira, essenzialmente, a contestare la sperequata, eccessiva e anticoncorrenziale determinazione del valore della concessione).
L’analisi della censura, a ben guardare, porta pertanto a dubitare dell’ammissibilità della censura anche sotto profili derivati dal primo e, in particolare, della incoerenza con la ratio sostanziale della censura e della insussistenza dell’interesse della parte ricorrente a contestare l’applicazione del metodo di calcolo fondato sull’applicazione dell’art.14, co.4 D.Lgs.n.36/2023.
Secondo tale disposizione, “il calcolo dell’importo stimato di un appalto pubblico di lavori, servizi e forniture è basato sull’importo totale pagabile, al netto dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), valutato dalla stazione appaltante”, ossia, in pratica, sul fatturato attivo dell’appaltatore, che nell’appalto consegue nei confronti della stazione appaltante (nell’appalto il soggetto passivo dell’obbligazione è il committente e quello attivo l’appaltatore). Nelle concessioni, la disposizione che regola il valore della procedura è l’art.179, co.1 D.Lgs.n.36/2023 (norma non considerata nel ricorso e quindi non invocata, a conferma dell’indeterminatezza della censura), secondo cui “il valore di una concessione è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, stimato dall’ente concedente, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi”. Nelle concessioni, dunque, il Codice stabilisce che il valore della procedura è pari alla stima del fatturato attivo generato a vantaggio del concessionario, inclusi i servizi accessori. E’ evidente, peraltro, che nella concessione (contratto normalmente non oneroso per il committente) i ricavi del concessionari si generano nei confronti del terzo che accede ai servizi (nella fattispecie, l’utente privato che effettua la scommessa, ad esempio). Non rileva, invece, il fatturato passivo del concessionario, ossia gli emolumenti versati da quest’ultimo al committente (una tantum + canone di concessione da versare annualmente). Tale interpretazione trova conforto nella specifica previsione in base alla quale il corrispettivo va inteso “quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi”. Il corrispettivo, comprensivo anche dei servizi accessori, non può che intendersi come riferito ai corrispettivi che il concessionario pratica nei confronti dei terzi (utenti finali del servizio). Ad ulteriore conferma dell’assunto che precede, si può inoltre considerare il disposto di cui all’art.179, co.3, lett. b) D.Lgs.n.36/2023, laddove si includono nel valore della concessione “gli introiti derivanti dal pagamento, da parte degli utenti dei lavori e dei servizi, di tariffe e multe, diverse da quelle riscosse per conto dell’ente concedente”. Peraltro, ai sensi dell’art.2, co.1, lett. c) D.lgs.n.41/2024, la nozione di “compenso del concessionario” ricomprende, in relazione alla tipologia di gioco ed alla sua regolamentazione, tanto il margine (ossia la differenza fra somme giocate e vincite erogate, elemento tipicamente aleatorio) che l’aggio, ossia il corrispettivo per la giocata in sé (cfr., art.24 Schema di Convenzione). Infine, l’interpretazione suesposta trova conferma nella omologa previsione di cui all’art.8, co.2, primo periodo, della Direttiva Ue sulle Concessioni (2014/23/UE), laddove è per l’appunto stabilito che “Il valore di una concessione è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, stimato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi”.
A rigore, dunque, la pedissequa applicazione dell’art.179, co.1 D.Lgs.n.36/2023 avrebbe condotto Adm a dover considerare, quale valore della procedura, un importo nettamente superiore rispetto a quello rilevato nel bando (euro 37.137.464,54), pari, come detto, alla sommatoria fra l’importo dell’una tantum (7 mln, fissato ex lege) e il canone di concessione versato per l’intero novennio di durata del rapporto, stimato a partire dal margine medio della raccolta.
Allo scopo, è sufficiente considerare che, nella simulazione sui ricavi di XXX con riguardo al triennio 2022-2024 e in riferimento alle attività ricomprese nel perimetro della concessione (v. all.to n.18 deposito di parte ricorrente del 20.1.2025), per il solo anno 2022 la società ha ottenuto un margine netto totale (ossia la differenza fra raccolta e vincite erogate + imposte) pari ad oltre 28 mln. di euro. Dunque, considerando i ricavi del concessionario da margine, moltiplicati per il novennio di durata dell’affidamento, il valore della concessione sarebbe stato, ai sensi dell’art.179, co.1 D.Lgs.n.36/2023, incommensurabilmente più elevato rispetto a quello previsto in gara, parametrato (in misura più contenuta) alle fees dovute dal concessionario nei confronti della stazione appaltante.
