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Mirabelli (Pd): “Se si continua a rinviare accordo, vuol dire che c’è l’interesse politico a impedire la riforma”

“Se si continua a fare “più uno” per non chiudere mai l’accordo, vuol dire che, più che il merito delle questioni, c’è un interesse politico ad impedire la riforma”. Lo

07 Luglio 2017

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“Se si continua a fare “più uno” per non chiudere mai l’accordo, vuol dire che, più che il merito delle questioni, c’è un interesse politico ad impedire la riforma”.

Lo ha ricordato Franco Mirabelli senatore del Pd in occasione della Festa del PD di Curtatone che si è tenuta un paio di settimane fa. L’esponente di area Dem ha oggi pubblicato il suo intervento integrale.

“In questi anni, si è fatto molto lavoro sul tema del gioco. Si è partiti da una situazione di totale deregolamentazione e in cui i Comuni hanno svolto un ruolo di supplenza per mancanza di regole chiare da parte dello Stato su un settore che purtroppo ha condizionato negativamente la vita di molte persone e che ha prodotto anche lo sviluppo di patologie e, soprattutto nel momento della crisi, ha comportato una maggior spesa di soldi per giocare rovinando di fatto delle famiglie. Il momento in cui la situazione del gioco in Italia è degenerata è stato quando, dopo il terremoto dell’Aquila, Tremonti, allora Ministro dell’Economia, ha deciso di liberalizzare il settore, introducendo nei locali pubblici generalisti la possibilità di collocare le macchinette con premi in denaro, per poi utilizzare le risorse ricavate dalle entrate fiscali per finanziare la ricostruzione. È chiaro che in questo modo il gioco è diventato accessibile a tutti e con macchine che spesso generano un meccanismo compulsivo.
Questo ha attratto molte persone e ha creato tanti problemi.
In questa legislatura abbiamo deciso di ri-regolamentare tutto il settore proprio a fronte di questa situazione.
Senza dimenticare che, come mostrano molte inchieste, nel settore del gioco ha trovato spazio anche la criminalità organizzata.
Il gioco è uno dei settori in cui la criminalità organizzata ha maggiormente cercato di entrare per riciclare i proventi del traffico di droga e di altre provenienze illecite ma anche per controllare il territorio e per controllare gli esercizi commerciali imponendo le proprie macchinette.
Nelle azioni messe in campo dal Parlamento per regolamentare il settore si è partiti da due principi, il primo era quello di mantenere la riserva statale, cioè il fatto che il gioco con premi in denaro in Italia è possibile solo se c’è una concessione da parte dello Stato.
In secondo luogo si è cercato di arrivare ad una regolamentazione che consenta di diminuire offerta e domanda di gioco. Questo non è avvenuto in questi anni ma, anzi, per molto tempo le offerte di gioco sono aumentate.
Pur non essendo riusciti a portare avanti un provvedimento complessivo riguardante la regolamentazione del gioco, in questi anni sono comunque state fatte molte cose e una serie di proposte che erano contenute nella Delega Fiscale e che riguardavano il settore dei giochi, sono state raccolte nella Legge di Stabilità del 2015.
In particolare, si è stabilito di ridurre del 30% la presenza delle macchine da gioco nei locali pubblici generalisti entro il 2019; si è stabilito che tutte le macchine devono avere un accesso da remoto per garantire controlli e evitare frodi; si è intervenuti per proibire la pubblicità del gioco sulle televisioni generaliste fino alle 22.30.
Questo è stato un primo passo. In seguito, si è preso atto del fatto che Comuni e Regioni, in assenza di una normativa statale, avevano svolto un ruolo di supplenza ed erano intervenuti per limitare la diffusione del gioco con i criteri degli orari di accensione e spegnimento degli apparecchi e della distanza dei luoghi di gioco dai luoghi ritenuti sensibili (scuole, chiese, oratori, centri anziani), in cui ci sono persone più esposte ai rischi.
Questa scelta degli Enti Locali ci ha obbligati ad andare oltre perché è evidente che se lo Stato ha dato la concessione in un Comune occorre poi che ci sia la possibilità di esercitarla e, quindi, Comuni e Regioni devono partecipare alla regolamentazione insieme allo Stato. Con la Legge di Stabilità del 2015, quindi, si è stabilito di delegare alla Conferenza Stato-Regioni la costruzione di un’intesa che regolamentasse l’intera materia.
