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Tassa dei 500 milioni: il Tar del Lazio boccia i ricorsi e conferma definitivamente la legittimità della norma

“Non è stato istituito un nuovo tributo, il legislatore ha voluto appositamente incidere, riducendolo, sulla misura del compenso remunerativo dei soggetti che compongono le filiere delle reti di raccolta del

24 Giugno 2019

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“Non è stato istituito un nuovo tributo, il legislatore ha voluto appositamente incidere, riducendolo, sulla misura del compenso remunerativo dei soggetti che compongono le filiere delle reti di raccolta del gioco praticato mediante apparecchi. In altri termini, visto che il denaro che lo Stato lascia a tali filiere, a titolo di compenso, è pur sempre pubblico, è come se con la legge di stabilità lo Stato avesse ridotto da 4 miliardi di euro a 3,5 miliardi di euro circa il montante delle risorse messe a disposizione delle predette filiere per la loro remunerazione”.

Con questa motivazione, il tribunale amministrativo per il Lazio ha respinto i ricorsi presentati da alcuni operatori e concessionari contro la Tassa dei 500 milioni istituita con legge di Stabilità 2015.

Di seguito la sentenza del Tar:

 

FATTO e DIRITTO

I – La ricorrente è una Società concessionaria del servizio pubblico di attivazione e conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento ed intrattenimento, nonché delle attività e funzioni connesse, in forza di convenzione di concessione di durata novennale sottoscritta in data 20 marzo 2013, attualmente vigente.

I.1 – Va detto che l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli gestisce l’offerta del gioco lecito tramite apparecchi da divertimento ed intrattenimento di cui all’art. 110, comma 6, del TULPS ed a tal fine seleziona, attraverso procedure ad evidenza pubblica, i soggetti cui affidare in concessione la realizzazione e conduzione della rete per la gestione telematica del gioco stesso.

I concessionari, che hanno sottoscritto una convenzione di concessione di durata novennale, sono attualmente tredici.

Gli apparecchi da divertimento e intrattenimento sono di due tipi: le Amusement With Prizes (AWP) e le Video Lottery Terminal (VLT).

Le AWP sono apparecchi che vengono installati principalmente presso esercizi generalisti primari (come, ad esempio, i bar e le rivendite di tabacchi), denominati “esercenti”, ed operano con una posta massima di 1 euro a fronte di una possibile vincita massima di 100 euro. Tali apparecchi generalmente sono acquistati o noleggiati da operatori terzi, i cc.dd. “gestori”, che si occupano anche dell’installazione e della manutenzione presso gli “esercenti”, titolari di esercizi commerciali dotati di specifica autorizzazione ai sensi del TULPS, a loro volta convenzionati con gli stessi gestori o con i concessionari.

Nella filiera del comparto delle VLT, invece, è di solito assente il gestore, perché gli apparecchi sono forniti direttamente dal concessionario, che si prende carico dell’intera gestione operativa degli stessi. La posta di gioco con le VLT è consentita fino a 100 euro, mentre la vincita conseguibile arriva fino a 5.000 euro.

I rapporti tra lo Stato ed i concessionari sono regolati da apposite convenzioni, mentre i rapporti tra concessionari, gestori ed esercenti sono regolamentati da contratti di diritto privato, che, secondo quanto riferito dalla difesa erariale, non rispondono a modelli tipo redatti o approvati dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Il compenso spettante ai concessionari è calcolato in via residuale, all’esito del versamento dei seguenti importi (prima dell’adozione del provvedimento qui censurato):

– le vincite pagate ai giocatori (che non possono essere inferiori al 74% degli importi giocati per le AWP e all’85% per le VLT);

– gli importi dovuti agli altri operatori della filiera, gestori ed esercenti, sulla base dei contratti di diritto privato con gli stessi stipulati;

– gli importi dovuti all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, principalmente a titolo di canone di concessione;

– gli importi dovuti all’Erario, principalmente il PREU (prelievo erariale unico).

II – Con il decreto dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli prot. n. 4076 del 15 gennaio 2015, in attuazione dell’art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014, è stato stabilito che le Società concessionarie dovessero versare, per l’anno 2015, in aggiunta ai corrispettivi già versati all’Erario e all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, un ulteriore importo, così come nello stesso decreto indicato, determinato in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014, ivi specificato, suddiviso in due rate, di cui una, pari al 40%, entro il 30 aprile 2015 ed una, pari al 60%, entro il 31 ottobre 2015.

II.1 – Con specifico riguardo all’odierna ricorrente, detto decreto ha stabilito che essa dovesse versare, in due rate e con le percentuali e le scadenze viste, in toto la somma di € 47.040.018,54, in relazione ad un totale di 38.964 apparecchi.

II.2 – Con il ricorso in esame viene impugnato il predetto provvedimento.

III – Questi i motivi di doglianza dedotti:

A) Vizi del decreto dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli del 15 gennaio 2015.

1) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014. Violazione del giusto procedimento. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della convenzione di concessione. Eccesso di potere per arbitrio e difetto di motivazione.

L’art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014 ha previsto: “(…) è stabilita in 500 milioni di euro su base annua la riduzione, a decorrere dall’anno 2015, delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18(giugno 1931, n. 773”.

La successiva lettera c) del su menzionato articolo ha poi stabilito che “i concessionari, nell’esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di filiera le somme residue, disponibili per aggi e compensi, rinegoziando i relativi contratti e versando gli aggi e compensi dovuti esclusivamente a fronte della sottoscrizione dei contratti rinegoziati”.

L’importo di 500 milioni di euro annuo va sottratto agli aggi e compensi complessivamente spettanti per l’intera filiera. L’obbligo di detta somma è stato previsto, però, solo a carico del concessionario, mentre nulla sarebbe stato previsto in ordine alle modalità di raccolta tra concessionari ed operatori della filiera, sebbene questi ultimi siano stati onerati di versare ai concessionari l’intero ammontare della raccolta del gioco.

Inoltre, nulla si affermerebbe circa le conseguenze in ordine al mancato versamento del dovuto da parte di gestori ed esercenti.

Sarebbe stata altresì violata la convenzione, atteso che essa, all’art 3, prevede che: “AAMS può richiedere al concessionario, che si impegna sin d’ora ad accettare, di apportare, nel periodo di validità della concessione, variazioni alle attività indicate nell’atto di convenzione e nel capitolato tecnico e relativi allegati, che si rendano necessarie qualora ricorrano eventi non prevedibili che determinano sostanziali cambiamenti di contesto, anche a seguito di eventuali modifiche normative o di provvedimenti di AAMS relativi alla gestione del gioco lecito attraverso apparecchi da divertimento e intrattenimento”.