9.4 Sempre in tema di valore (ritenuto) esorbitante della concessione, parte ricorrente contesta la mancata considerazione del mantenimento dell’equilibrio economico-finanziario del contratto nel corso del rapporto pluriennale.
La contestazione non è plausibile.
In primo luogo, nessuna delle disposizioni citate dalla ricorrente impone di considerare la revisione del contratto ai fini della determinazione del valore della procedura. Anche la Direttiva Concessioni, all’art.8, co.2, secondo periodo, suffraga l’impostazione suesposta, allorchè prevede che “tale valore stimato è valido al momento dell’invio del bando di concessione o, nei casi in cui non sia previsto detto bando, al momento in cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore avvia la procedura di aggiudicazione della concessione, per esempio, contattando gli operatori economici in relazione alle concessioni”.
Quanto alla normativa nazionale:
– l’art.177, co.5 D.lgs.n.36/2023 prevede che la concessione consenta di conservare l’equilibrio finanziario e, semmai, la norma può essere rilevante al fine di valutare la congruità della proposta progettuale del concorrente;
– l’art.192 D.Lgs.n.36/2023 afferma lo stesso principio proiettandosi nella fase esecutiva, prevedendo che, al verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili, non imputabili al concessionario, le condizioni di concessione possono essere rinegoziate, fermi i limiti ivi stabiliti;
– quanto alla previsione recata dall’art.10 D.Lgs.n.41/2024, in merito alla necessità di prevedere, nei contratti, apposite clausole sulla rinegoziazione secondo buona fede, si rileva che a ciò l’Adm ha provveduto con l’art.4 dello Schema di Convenzione, recante analitica disciplina delle ipotesi che legittimano la rinegoziazione, in armonia con il principio generale di cui all’art.9 D.Lgs.n.36/2023.
9.5 In merito alla mancata considerazione dell’incremento dell’aliquota dell’imposta unica (0,5%, e 2,5% per i cd. Virtual games), introdotta, con decorrenza dal 1.1.2025, dall’art.1, co.92 L.n.207/2024, la parte ricorrente non dimostra in che modo e/o per quale ragione le condizioni economiche fissate per l’accesso alla procedura diverrebbero insostenibili a seguito dell’incremento del livello di tassazione specifica, anzi proprio la conoscenza di tale circostanza potrà venire, se del caso, soppesata dalla ricorrente in sede di partecipazione. Peraltro, l’incremento dei livelli di tassazione, oltre a non essere nella disponibilità della stazione appaltante, costituisce evento del tutto fisiologico e quindi prevedibile, specie in un rapporto contrattuale di durata come quello in esame.
9.6 Sempre nell’ambito del primo motivo di ricorso, in via subordinata la ricorrente eccepisce l’illegittimità, costituzionale ed eurounitaria, della previsione recata dall’art. 6, co. 5 lett. p) d.lgs. n. 41/2024, integralmente recepita dal par. 4.6 delle Regole Amministrative, relativamente all’importo dell’una tantum, ritenuto sproporzionato e anticoncorrenziale.
La lex specialis, in conformità alla suddetta previsione normativa, stabilisce che “i soggetti aggiudicatari della concessione sono tenuti a effettuare, a pena di esclusione, un versamento di un corrispettivo una tantum, di importo pari a sette milioni di euro per ogni concessione richiesta, nella misura di quattro milioni di euro all’atto dell’aggiudicazione e tre milioni di euro all’atto della
Regole amministrative effettiva assunzione del servizio del gioco da parte dell’aggiudicatario, da attivarsi, comunque, ai sensi dell’articolo 6, comma 5, lettera p) del decreto legislativo 25 marzo 2024, n. 41, non oltre sei mesi dal rilascio della concessione”.