Per arrivare all’accordo si è discusso per oltre due anni e ora si è prodotto un testo che, a mio avviso, è molto importante perché davvero riduce domanda e offerta di gioco, stabilisce norme chiare, ci porterà ad escludere la presenza di macchinette da gioco nei bar e nei locali generalisti nel 2019 (con l’ultima Legge di Stabilità si è deciso di toglierne il 30% già da subito) e produrrà una regolamentazione per sale specificatamente dedicate al gioco (che saranno le uniche in cui sarà possibile giocare). Per la sale da gioco, in particolare, si prevedono norme molto stringenti rispetto agli orari e le possibilità di gioco, si prevede la formazione degli operatori per garantire una maggior tutela dei giocatori e della loro salute. Inoltre, si prevede di dimezzare la presenza di macchine da gioco e dei punti gioco sul territorio nazionale.
Ci sono ancora alcune questioni da risolvere ma la gran parte delle richieste provenienti da movimenti No-Slot, Enti Locali, associazioni cattoliche sono state accolte.
Al momento, il tema critico che è rimasto aperto riguarda le distanze dai luoghi sensibili e gli orari in cui è possibile giocare.
L’auspicio è che su questi aspetti si possa trovare a breve un’intesa. Sulle distanze, ad esempio, si sta andando verso l’idea che, anziché essere la Conferenza Stato-Regioni a decretare una distanza identica per tutti, si stabilisca invece un impegno da parte di Regioni e Enti Locali a rispettare il numero dei punti gioco stabiliti per concessione statale sul territorio e poi siano gli Enti Locali stessi a indicare dove realizzarli.
La preoccupazione sulle distanze, infatti, è quella che introducendo misure troppo rigide si finisca per creare delle zone “rosse”, spesso in periferia, che si trasformano in una sorta di “cittadelle del gioco” che poi diventano difficili da controllare e a rischio degrado.
Se un Comune preferisce intraprendere questa strada può anche farlo ma deve essere una scelta consapevole e non una conseguenza casuale dell’applicazione delle distanze.
Nel testo dell’accordo, inoltre, ci saranno alcune indicazioni per costruire norme simili a quelle utilizzate per la verifica di chi partecipa alle gare d’appalto, in grado di contrastare le infiltrazioni criminali nel settore del gioco e controllare i flussi di denaro che alimentano il settore.
Altre iniziative sono già state prese, come l’inserimento delle patologie da gioco nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), che vengono finanziati per aiutare i soggetti in difficoltà a curarsi.
Personalmente ritengo che si debba fare di più sul fronte della pubblicità televisiva, in particolare durante le trasmissioni sportive, in cui spesso è lo stesso evento sportivo ad essere utilizzato per alimentare scommesse in tempo reale. Bisogna, quindi, intervenire per lasciare fuori dal mondo dello sport il tema del gioco d’azzardo e delle scommesse.
L’accordo che si va cercando in Conferenza Stato-Regioni, dunque, è un’occasione di regolamentare il settore del gioco, riducendo domanda e offerta e introducendo norme utili per mettere regole chiare ad un settore che oggi non le ha e per cui i Comuni e le Regioni hanno dovuto esercitare un ruolo di supplenza per tutelare i cittadini.
Per questo trovo che sarebbe grave se, dopo tutto questo lavoro portato avanti in questi anni con la partecipazione di tutti i soggetti interessati, non si arrivasse a chiudere l’accordo e si lasciasse cadere tutto perché siamo al punto più avanzato possibile di regolamentazione a tutela dei cittadini. L’unica alternativa a questo è proibire il gioco, sapendo che però non vuol dire che i cittadini smetteranno di giocare (oltretutto non tutti quelli che giocano sono malati di gioco) ma si rischierebbe di regalare un settore che raccoglie una serie di interessi all’illegalità e alla criminalità organizzata in un modo ancora più deregolamentato e pericoloso.
Arrivando ad un accordo Stato-Regioni e recependolo con un Decreto Ministeriale, invece, si arriverebbe a fare la riforma del settore dei giochi e si chiuderebbe questa fase. Questo, ovviamente, comporterà anche un minor incasso da parte dello Stato sulle entrate fiscali derivanti dal gioco.