Il punto 4 del citato articolo 3 prevede: “4. Le integrazioni dell’atto di convenzione, di cui ai commi 1, 2 e 3, sono recepite e formalizzate in apposito atto aggiuntivo che, sottoscritto dalle parti; costituisce ulteriore elemento integrante dell’atto di convenzione”.

Quindi in questo caso sarebbe stato necessario un atto integrativo, con acquisizione del parere preventivo del Consiglio di Stato, mentre tutto ciò non è accaduto.

2) Violazione della riserva di legge. Violazione e falsa applicazione della stessa legge n. 190/2014.

Il decreto impugnato, nel disporre le modalità di pagamento, istituirebbe un codice tributo, per cui sarebbe stata necessaria una legge al riguardo.

B) Vizi della legge provvedimento di cui all’art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014 e conseguente illegittimità derivata del decreto direttoriale indicato sotto la lettera A).

3) Violazione del principio del legittimo affidamento – di rilevanza europea – e del principio di buon andamento, quale principio generale del diritto. Eccesso di potere ed evidente sproporzione degli oneri gravanti sui concessionari. Violazione dei diritti quesiti. Violazione dell’art. 1, prot. 1, della CEDU. Violazione e contrasto con gli artt. 3, 41, 42, 97 e 117 Cost..

La nuova convenzione di concessione ha già previsto maggiori e gravosi impegni finanziari. A ciò si aggiungono vincoli restrittivi, come quelli determinati dalle distanze minime da luoghi sensibili da rispettare, mentre le VLT on line avrebbero un regime di tassazione più agevolato e la possibilità di offrire tali giochi con investimenti ridottissimi.

Il legislatore avrebbe modificato ulteriormente in peius i diritti quesiti e le condizioni economiche consacrati nella convenzione di concessione stipulata il 20 marzo 2013, in violazione dei principi di affidamento e di non discriminazione, come previsti nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

Secondo la parte ricorrente, tali modifiche non avrebbero riguardato profili né di ordine pubblico né di controllo, che giustificherebbero la mancata considerazione dell’affidamento.

L’intervento sarebbe poi palesemente sproporzionato ed in contrasto con l’art. 1, prot. 1, della CEDU, che tutela i diritti di aspettativa economica, risolvendosi in una sorta di esproprio illegittimo di diritti economici, non accompagnato da alcun indennizzo.

Cita, al riguardo, le sentenze Tre Traktorer c/Svezia (1989), Pine Valley c/Irlanda (1991), Oneryildiz c/Turchia (2002).

La violazione di tali principi di legittimo affidamento e di legittima aspettativa provocherebbe una doppia conseguenza:

a) per un primo aspetto, consentirebbe la disapplicazione delle norme interne in contrasto col diritto comunitario (e/o con i principi affermati dalle sentenze della Corte di Giustizia che ne sono parte integrante), verificabile, in caso di dubbio, tramite rimessione pregiudiziale interpretativa alla Corte di Giustizia;

b) per un secondo aspetto, renderebbe la norma in contrasto con gli artt. 3, 41, 42 e 97 della Costituzione, in ragione della palese irragionevolezza e della violazione della libertà d’impresa e dei principi di buon andamento, conseguenti alla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento e del mantenimento dei diritti quesiti, oltre a determinare il contrasto con l’art 117 Cost., ai sensi della norma interposta rappresentata dall’art 1, prot 1, CEDU.

4) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione delle regole della concorrenza. Violazione degli artt. da 101 a 106 del TFUE. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 Cost..

Il legislatore inciderebbe negativamente e selettivamente solo sull’attività dei 13 concessionari del gioco da intrattenimento tramite gli apparecchi previsti dall’art. 110, comma 6, del TULPS, mentre nessuna analoga misura sarebbe prevista per gli altri giochi.

Anche qui quindi sarebbero percorribili due strade: – disapplicazione della norma interna lesiva dei principi comunitari di libera concorrenza, in quanto in contrasto con le norme del TFUE, con eventuale rimessione interpretativa alla Corte di Giustizia; – rimessione alla Corte Costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 41, 97 e 117 Costituzione.

5) Violazione di legge. Violazione e falsa applicazione degli artt. 106 e 107 del TFUE. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 97 Cost..

La misura, che colpisce solo i concessionari del gioco attraverso gli apparecchi da intrattenimento, si risolverebbe in una sorta di aiuto di Stato a favore degli altri operatori del settore (cfr. Corte di giustizia, 26 settembre 2014, sez. V, nella causa T-601/11), non ammissibile. Si tratterebbe di un aiuto cd. indiretto o negativo.

6) Eccesso di potere per irragionevolezza manifesta. Eccesso di potere per violazione dei principi di libera concorrenza.

Sarebbe stato disatteso il criterio di progressività, essendo prevista l’applicazione del criterio del numero di apparecchi posseduti, indipendentemente dalla redditività.

7) Eccesso di potere per irragionevolezza manifesta, sotto altro profilo.

La legge impone la modifica delle gestione dei flussi finanziari, disponendo che il concessionario deve ricevere le somme, senza operare e/o consentire la compensazione, e di riversare poi le somme rimanenti ai gestori, con l’onere di eseguire per ogni periodo contabile migliaia di bonifici.

Ciò provocherebbe una intromissione nella libertà contrattuale ed un maggior costo.

Inoltre non si potrebbe imporre ex lege ai concessionari di rinegoziare unilateralmente i contratti già stipulati e vigenti con i propri gestori.

8) Eccesso di potere per irragionevolezza manifesta, sotto ulteriore e diverso profilo.

Pure censurabile sarebbe il riferimento al numero degli apparecchi posseduti alla data del 31 dicembre 2014, ove si consideri che nel corso del 2015 un concessionario potrebbe dismettere (ovvero acquisire) un certo numero di apparecchi, senza che ciò abbia alcuna influenza sulla somma da versare.

La ricorrente ha concluso, chiedendo l’annullamento del decreto impugnato, rimettendo al T.a.r. la valutazione della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art 1, comma 649, della legge 190/2014, per contrasto con gli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione, nonché per contrasto con l’art. 117 Costituzione in relazione alla norma interposta di cui all’art. 1, protocollo 1, della CEDU, ai fini della sua proposizione alla Corte Costituzionale.