Ad avviso del Collegio, la parte ricorrente non fornisce in giudizio elementi probatori idonei a dimostrare la natura anticoncorrenziale dell’una tantum e, con essa, la contrarietà agli invocati principi di uguaglianza, concorrenzialità, proporzionalità, libero accesso ai servizi, ecc.
Al riguardo, si rileva che:
– nella concessione di servizi, secondo la definizione recata dal par. 5, co.1, lett. b) della Direttiva Concessioni, è intrinseca l’onerosità per il concessionario, e altresì la traslazione del rischio in capo a quest’ultimo (natura onerosa e aleatoria del contratto di concessione). Nella fattispecie, appare del tutto ragionevole che l’accesso alla procedura sia assoggettato al pagamento di una fee d’ingresso in termini fissi, dal momento che la stessa, unitamente alle garanzie (provvisoria e definitiva) previste dal Codice dei contratti, rappresenta un indice di serietà dell’offerta e di affidabilità dell’operatore economico, chiamato a svolgere un servizio che, di regola, appartiene alla sfera di competenza dello Stato e per il quale è deputato ad acquisire anticipatamente notevoli entrate finanziarie, di pertinenza (anche) dell’Erario e degli utenti. Viceversa, il canone concessorio annuale, a seguito dell’attivazione della convenzione, è poi parametrato ai ricavi effettivi del singolo concessionario (percentuale del 3% sul margine netto);
– come dimostrano i dati esibiti (e non smentiti) dall’Avvocatura erariale nella memoria difensiva, la raccolta dei giochi on line ha mostrato, negli ultimi anni, un vistoso ed esponenziale trend di crescita, destinato verosimilmente ad aumentare nei prossimi anni, in coerenza con la sempre maggiore confidenza degli utenti con le tecnologie informatiche e con gli strumenti della Rete internet;
– ad ogni buon conto, parte ricorrente non ha in alcun modo dimostrato che l’entità dell’una tantum (7 mln.) sia insostenibile e costituisca una barriera preclusiva all’accesso, specie ove si consideri che, nel succitato documento prodotto dalla ricorrente circa la simulazione dei canoni, la stessa espone un margine netto annuale (pari alla differenza fra somme incassate e somme riversate agli utenti vincitori ed all’Erario per l’Imposta Unica) superiore a 28 milioni di euro;
– ulteriormente, oltre a considerare che l’ordinamento consente anche forme di partecipazione in modalità aggregata, tali da ridurre il peso finanziario dell’una tantum, si evidenzia che l’avviso di gara non limita in alcun modo le possibilità per il concorrente di espandere le proprie quote di mercato rispetto all’attualità. Occorre altresì evidenziare che l’importo dell’una tantum (che grava peraltro sull’aggiudicatario e non sul mero concorrente) potrà essere recuperato e ammortizzato dal concessionario nel corso della novennale estensione del rapporto concessorio, attraverso dunque una rituale pianificazione pluriennale dei conti di gestione della convenzione.
10. Con il secondo motivo, la ricorrente contesta la lex specialis nella misura in cui ha previsto e disciplinato gli importi delle garanzie (provvisoria e definitiva).
Quanto alla garanzia provvisoria, la stessa è stata fissata nella somma di euro 750.000,00, pari (in base all’art.106 D.Lgs.n.36/2023) al 2% del valore della commessa. Su tale profilo, respinte le censure in merito al valore della procedura, giocoforza deve respingersi, per necessaria coerenza, quella sull’entità della garanzia provvisoria.
Quanto alla garanzia definitiva, che l’art.117 D.Lgs.n.36/2023 stabilisce in misura pari al 10% del valore della procedura, la ricorrente contesta, in modo particolare, la previsione di cui all’art.22, co.8 dello Schema di Convenzione, nella misura in cui, per il primo anno, la garanzia è pari seccamente al 10% del valore del contratto (ossia 3,7 mln di euro), in contrasto con il modus procedendi fissato dal co.6, secondo cui l’entità della garanzia si determina sommando una quota fissa (euro 500.000) e altre due quote (8%), parametrate in modo variabile alla raccolta del singolo concessionario e quindi al suo “potere” di mercato (tenendo cioè conto degli esborsi per imposta e canone nonché delle giacenze medie sui conti di gioco).