Essa ha altresì chiesto di vagliare la sottoposizione alla Corte di Giustizia della questione pregiudiziale interpretativa, ai sensi dell’art 267 del TFUE, nei seguenti termini: “- Se osti ai principi in materia di libera concorrenza contenuti agli art. 101-102 e 106 del TFUE una normativa quale quella contenuta all’art 1, comma 649, delle legge 190/14, che in violazione dei principi di libera concorrenza riduca aggi e compensi solo nei confronti di una limitata e specifica categoria di operatori (nella specie solo gli operatori del gioco con apparecchi da intrattenimento) e non nei confronti di tutti gli operatori del settore del gioco;

– se osti ai consolidati principi comunitari in materia di tutela di certezza del diritto e tutela del legittimo affidamento e dei diritti quesiti l’introduzione di una normativa quale quella contenuta all’art 1, comma 649, delle legge 190/14, che per sole ragioni economiche ha ridotto improvvisamente il compenso contrattualmente stabilito in una convenzione di concessione intercorrente tra una società ed un’Amministrazione dello Stato Italiano.”.

IV – È intervenuta ad adjuvandum l’A.C.A.D.I. – Associazione Concessionari di giochi pubblici affiliata a Confcommercio Imprese per l’Italia. Essa ha svolto le argomentazioni a sostegno della ricorrente, controdeducendo alle difese proposte dalle Amministrazioni resistenti costituite.

IV.1 – Successivamente si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate, le quali hanno successivamente prodotto un’articolata memoria difensiva.

IV.2 – L’Avvocatura generale dello Stato ha in primis eccepito il difetto di legittimazione passiva degli intimati Ministero dell’Economia e delle Finanze e Presidenza del Consiglio dei Ministri, attesa la loro estraneità rispetto al gravato provvedimento del 15 gennaio 2015, e ha poi rappresentato la posizione delle Amministrazioni patrocinate, come brevemente si illustra di seguito.

La norma della legge di stabilità oggetto di contestazione non avrebbe istituto un nuovo tributo, ma operato una riduzione dei compensi dei soggetti che compongono le filiere della raccolta di gioco praticato mediante apparecchi.

È come se lo Stato avesse ridotto da 4 miliardi a 3,5 miliardi di euro il montante delle risorse messo a disposizione delle predette filiere per la loro remunerazione, stabilendo poi un’apposita procedura perché questo contenimento forzoso della remunerazione si “spalmasse” tra i diversi soggetti interessati.

Il sacrificio del “taglio” solo per una parte è, infatti, subito dai concessionari, essendo sopportato anche dai gestori e dagli esercenti. In proposito, poiché il quantum della remunerazione, nei contratti di filiera, non è stabilito in misura fissa, bensì in misura percentuale rispetto alla raccolta, sarebbe agevole una rinegoziazione di un contratto la cui componente patrimoniale è appunto in percentuale, purché si accetti la minore somma complessiva da ripartire.

Ad un settore che da anni percepisce cumulativamente una remunerazione di circa 4 miliardi di euro, è stato chiesto, in sostanza, di rinunciare soltanto ad un 1/8 di tale remunerazione. La decisione di operare in prima battuta nel settore degli apparecchi da intrattenimento dipenderebbe dal fatto che tale segmento di gioco esprime circa la metà delle entrate erariali di tutti i giochi praticati nel territorio dello Stato.

Non vi sarebbe, poi, alcuna ricaduta per il passato delle nuova misura, essendo la norma efficace dal 1° gennaio 2015. Peraltro la volontà di intervento legislativo sugli aggi era già nota ai concessionari e agli operatori di filiera, a mente del criterio di delega legislativa recato dall’art. 14, comma 2, lett. g), della legge n. 23 del 2014.

Parte ricorrente non potrebbe invocare il principio dell’affidamento, in quanto non vi sarebbe stato uno stravolgimento degli elementi essenziali del rapporto.

Ad ogni buon conto, la convenzione impegna il concessionario ad agire nel rispetto della normativa dettata in materia di gioco.

Infine la norma individuerebbe un criterio proporzionale, legato ad un elemento oggettivo, quale è il numero degli apparecchi di gioco, potenzialmente correlato agli introiti.

V – Con ordinanza n. 1475 del 2 aprile 2015, è stata respinta la domanda cautelare, proposta incidentalmente, sulla base della valutazione dei contrapposti interessi, ed è stata fissata l’udienza pubblica del 1° luglio 2015 per la trattazione del merito.

V.1 – Chiamato il ricorso in decisione alla predetta udienza pubblica, con ordinanza collegiale n. 9777 del 20 luglio 2015, sono stati disposti incombenti istruttori.

Segnatamente, è stato richiesto al concessionario “di depositare in giudizio: A) copia del conto economico relativo al bilancio al 31 dicembre 2013 e copia del conto economico relativo al bilancio al 31 dicembre 2014, ove approvato dall’Assemblea ordinaria, accompagnato da una tabella riassuntiva, per ciascuno dei due anni, del valore aggiunto (intendendosi per tale il valore della produzione al netto del costo delle materie prime consumate e del costo dei servizi esterni e di altri eventuali costi di gestione), del margine operativo lordo (intendendosi per tale il valore aggiunto al netto del costo del lavoro) e del risultato operativo (intendendosi per tale il margine operativo lordo al netto degli ammortamenti e degli accantonamenti della gestione tipica); B) una tabella riassuntiva dei compensi complessivamente riconosciuti negli anni 2013 e 2014 agli altri operatori della propria filiera, con espressa indicazione circa l’appostazione degli stessi nel conto economico tra i costi della produzione e, in particolare, tra i costi per servizi o in altra voce”.

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli è stata invece onerata di depositare in giudizio una dettagliata relazione, per quanto di propria conoscenza, in ordine all’aggregazione dei suddetti dati richiesti al concessionario ricorrente per l’intero settore dei giochi in discorso, comprensiva di ogni ulteriore eventuale chiarimento in ordine all’incidenza dell’intervento legislativo sui margini di redditività delle imprese del settore.

Tale istruttoria si era resa necessaria, in quanto la norma contestata, introdotta dalla legge di stabilità 2015, è destinata ad incidere sui margini di redditività derivanti dallo svolgimento delle attività affidate ai concessionari con le convenzioni di concessione stipulate con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Al riguardo “l’Avvocatura Generale dello Stato, nella propria memoria difensiva, ha rappresentato che, nel 2013, le somme disponibili per compensi alla filiera di gioco mediante apparecchi da divertimento ed intrattenimento, compresi i concessionari, sono risultate di poco inferiore ai 5 miliardi di euro, attestandosi attorno al 10% della raccolta (47,8 miliardi di euro), mentre, nel 2014, le somme restituite alla filiera si sono incrementate, attestandosi a circa 6 miliardi di euro, pari al 12% della raccolta, per cui la riduzione di tali somme, individuate dalla legge di stabilità 2015 in 500 milioni di euro, avrebbe una portata equivalente all’1,06% della raccolta di gioco ed all’8,3% dei compensi della filiera”.

Quanto rappresentato dall’Avvocatura dello Stato sembrava “misurare l’incidenza dell’intervento legislativo sui ricavi netti delle vendite e delle prestazioni dei soggetti della filiera, vale dire sulla differenza tra le poste di gioco e le vincite pagate, nonché le imposte ed altri oneri dovuti allo Stato”.

Perciò i dati richiesti servivano ad “individuare il livello di incidenza dell’intervento legislativo anche sugli altri margini di redditività dell’impresa”.

V.2 – La ricorrente e l’Amministrazione resistente, per quanto di rispettiva competenza, hanno adempiuto all’incombente istruttorio.

V.3 – La ricorrente ha quindi presentato una nuova domanda cautelare, che, con ordinanza n. 4526 del 22 ottobre 2015, è stata respinta, sul rilievo che “la ricorrente non ha esaustivamente dimostrato che la riduzione dei compensi ai sensi dell’art.1 comma 649, della legge n. 190/2014, avrebbe un’incidenza sul suo equilibrio economico complessivo tale da mettere a rischio la sua operatività nelle more della definizione del presente giudizio”.

VI – Quindi, con ordinanza collegiale n. 14139 adottata in data 21 ottobre 2015 e depositata il 16 dicembre 2015, è stata proposta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014 per contrasto con gli artt. 3 e 41, primo comma, Cost. ed è stato sospeso il giudizio.

In particolare, si è ivi sostenuto che apparirebbero violati i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, laddove la norma in contestazione ha ancorato la riduzione dei compensi al numero di apparecchi riferibili ai concessionari alla data del 31 dicembre 2014, postulando che ogni apparecchio effettui uno stesso volume di giocate; infatti ciò non sarebbe plausibile, non essendo il riferimento al numero di apparecchi facente capo a ciascun concessionario compiutamente indicativo dei margini di reddito conseguiti dallo stesso, per cui la ripartizione della riduzione dei compensi potrebbe andare a beneficio degli operatori i cui apparecchi registrano mediamente un maggior volume di giocate ed a detrimento degli operatori i cui apparecchi, invece, registrano mediamente un minor volume di giocate.

La violazione dei medesimi principi si ravviserebbe anche con riferimento al fatto che, mentre la legge delega n. 23/2014 ha previsto il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici e, quindi, del loro intero sistema, la norma in contestazione incide solo sui giochi praticati mediante apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, TU n. 773 del 1931 e, per l’effetto, è destinata solo ad un suo segmento, sia pure di enorme rilievo.

La descritta irragionevole ripartizione del versamento imposto tra i concessionari potrebbe produrre un’alterazione del libero gioco della concorrenza tra gli stessi.

Si è poi ritenuto non manifestamente infondato il contrasto con l’art. 41 Cost., sull’assunto che “la determinazione in misura fissa, e non variabile, del contributo imposto, in quanto destinato ad operare a tempo indeterminato, potrebbe potenzialmente produrre un peso insostenibile per gli operatori della filiera, ove i margini di redditività della stessa dovessero consistentemente ridursi.”.

Si è specificato al riguardo che, “se con riferimento ai dati del conto economico 2014, il versamento imposto alla ricorrente, pur costituendo un significativo “taglio” alla sua capacità di reddito, non appare tale da violare il “principio di proporzionalità” in un’ottica di bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti, non è possibile escludere che, ove i volumi delle giocate raccolte dovessero drasticamente contrarsi, la determinazione del versamento in misura fissa e non variabile, come funzione del volume delle giocate, potrebbe determinare un reale stravolgimento delle condizioni economiche pattuite in convenzione con conseguente eccessiva gravosità degli obblighi imposti per i concessionari ed i relativi operatori di filiera.”.

L’ordinanza si è infine soffermata sul meccanismo di pagamento dell’aggio configurato dalla norma in questione, il quale, attraverso l’inversione del flusso dei pagamenti sino a quel momento previsto per la remunerazione del settore, determinerebbe un aumento del “rischio cui sono esposti i concessionari, del mancato adempimento degli obblighi gravanti sugli altri operatori della filiera, senza che tale circostanza faccia comunque venire meno l’obbligo dei concessionari medesimi di versare allo Stato, nei termini indicati, l’importo.”.

VII – Successivamente è intervenuto l’art. 1, comma 920, della legge n. 208 del 28 dicembre 2015, il quale ha abrogato l’art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014. Conseguentemente il prelievo forzoso, destinato ad operare anche per gli anni successivi, è stato ridotto unicamente all’anno 2015.

VII.1 – Il successivo comma 921 del ciato art. 1 della legge n. 208/2015 ha inoltre stabilito: “Il comma 649 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, si interpreta nel senso che la riduzione su base annua delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, si applica a ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015.”.

VIII – La Corte costituzionale, alla luce del richiamato jus superveniens, con sentenza n. 125 dell’8 maggio 2018, depositata in Cancelleria il 13 giugno 2018, ha rimesso gli atti al T.a.r. affinché valutasse il permanere o meno delle ragioni per una nuova rimessione, in ogni caso evidenziando che la situazione risultava “profondamente modificata in melius – sia per i concessionari, inizialmente obbligati (dalla disposizione censurata) essi soli per l’intero ed ora (in forza della disposizione sopravvenuta) obbligati unitamente a tutti gli altri operatori della filiera, tenuti anch’essi in misura proporzionale ai compensi contrattuali del 2015; sia per gestori ed esercenti, inizialmente tenuti a riversare l’intero ricavato delle giocate, senza possibilità di trattenere il compenso lordo spettante, ed ora obbligati anch’essi, ma solo in misura proporzionale ai compensi contrattuali del 2015”.

IX – Quindi la ricorrente, medio tempore incorporata nella Snai S.p.A., che ha poi cambiano denominazione in Snaitech S.p.A., ha tempestivamente riassunto il processo sospeso con la richiamata ordinanza n. 14139/2015.

IX.1 – Le parti hanno depositato memorie difensive, dalle quali sono emerse due posizioni contrapposte.

IX.2 – Da un lato, la Società ricorrente ha sostenuto che alcune questioni di legittimità costituzionale non sarebbero state superate dalle norme sopravvenute e ha comunque insistito per la sottoposizione della questione interpretativa alla Corte di Giustizia; le medesime osservazioni si rinvengono nella memoria dell’interveniente ad adjuvandum A.C.A.D.I..