La censura non è condivisibile, sotto un duplice profilo:
– da un lato, per la prima annualità di durata della concessione, appare logicamente corretto riferire l’entità della garanzia al valore medio della concessione, stimato dal bando, in assenza di dati oggettivi sull’andamento della raccolta per il singolo concessionario;
– da un altro, e in correlazione con l’assunto che precede, la prima annualità è quella che, sotto l’aspetto esperienziale, presenta maggiormente la necessità di garantire in modo adeguato la copertura dell’Adm in merito ad eventuali irregolarità nello svolgimento del servizio, per il quale l’operatore economico si trova ad acquisire e gestire ingenti somme, da riversare poi all’Erario ed agli utenti.
11. Con il terzo motivo, la ricorrente rivolge l’attenzione critica alle previsioni della lex specialis che regolano il piano degli investimenti da sostenere a cura dei concessionari.
L’art.8, co.2 prevede che, all’atto della presentazione della domanda di ammissione alla procedura, il partecipante dovrà presentare un piano degli investimenti, “con specifica relazione circa la relativa sostenibilità commisurata alla durata e alle condizioni che regolano il rapporto concessorio”. La contestazione mossa dalla ricorrente si riferisce all’importo minimo di tali investimenti, siccome stabiliti in misura non tarata sulle quote di mercato detenute dal singolo operatore economico: in particolare, per i primi due anni, si prevede un impegno non inferiore ad euro 700.000,00 (ossia il 10% dell’una tantum), mentre per gli anni successivi in misura pari allo 0,03% della raccolta media riferita a tutti i concessionari dell’anno precedente.
Ad avviso del Collegio, posto che in alcun modo la ricorrente dimostra l’insostenibilità finanziaria degli investimenti pluriennali richiesti ai concessionari, si ritiene che le suddette previsioni, nella misura in cui predeterminano un’entità minima fissa (primi due anni) o comunque non parametrata al volume della raccolta del singolo concessionario, non siano irragionevoli, nella misura in cui è evidente la finalità dell’ente concedente di garantire un plafond minimo di interventi, allo scopo di realizzare le finalità per le quali detti interventi sono resi obbligatori in forza dell’art.8, co.1 dello Schema di Convenzione (adeguamento tecnologico, sicurezza del gioco). E’ evidente, pertanto, che la previsione di un impegno finanziario minimo, non ribassabile o rimodulabile, contribuisce a garantire maggiormente sia lo Stato che gli utenti finali, in ordine al raggiungimento (e al mantenimento) di uno standard adeguato, dato che le esigenze di adeguatezza tecnologica, nei minimi, non sono ribassabili e, soprattutto, non possono essere proporzionali ai volumi di raccolta del gioco.
Parte ricorrente contesta, infine, che l’obbligo di effettuare investimenti non trova copertura nelle previsioni del D.Lgs.n.41/2024.
La censura non merita condivisione.
Infatti, l’art.6, co.5, lett. g) D.Lgs.n.41/2024 prevede, inter alias, che la concessione venga rilasciata all’esito di apposita gara ad evidenza pubblica che preveda il seguente requisito: ……”presentazione di un piano degli investimenti individuato dall’Agenzia con il bando di gara, secondo principi di ragionevolezza e proporzionalità e tutela della concorrenza, asseverato da soggetto terzo con specifica relazione circa la relativa sostenibilità commisurata alla durata e alle condizioni che regolano il rapporto concessorio”. Posta la necessità di prevedere la presentazione di un piano di investimenti, non può seriamente dubitarsi del potere-dovere dell’Adm di declinarli nel dettaglio, stante l’esplicita previsione della suddetta norma primaria (“piano degli investimenti individuato dall’Agenzia”) e, in ogni caso, della ampia facoltà, riconosciuta alla stazione appaltante secondo i dettami del Codice dei contratti pubblici (cfr. art.113 D.Lgs.n.36/2023 sui requisiti di esecuzione), di integrare la normativa primaria, con la lex specialis, allo scopo di assicurare la piena rispondenza della selezione alle finalità previste dal D.Lgs.n.41/2024 e, in termini più generali, all’interesse pubblico.
12. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente censura talune previsioni della lex specialis in merito all’attività dei Punti Vendita Ricariche, ossia degli esercenti con i quali i concessionari possono sottoscrivere appositi contratti funzionali, essenzialmente, alla ricarica dei conti di gioco degli utenti.