IX.3 – Dall’altro, le Amministrazioni resistenti hanno invece affermato che i dubbi di legittimità costituzionale sarebbero definitivamente fugati dallo jus superveniens, con conseguente legittimità del decreto censurato.

IX.4 – Nella pubblica udienza del 22 maggio 2019 il ricorso è stato introitato per la decisione.

X – Prima di esaminare le doglianze di parte ricorrente, occorre individuare l’oggetto del ricorso in esame, rappresentato dal decreto dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli prot. n. 4076 del 15 gennaio 2015, con cui è stata data attuazione all’art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014.

X.1 – La citata disposizione prevede: “A fini di concorso al miglioramento degli obiettivi di finanza pubblica e in anticipazione del più organico riordino della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell’ambito delle reti di raccolta del gioco per conto dello Stato, in attuazione dell’articolo 14, comma 2, lettera g), della legge 11 marzo 2014, n. 23, è stabilita in 500 milioni di euro su base annua la riduzione, a decorrere dall’anno 2015, delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. Conseguentemente, dal 1° gennaio 2015:

a) ai concessionari è versato dagli operatori di filiera l’intero ammontare della raccolta del gioco praticato mediante i predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate. I concessionari comunicano all’Agenzia delle dogane e dei monopoli i nominativi degli operatori di filiera che non effettuano tale versamento, anche ai fini dell’eventuale successiva denuncia all’autorità giudiziaria competente;

b) i concessionari, nell’esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, in aggiunta a quanto versato allo Stato ordinariamente, a titolo di imposte ed altri oneri dovuti a legislazione vigente e sulla base delle convenzioni di concessione, versano altresì annualmente la somma di 500 milioni di euro, entro i mesi di aprile e di ottobre di ogni anno, ciascuno in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, adottato entro il 15 gennaio 2015, previa ricognizione, sono stabiliti il numero degli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, riferibili a ciascun concessionario, nonché le modalità di effettuazione del versamento. Con analogo provvedimento si provvede, a decorrere dall’anno 2016, previa periodica ricognizione, all’eventuale modificazione del predetto numero di apparecchi;

c) i concessionari, nell’esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di filiera le somme residue, disponibili per aggi e compensi, rinegoziando i relativi contratti e versando gli aggi e compensi dovuti esclusivamente a fronte della sottoscrizione dei contratti rinegoziati.”.

X.2 – Il decreto gravato, in particolare, indica, per ciascuno dei concessionari del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento, il numero degli apparecchi riferibili alla data del 31 dicembre 2014, al quale parametrare la quota di competenza, del totale dei previsti 500 milioni di euro, da versare all’Erario per l’anno 2015, e quantifica in modo preciso tale importo.

X.3 – Come sarà evidenziato nel corso della presente disamina, la portata della norma citata, di cui è stata fatta applicazione, è stata sensibilmente ridotta, essendo circoscritta al solo anno 2015, ed anche le modalità di corresponsione del quantum dovuto per detto anno sono state in sostanza modificate, per effetto di una successiva norma interpretativa.

XI – Tornando all’esame del decreto, deve rilevarsi che esso è stato adottato unicamente dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che rappresenta la “pubblica amministrazione che ha emesso l’atto impugnato”, alla quale il ricorso deve essere notificato, secondo quanto disposto dall’art. 41, comma 2, c.p.a..

XI.1 – Il ricorso in esame è stato invece notificato altresì al Ministero dell’Economia e delle Finanze ed alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, soggetti evidentemente sforniti di legittimazione processuale passiva.

Non rileva in contrario l’incidenza del provvedimento censurato sull’Erario, perché, se invece così fosse, tutti i ricorsi avverso gli atti con riflessi sui conti dello Stato dovrebbero essere notificati a tale Dicastero, indipendentemente da chi li abbia adottati.

Incomprensibile è anche la notifica eseguita nei confronti della Presidenza del Consiglio.

XI.2 – In questo caso la scelta di una norma di legge, quale quella che ha costituito oggetto di giudizio di legittimità costituzionale definito con la sentenza n. 125 dell’8 maggio 2018, depositata in Cancelleria il 13 giugno 2018, si giustifica in ragione della previsione di un’imposizione con correlato gettito per lo Stato, quantificato appunto in totali 500 milioni di euro su base annua, quale riduzione del compenso dovuto dallo stesso ai soggetti della filiera del gioco lecito.

Tale norma è indirizzata ad una categoria di soggetti – tutti quelli della filiera del gioco lecito con apparecchi da divertimento e intrattenimento –, e non già a singoli nominati soggetti, ed inoltre demanda, per la quantificazione degli oneri in capo a ciascun concessionario, ad un decreto, quale è appunto quello qui impugnato, riferito all’anno 2015.

Conseguentemente detta norma non può qualificarsi come legge-provvedimento e, perciò, anche sotto l’angolazione in ultimo esaminata, non può ritenersi sussistente la legittimazione processuale in capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

XI.3 – Ne deriva che è fondata l’eccezione di difetto di legittimazione processuale del Ministero intimato e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, mossa dall’Avvocatura generale dello Stato.

Dette Amministrazioni vanno, perciò, estromesse dal giudizio.

XII – Va poi rimarcato che il decreto impugnato evidentemente costituisce pedissequa applicazione del richiamato art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014, salvo fornire dati puntuali in ordine agli apparecchi posseduti al 31 dicembre 2014 e di conseguenza alla quota da versare, di spettanza di ciascun concessionario.

XIII – Com’è stato già rilevato in precedenza, su di essa si è innestato lo jus superveniens che vi ha inciso profondamente.

Segnatamente l’art. 1, comma 920, della legge n. 208 del 28 dicembre 2015 ha abrogato l’art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014. Conseguentemente il prelievo forzoso, destinato ad operare anche per gli anni successivi, è stato ridotto unicamente all’anno 2015, per cui, da misura strutturale, si è trasformato in un intervento una tantum posto a carico della filiera.

XIII.1 – Tale limitazione dell’applicazione della norma al solo anno 2015 assume rilievo, come sarà meglio illustrato di seguito.

XIV – Al riguardo occorre innanzi tutto rammentare che la Sezione già in precedenza, quando la norma era destinata ad esplicare i suoi effetti anche negli anni successivi, ha ritenuto che l’incidenza del versamento imposto non fosse ictu oculi violativo del principio di proporzionalità, vale a dire del “limite della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico”, fissato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 56 del 2015, nella quale detto organo ha affrontato il tema del legittimo affidamento e della possibile sua lesione, ad opera dell’art. comma 79, legge n. 220 del 2010, nonché dei precedenti commi 77 e 78 richiamati dal comma 79, che prevedeva l’aggiornamento dello schema-tipo di convenzione accessiva alle concessioni per l’esercizio e la raccolta non a distanza, ovvero comunque attraverso rete fisica, dei giochi pubblici.

La Corte costituzionale ha in tale sentenza concluso nel senso dell’infondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta.

XIV.1 – Essa ha in via generale affermato che “… il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova sì copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., ma non già in termini assoluti e inderogabili. Per un verso, infatti, la posizione giuridica che dà luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio deve risultare adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per un periodo sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento. Per altro verso, interessi pubblici sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente anche su posizioni consolidate, con l’unico limite della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti. Con la conseguenza che «non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti», unica condizione essendo «che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto (sentenze n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009)» (ex plurimis, ordinanza n. 31 del 2011).” (Corte cost. n. 56 del 2015).

XIV.2 – Come ha ulteriormente evidenziato la Corte costituzionale sempre nella sentenza n. 56 del 2015, i rilievi sopra svolti valgono a maggior ragione “per rapporti di concessione di servizio pubblico, come quelli investiti dalle norme censurate, nei quali, alle menzionate condizioni, la possibilità di un intervento pubblico modificativo delle condizioni originarie è da considerare in qualche modo connaturata al rapporto fin dal suo instaurarsi.”.

In proposito deve considerarsi, infatti, che la raccolta del gioco mediante apparecchi è un’attività propria dello Stato, all’esito di una gara, da questo data in concessione a soggetti terzi, che, unitamente a tutta la filiera, vengono remunerati dallo stesso con risorse pubbliche.

XIV.3 – Nella fattispecie in esame gli interessi pubblici tutelati con la misura in contestazione sono individuabili nella necessità, a fronte della profonda e perdurante crisi finanziaria che ha progressivamente colpito anche lo Stato italiano, di un maggiore concorso agli obiettivi di finanza pubblica da parte della filiera che opera nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, del TULPS.

XIV.4 – All’esito dell’acquisizione di una serie di dati, volti ad individuare, in linea di massima, in che misura la riduzione del compenso di 500 milioni a carico dell’intera filiera incidesse sui margini di redditività della singola impresa, per poter infine valutare il superamento o meno del limite della proporzionalità rispetto agli obiettivi di interesse pubblico, la Sezione ha constatato che generalmente, rispetto all’intera filiera, l’incidenza del versamento imposto non fosse ictu oculi violativo del principio di proporzionalità, con la conseguenza che non risultava violato neppure il legittimo affidamento.

XV – Proprio in ragione del riscontrato rispetto del principio di proporzionalità e della sussistenza di rilevanti interessi generali sottesi, la disposizione in esame, anche nell’originaria formulazione, non può ritenersi violativa dell’art. 1, prot. 1, della CEDU, che tutela i diritti di aspettativa economica.

XVI – I rilievi sinora svolti ricevono ulteriore forza dalla limitazione temporale al solo anno 2015 del prelievo de quo. In altre parole, se risultava rispettato il principio di proporzionalità – e di conseguenza quello di legittimo affidamento – e non appariva violata la disposizione CEDU appena richiamata, stante la previsione della corresponsione allo Stato di 500 milioni di euro annui a partire dal 2015 ed anche per gli anni successivi, a maggior ragione ciò può affermarsi in relazione all’applicazione della norma per il solo 2015 e conseguentemente alla previsione del versamento di tale somma complessiva solamente per tale anno.

XVII – Come si chiarisce di seguito, neppure sussiste la lamentata violazione della libertà di iniziativa economica sotto il profilo considerato, vale a dire in relazione al fatto che al concessionario (e, a valle, agli altri operatori della filiera) viene imposto il versamento della somma suindicata (si prescinde al momento dal vaglio dell’incidenza su tale libertà delle modalità di corresponsione della somma stessa, elemento sul quale si tornerà successivamente).

XVII.1 – In proposito va ancora una volta considerato che l’attività in questione viene data in concessione dallo Stato a soggetti privati; perciò ben è possibile per il primo incidere sui rapporti con questi ultimi.

XVII.2 – In ogni caso, tenuto conto dell’accertata limitata incidenza del prelievo de quo, che si traduce nel rispetto del principio di proporzionalità, non può conseguentemente sussistere alcuna violazione della libertà di iniziativa economica.

XVII.3 – Sul punto si rammenta che nell’ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame, la Sezione aveva affermato: “la determinazione in misura fissa, e non variabile, del contributo imposto, in quanto destinato ad operare a tempo indeterminato, potrebbe potenzialmente produrre un peso insostenibile per gli operatori della filiera ove i margini di redditività della stessa dovessero consistentemente ridursi.

In altri termini, se con riferimento ai dati del conto economico 2014, il versamento imposto alla ricorrente, pur costituendo un significativo “taglio” alla sua capacità di reddito, non appare tale da violare il “principio di proporzionalità” in un’ottica di bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti, non è possibile escludere che, ove i volumi delle giocate raccolte dovessero drasticamente contrarsi, la determinazione del versamento in misura fissa e non variabile, come funzione del volume delle giocate, potrebbe determinare un reale stravolgimento delle condizioni economiche pattuite in convenzione con conseguente eccessiva gravosità degli obblighi imposti per i concessionari ed i relativi operatori di filiera.”.

XVII.4 – A seguito della norma sopravvenuta – si ribadisce – l’arco temporale di applicazione della disposizione in esame diventa circoscritto unicamente al 2015, per cui si determina uno svuotamento delle considerazioni appena richiamate.

XVIII – Proprio in ragione di quanto sinora rilevato, la norma in esame, soprattutto a seguito della limitazione dell’ambito temporale di applicazione, non appare in contrasto neppure con il diritto dell’Unione europea, in particolare con riguardo alla tutela dell’affidamento.

XIX – Deve altresì considerarsi che, secondo quanto disposto dall’art. 5, comma 2, lett. b), della convenzione accessiva alla concessione, ciascun concessionario è tenuto ad “osservare le vigenti disposizioni del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, tutte le norme di legge nonché tutte le disposizioni vigenti in materia, presenti o future, dell’autorità pubblica”.