La tematica dei cd. PVR torna nuovamente all’attenzione del Tribunale in esito all’avvenuta pubblicazione, ad opera dell’Adm, della determina prot. n. 656848 del 25 ottobre 2024, di istituzione e disciplina dell’Albo dei Punti Vendita Ricariche. Tale determina è stata impugnata anche dall’odierna ricorrente, con ricorso ascritto al r.g. n.11569/2024, definito con sentenza n.4524/2025 del 3.3.2025, di accoglimento del ricorso, limitatamente alle disposizioni della predetta delibera che ne prevedevano l’applicazione anche ai concessionari attuali (ossia a quelli che operano in regime di proroga tecnica, nelle more dello svolgimento della presente procedura, propedeutica all’assegnazione delle concessioni novennali) e agli esercenti contrattualizzati con quest’ultimi. Il Tribunale ha poi disposto l’assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso, rilevata la carenza di interesse in ordine alle censure di merito, assumendo che “una volta stabilito che le disposizioni dell’art.13 D.Lgs.n.41/2024, e con esse la determinazione istitutiva dell’Albo PVR, non possono applicarsi agli attuali concessionari in regime di proroga tecnica (nonché agli esercenti con questi collegati), non residua più, in capo alla parte ricorrente (concessionario in regime di proroga), alcuna utilità dallo scrutinio delle censure che investono il contenuto delle singole previsioni recate dalla determinazione direttoriale in questione, così come, per difetto di rilevanza, anche di quelle che, sul piano generale, censurano la compatibilità costituzionale ed eurounitaria della normativa primaria sottesa (D.Lgs.n.41/2024), dal momento che nessuna lesione potrà essere arrecata da disposizioni che allo stato non sono applicabili in confronto della parte ricorrente” (da Tar Roma- Sezione II, n.4524/2024).
Il Collegio, come già prospettato alle parti, ritiene che il motivo sia inammissibile, non avendo la parte ricorrente comprovato la portata escludente delle clausole impugnate.
L’orientamento tradizionale della giurisprudenza amministrativa, consolidatosi a partire dalla posizione espressa dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.1/2003 (cfr., anche Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n.4/2018), ritiene (condivisibilmente) che le clausole del bando possono (recte: devono) essere impugnate immediatamente quando hanno portata escludente. Tali sono le clausole che impediscono la partecipazione ovvero la rendono oltremodo gravosa, ovvero comunque precludono la possibilità di presentare un’offerta seria, consapevole e competitiva (sul punto, cfr., quam multis, Tar Palermo, 24.9.2024, n.2611). Parte ricorrente non ha comprovato che le clausole, specificamente contestate con l’odierno ricorso in tema di PVR, impediscano finanche la formulazione di un’offerta consapevole e remunerativa, accedendo le stesse, del resto, al rapporto negoziale che insorge solo a valle della partecipazione del concorrente (aspirante concessionario) alla gara in questione ed all’eventuale assegnazione del titolo concessorio, e concernendo i legami con i PVR la fase propriamente esecutiva del rapporto concessorio.
Ad ogni buon conto, per ragioni di opportunità, il Tribunale esamina nel merito le censure proposte dalla ricorrente, nei termini di seguito esposti.
12.1 Si contesta che l’art.18 dello Schema di Convenzione abbia previsto, così come la determina del 25.10.2024, alcuni divieti non contemplati dall’art.13 D.Lgs.n.41/2024, e in particolare:
– il divieto di messa a disposizione di materiale cartaceo nel quale vi sia un richiamo esplicito ad eventi di gioco, a palinsesti e/o a quote di gioco;
– il divieto di affissione all’interno e all’esterno dei locali di insegne, locandine e vetrofanie.