Da quanto appena riportato si ricava che, in capo all’odierna concessionaria, è stato previsto in modo espresso l’obbligo di rispettare le norme, anche future, senza bisogno di alcun atto integrativo della convenzione già in essere con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

XIX.1 – Peraltro ciò costituisce applicazione dell’art. 1374 c.c., secondo il quale: “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge…”.

XIX.2 – La norma di cui si fa questione è autoapplicativa, unitamente al decreto impugnato in questa sede.

XX – Va poi chiarito che nella specie non è stato istituito un nuovo tributo, atteso che il legislatore ha voluto appositamente incidere, riducendolo, sulla misura del compenso remunerativo dei soggetti che compongono le filiere delle reti di raccolta del gioco praticato mediante apparecchi.

In altri termini, visto che il denaro che lo Stato lascia a tali filiere, a titolo di compenso, è pur sempre pubblico, è come se con la legge di stabilità lo Stato avesse ridotto da 4 miliardi di euro a 3,5 miliardi di euro circa il montante delle risorse messe a disposizione delle predette filiere per la loro remunerazione.

XXI – Sotto altro verso, non può condividersi l’assunto di parte ricorrente secondo cui la previsione del prelievo riferito solo alla filiera del gioco lecito mediante apparecchi rappresenti un aiuto di Stato indiretto nei confronti di altre tipologie di giochi (lotto, enalotto, giochi online ecc), che non ne sono state colpite.

XXI.1 – È vero che l’art. 14 della legge n. 23 del 2014 ha delegato il Governo ad attuare “il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, riordinando tutte le norme in vigore in un codice delle disposizioni sui giochi, fermo restando il modello organizzativo fondato sul regime concessorio e autorizzatorio, in quanto indispensabile per la tutela della fede, dell’ordine e della sicurezza pubblici, per il contemperamento degli interessi erariali con quelli locali e con quelli generali in materia di salute pubblica, per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività criminose, nonché per garantire il regolare afflusso del prelievo tributario gravante sui giochi”.

Tra i principi e criteri direttivi cui improntare il riordino, la lett. g) del comma 2 ha previsto la “revisione degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori secondo un criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate”.

XXI.2 – Perciò, secondo la volontà iniziale del legislatore, la revisione degli aggi avrebbe dovuto riguardare per intero il settore del gioco pubblico lecito, mentre l’art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014, in esame, ha previsto la misura de qua unicamente nei riguardi del settore del gioco mediante apparecchi, qui in esame.

XXI.3 – Tuttavia tale dato non conduce alla conclusione che in tal modo lo Stato avrebbe dato un aiuto indiretto ai rimanenti settori del gioco.

Un primo elemento dirimente è che in ogni caso non si tratta di intervento dello Stato in ingresso dei vari soggetti che operano in tali diversi settori.

Va poi detto che, per poter fare una simile affermazione, dovrebbe rappresentarsi il quadro completo di ciascuno dei settori in questione e considerare il volume di affari generato in ognuno e le trattenute praticate già dallo Stato.

Com’è stato opportunamente evidenziato dall’Avvocatura generale dello Stato, negli anni 2013 e 2014, presi evidentemente a riferimento, più della metà del volume di affari del gioco lecito è imputabile a quello con apparecchi. Segnatamente nel 2013, a fronte di una raccolta complessiva di circa 84,7 miliardi di euro, ben 47,8 miliardi di euro sono derivati dal gioco tramite apparecchi; nel 2014, a fronte di un totale di 84, 5 miliardi di euro, il volume di gioco degli apparecchi è stato pari a più di 47 miliardi di euro.

Si tratta, perciò, di un settore particolarmente remunerativo, molto più degli altri, e per questo si è ritenuto di colpirlo in prima battuta.

Si è già evidenziato in precedenza che l’incidenza pro quota su ciascun concessionario (e di conseguenza a valle sugli altri operatori della filiera) di detto prelievo è davvero minima; per tale ragione se ne è sostenuta la ragionevolezza, in presenza della quale non si è ravvisata la dedotta violazione del principio di affidamento.

Ciò incide anche sul tema ora in esame, vale a dire sulla questione degli asseriti aiuti di Stato, dedotta in ricorso: evidentemente tali aiuti non si rinvengono.

Deve altresì ancora una volta rimarcarsi al riguardo che la misura di cui si sta discutendo è ormai una tantum, stante la sopravvenuta norma di cui all’art. 1, comma 920, della legge n. 208 del 28 dicembre 2015 che ha abrogato l’art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014 (quindi l’ha fatta venire meno a partire dal 2016).

XXII – La rilevata intervenuta abrogazione assume rilevanza anche rispetto ad ulteriori doglianze mosse dalla ricorrente.

XXII.1 – Infatti il circoscritto ambito temporale, unitamente alla più volte evidenziata scarsa incidenza del prelievo sui concessionari in primis e poi su tutti gli altri operatori della filiera conducono alla logica conclusione che non vi è stata neppure violazione del principio di concorrenza, per cui, anche sotto quest’ultimo profilo, non si ravvisa alcuna – neppure eventuale – lesione dell’impianto comunitario normativo e di principi né un contrasto con i parametri costituzionali di cui agli artt. 41 e 117 Cost..

XXII.2 – Ma, ancor più alla luce dello jus superveniens, non può ritenersi sussistente neppure la dedotta violazione del principio di uguaglianza, quindi il contrasto della norma in rilievo con l’art. 3 Cost.: si è già detto che le situazioni dei diversi segmenti del gioco lecito non sono equiparabili e in ogni caso non vi è alcuna prova che, a fronte della misura contestata con riferimento al solo 2015, non ne siano state adottate altre dirette nei confronti degli altri settori, eventualmente in anni differenti.

XXIII – Passando al vaglio del criterio stabilito per ripartire tra i concessionari la misura di contribuzione rispetto alla quota da versare (500 milioni di euro), si rammenta che il comma 649 dell’art. 1 della legge n. 190/2014 ha stabilito: “ciascuno in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014”.

XXIII.1 – Com’è stato osservato dalla Sezione nell’ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale, detto criterio si discosta da quello previsto dall’art. 14, comma 2, lett. g), della legge n. 23/2014, il quale, infatti, stabilisce la revisione degli aggi e compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori “secondo un criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate”.

XXIII.2 – Nella medesima ordinanza il T.a.r. ha ritenuto “illogico il riferimento ad un dato statico (sia pure soggetto ad aggiornamento), cioè il numero di apparecchi riferibile a ciascun concessionario ad una certa data, anziché ad un dato dinamico, il volume di raccolta delle giocate”, e ha inoltre ravvisato la violazione del principio di uguaglianza, “in quanto, essendo il riferimento al numero di apparecchi riferibile a ciascun concessionario non compiutamente indicativo dei margini di reddito conseguiti dallo stesso, la ripartizione della riduzione dei compensi potrebbe andare a beneficio degli operatori i cui apparecchi registrano mediamente un maggior volume di giocate ed a detrimento degli operatori i cui apparecchi, invece, registrano mediamente un minor volume di giocate.”.

XXIII.3 – Per quanto concerne il discostamento del criterio adottato dall’art. 1, comma 649, della legge n. 190/2014 rispetto a quello previsto dall’art. 14, comma 2, lett. g), della legge n. 23/2014, deve rimarcarsi il pari rango delle due disposizioni; il legislatore, nel ritenere di circoscrivere la riduzione dell’aggio al segmento del gioco lecito con apparecchi, nella sua discrezionalità, ha stabilito un criterio più oggettivo e di più agevole applicazione. Peraltro certamente il criterio della norma antecedente è riferibile alle più disparate tipologie di gioco, mentre quello introdotto dalla norma successiva, e nella specie applicato, ha un ambito operativo limitato al settore che si avvale di apparecchi.

XXIII.4 – Quanto alle assunte irragionevolezza del criterio impiegato e violazione del principio di uguaglianza, con conseguente contrasto con l’art. 3 Cost., deve evidenziarsi che, stante la limitata applicazione del prelievo de quo al solo anno 2015, la ricorrente, su cui incombeva l’onere probatorio, non ha dimostrato che la sua applicazione nei suoi riguardi ha comportato l’esborso di una somma maggiore rispetto a quella che avrebbe invece versato ove fosse stato utilizzato il criterio del volume di raccolta delle giocate.

Deve considerarsi al riguardo che, per poter sollevare una questione di legittimità costituzionale, oltre alla non manifesta infondatezza, occorre altresì la rilevanza della questione stessa, che si traduce in un interesse concreto al suo accoglimento, con la dichiarazione di incostituzionalità della norma ritenuta violativa di un parametro costituzionale e la conseguente sua non applicazione al caso concreto oggetto del giudizio dinanzi al Giudice a quo.

In questo caso la Società ricorrente, data la circoscritta applicazione della norma unicamente all’anno 2015, rispetto al quale emerge il dato storico riferito alla data del 31 dicembre 2014, non ha fornito prova del beneficio che tratterrebbe dalla dichiarazione di incostituzionalità della norma de qua, nella parte in cui prevede il criterio oggettivo degli apparecchi disponibili alla suddetta data appunto del 31 dicembre 2014, e non già l’altro del volume di giocate, in via del tutto generica ritenuto più appropriato.

XXIII.5 – Ne deriva che, in assenza di rilevanza, la questione di legittimità costituzionale riferita al contrasto appena esaminato non può essere riproposta.

XXIV – Resta da vagliare la censura con la quale la ricorrente contesta la circostanza che l’obbligo del pagamento della somma in questione sarebbe stato previsto solo a carico del concessionario, mentre nulla sarebbe stato stabilito in ordine alle modalità di raccolta tra concessionari ed operatori della filiera, sebbene questi ultimi siano stati onerati di versare ai concessionari l’intero ammontare della raccolta del gioco. Con la medesima doglianza essa evidenzia anche che nulla si affermerebbe circa le conseguenze in ordine al mancato versamento del dovuto da parte di gestori ed esercenti.

Lamenta ancora che la legge imporrebbe la modifica delle gestione dei flussi finanziari, disponendo che il concessionario deve ricevere le somme, senza operare e/o consentire la compensazione, e di riversare poi le somme rimanenti ai gestori, con l’onere di eseguire per ogni periodo contabile migliaia di bonifici, sostenendo che un tale meccanismo provocherebbe un’intromissione nella libertà contrattuale ed un maggior costo ed assumendo altresì che non si potrebbe imporre ex lege ai concessionari di rinegoziare unilateralmente i contratti già stipulati e vigenti con i propri gestori.

XXIV.1 – Il meccanismo ideato per consentire il versamento del prelievo di che trattasi, come sopra contestato, è stato totalmente rimodulato, con effetto ex tunc, dalla norma interpretativa di cui all’art. 1, comma 921, della legge n. 208/2015, che ha stabilito: “Il comma 649 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, si interpreta nel senso che la riduzione su base annua delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, si applica a ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015.”.

Pertanto la disposizione sopravvenuta chiarisce che il versamento della somma definita in capo a ciascuno dei tredici concessionari in proporzione al numero di apparecchi riferibili alla data del 31 dicembre 2014 deve essere ripartita tra ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali.

Ciò significa anche che i gestori e gli esercenti, inizialmente obbligati a versare l’intero ricavato delle giocate, senza possibilità di trattenere il compenso loro spettante, attualmente sono tenuti in misura proporzionale ai compensi contrattuali del 2015 e non devono più rinegoziare i loro rapporti con i concessionari.

In sostanza, la legge di bilancio 2016 ha chiarito che l’obbligo di versamento grava, non più solo sui concessionari, ma su tutti gli operatori della filiera, quindi anche su esercenti e gestori, e ha altresì fissato il suindicato criterio di riparto di detto onere economico aggiuntivo .

XXIV.2 – In proposito l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, con nota del 28 aprile 2016, ha, infatti, precisato: la “(…) legge di stabilità per il 2016 ha (…) interpretato in forma autentica il disposto dell’abrogato comma 649, ‘nel senso che la riduzione su base annua (…) si applica a ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015 (…).

La disposizione chiarisce, quindi, con efficacia ex tunc (vale a dire per l’anno 2015, essendo la norma stata abrogata con effetto 1.1.2016) che l’obbligo di versamento della predetta somma – definito con il citato provvedimento direttoriale del 15.1.2015 in proporzione al numero di apparecchi riferibili a ciascun concessionario alla data del 31.12.2014 – deve essere ripartito tra ‘ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del ‘compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015…”.

XXIV.3 – Conseguentemente la doglianza esaminata risulta superata.

XXV – In conclusione, alla luce dei rilievi fatti e delle considerazioni svolte nella presente disamina, il ricorso è in parte infondato e da rigettare ed in parte improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse.

XXVI – In ragione della complessità e della peculiarità della controversia, sussistono i presupposti per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando:

– dispone l’estromissione dal giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Economia e delle Finanze;

– in parte respinge il ricorso in epigrafe ed in parte lo dichiara improcedibile, per sopravvenuto difetto di interesse;

– compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

 

 

 

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