La censura, oltre ad essere inammissibile anche per mancata espressa impugnazione, nell’odierno ricorso, dell’atto presupposto (ossia la Determina Adm 656848 del 25 ottobre 2024), non è convincente, ove si consideri che i divieti in parola costituiscono presìdi diretti ad attuare i principi fondanti l’intervento legislativo di cui al D.Lgs.n.41/2024 (norma speciale prevalente su discipline antecedenti o di carattere generale) avuto riguardo, in particolare, alle previsioni di cui all’art.2, co.1 lett. f, che esclude al PVR qualsivoglia possibilità di “offerta di gioco a distanza”, nonché agli arrt.2, co.1, lett.g, e 3, co.1 che prefigurano la necessità di adottare misure volte a favorire il “gioco responsabile”, anche a tutela dei minori e della legalità.
La ricorrente contesta altresì la previsione di cui all’art. 18, co. 9 lett. a) dello Schema di Convenzione, laddove è previsto il divieto di apertura di conti di gioco intestati ai titolari di punto di Vendita Ricariche ai loro familiari e conviventi ed al personale dipendente; sul punto, si censura la presunta indeterminatezza della nozione di “familiari”.
La contestazione non ha pregio, posto che la previsione, indubbiamente posta a presidio del fondamentale principio di legalità del gioco (rif.art.3, co.1 D.Lgs.n.41/2024), onde evitare che la commistione di gioco e legami familiari possa favorire la deviazione dalle regole (tratte dalla normativa primaria o secondaria), fa riferimento ad una nozione rinvenibile nel diritto comune (nel diritto di famiglia, innanzi tutto) e, all’occorrenza, l’Adm potrà essere interpellata dal concessionario o, soprattutto, dall’esercente, per eventuali chiarimenti applicativi.
Si contesta, ancora, che l’art.18 dello Schema di Convenzione, richiamando la Determina del 25.10.2024, impedisce di collocare i PVR “in circoli privati o locali di associazioni, anche se titolari di autorizzazione ai sensi dell’art. 86 TULPS”, senza la copertura della norma primaria (art.13 D.Lgs.n.41/2024).
Ferma l’inammissibilità della doglianza anche per mancata impugnazione della Determina del 25.10.2024 nell’odierno ricorso, la previsione non è scevra da ragionevolezza, atteso che l’attivazione dei PVR in locali del tutto privati potrebbe rendere difficoltoso il controllo delle autorità preposte, necessario presidio di legalità.
Peraltro, non si concorda sul fatto che, in tale ambito, l’Adm sarebbe priva del potere di individuare condizioni e limiti all’esercizio dell’attività dei PVR se non strettamente previsti dal D.Lgs.n.41/2024. Il potere dell’Adm di regolamentare l’attività dei PVR può infatti fondarsi:
– in termini generali, sul proprio ruolo di soggetto concedente, come tale abilitato a disciplinare le regole che governeranno la futura concessione, in ossequio al principio di autonomia contrattuale di cui le p.a. godono, anche nell’esercizio delle funzioni di stazione appaltante (rif. art.8 D.Lgs.n.36/2023), potendo e dovendo declinare le prestazioni dedotte nel contratto messo a gara (cfr., per le concessioni, l’art.182, co.4 D.Lgs.n.36/2023, secondo cui “ il bando indica i requisiti tecnici e funzionali che definiscono le caratteristiche richieste per i lavori o i servizi oggetto della concessione”). Del resto, la tradizionale espressione di “lex specialis” altro non indica se non il potere dell’ente (appaltante o concedente) di “normare” le condizioni del contratto, naturalmente entro i limiti fissati dalla legge o desumibili dai principi ordinamentali. Nel caso della concessione dei servizi in questione (come nelle concessioni di servizio pubblico), peraltro, il potere di regolamentazione è implicitamente rafforzato in capo all’ente concedente, trattandosi di servizi e attività riservate, in linea di principio, allo Stato (cfr., art.6, co.1 D.Lgs.n.41/2024) e “consentite” con il rilascio, a cura dell’Agenzia, di apposito titolo concessorio;
– in termini più specifici, sull’art.6, co.5, D.Lgs.n.41/2024, che prevede espressamente il potere dell’Adm di individuare requisiti e condizioni in capo al concessionario anche ulteriori (rif. lett. e) rispetto a quelli previsti dal medesimo comma (rif. lettere a-q). L’ampia dicitura utilizzata consente di ricomprendervi anche la disciplina dei PVR, che hanno rapporti contrattuali con i concessionari e che, parimenti, sono soggetti alla vigilanza dell’Adm.
La ricorrente contesta inoltre le previsioni dell’art.18 dello Schema di Convenzione che, recependo le ipotesi della Determina del 25.10.2024, sanciscono la decadenza della concessione per mancato pagamento della quota di iscrizione.
Nel rilevare che la determinazione decadenziale costituisce il provvedimento conclusivo di un procedimento amministrativo, sottoposto come per legge ai principi del giusto procedimento, si osserva che la decadenza è espressamente prevista dall’art.13, co.2 D.Lgs.n.41/2024, che, al secondo periodo, prevede “senz’altro la decadenza dall’iscrizione all’albo” in caso di “mancato pagamento anche di una sola annualità del predetto importo”.
Si censurano, poi, ulteriori previsioni dello Schema di Convenzione, conformi sul punto alla normativa primaria (rif. art.13 D.Lgs.n.41/2024), ritenuta a sua volta non ossequiosa dei principi costituzionali ed eurounitari. Le disposizioni sospettate di illegittimità riguardano:
– l’obbligo di non introdurre nei contratti con i PVR clausole di esclusiva;
– l’obbligo di concludere con i PVR contratti necessariamente onerosi;
– il divieto per i PVR di effettuare ricariche in contanti e con strumenti inidonei a consentire la tracciabilità dei flussi finanziari, oltre il limite di € 100/settimana;
– il divieto per i PVR di consentire il prelievo dai conti di gioco.
Sul punto, si ritiene che i rilievi prospettati, focalizzati sulla norma primaria di riferimento, siano manifestamente infondati, trovando le relative previsioni in interessi di natura generale.
Nello specifico:
– il divieto di introduzione di clausole di esclusiva è posto a tutela del principio della concorrenzialità, onde scongiurare la possibilità di favorire eccessive concentrazioni a vantaggio dei competitors più forti sul mercato;
– l’obbligo di onerosità evita pratiche di abuso nella gestione delle attività dei PVR, onde favorire serietà e professionalità nell’esercizio delle prerogative assegnate ai PVR, anche a tutela della legalità;
– i divieti inerenti, rispettivamente, alle ricariche con mezzi non tracciati (oltre la somma di euro 100) e al prelievo dai conti di gioco rientrano nella finalità di contrasto al riciclaggio di danaro (rif. art.3, co.1, lett. g D.Lgs.n.41/2024), posto che, notoriamente, i giochi (e in particolare le scommesse) on line favoriscono l’afflusso di “denaro sporco” riciclato dalla criminalità organizzata. Con le previsioni in questione, si intende (del tutto comprensibilmente) porre un limite all’afflusso incontrollato di danaro ed al relativo prelievo.
In ultimo, viene contestato che l’art.18 dello Schema di Convenzione non prevede, a differenza di quanto previsto nella Determina del 25.10.2024, che l’attività di PVR posa essere affidata anche alle rivendite di tabacchi e di generi di monopolio. Sul punto, si osserva che non vi sono ragioni per non ritenere che la disciplina recata dallo Schema di Convenzione sia eterointegrata dalla Determina del 25.10.2024, peraltro richiamata all’art.2 delle Regole Amministrative, tra i riferimenti normativi generali.
13. Per quanto precede, in conclusione, il ricorso va dichiarato in parte inammissibile e respinto per il resto ai sensi di cui in motivazione, previa declaratoria di difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze e relativa estromissione dal presente giudizio
Le spese di giudizio seguono l’ordinario criterio della soccombenza della parte ricorrente in favore delle parti intimate e costituite, per essere liquidate nella misura indicata in dispositivo, con attribuzione ex lege all’Avvocatura Generale dello Stato, mentre nulla è dovuto nei confronti della controinteressata in epigrafe (XXX), non costituita.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile e lo respinge per il resto, ai sensi di cui in motivazione, previa declaratoria di difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e delle Finanze e relativa estromissione dal presente giudizio.
Condanna altresì la parte ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, delle spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, con attribuzione all’Avvocatura Generale dello Stato. Nulla nei confronti della controinteressata in epigrafe.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2025, con l’intervento dei magistrati:
Pietro Morabito, Presidente
Igor Nobile, Primo Referendario, Estensore
Annamaria Gigli, Referendario
PressGiochi
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