Sicuramente ci sono ancora molti equivoci nella discussione che si sta facendo. Un punto da chiarire riguarda i malati del gioco e delle giocate: non ci sono dati univoci, ogni ente o associazione porta dei numeri totalmente discordanti tra loro. Il settore del gioco è complesso e occorre capire bene la dimensione del fenomeno e anche degli interessati dai problemi derivati dal gioco.
Per quanto riguarda le giocate, un aiuto in questo senso potrebbe arrivare dall’introduzione delle macchine con accesso da remoto che consentono di controllare gli apparecchi e ciò che vi si fa. Senza dimenticare che questo aiuterebbe anche ad evitare l’utilizzo di schede taroccate che consentono il funzionamento delle macchine a vantaggio della criminalità organizzata.
Sulla questione dei malati da gioco, invece, sarebbe utile avere un osservatorio terzo (non finanziato da concessionari o da associazioni No-Slot) che fornisca i dati corretti.
C’è da considerare anche il fatto che il gioco ha una filiera industriale fatta di persone che lavorano e vivono di questo e per una riconversione c’è bisogno di tempo per prendere provvedimenti.
In ogni caso, non è un problema di “Stato cattivo” che ha creato il gioco: il settore del gioco esiste a prescindere perché il gioco esiste da quando esiste l’uomo e, purtroppo, proibire il gioco non è sufficiente a convincere tutti i cittadini a non giocare più ma anzi finirebbe per alimentare la criminalità organizzata.
Non c’è un automatismo per cui garantendo il gioco legale scomparirebbe quello illegale ma, sicuramente, togliendo il gioco legale rimarrebbe solo la criminalità a gestire il settore perché il gioco non scompare.

Dobbiamo, dunque, avere chiaro che il tema è regolamentare il gioco con premi in denaro nel nostro Paese. Oggi non è regolamentato a sufficienza e da quando è stata data la possibilità di mettere le macchine da gioco nei bar e nelle tabaccherie il problema è esploso con tutte le sue conseguenze negative. Da qui occorre tornare indietro.
Non credo che in questi anni si sia fatto poco sul gioco: prima di tutto questo lavoro non era proprio stato fatto nulla per oltre 10 anni. Adesso sono già state ridotte le macchinette nei locali pubblici del 30% e si è predisposto per eliminarle nel 2019, si è limitata la pubblicità in televisione; la Commissione Antimafia ha approvato un documento contenente le indicazioni da mettere in pratica per evitare le infiltrazioni della criminalità nel settore del gioco, verificare capitali e gestori e aumentare i controlli.
Ora si sta, quindi, completando un percorso.
Comuni e Regioni in questi anni hanno svolto un importante ruolo di supplenza in un momento di mancanza di regolamentazione e lo hanno fatto andando nella direzione di disincentivare il gioco e proteggere le persone, usando i due strumenti che avevano in mano, cioè la questione delle distanze e degli orari.
Purtroppo poi ci sono stati gli interventi dei TAR che non sono andati in una direzione univoca, per cui riformare il settore dei giochi serve anche a capire cosa possono fare o meno gli Enti Locali.
Con la Conferenza Stato-Regioni si deciderà di dimezzare i punti gioco su tutto il territorio nazionale, questi verranno distribuiti su Regioni e Comuni, i quali devono garantire di metterli ma potranno decidere loro dove.
Questo è il modo che si è trovato per uscire dalla problematica delle distanze che ad oggi rischia di bloccare una riforma che serve.
Sicuramente si può ragionare sulla questione degli orari (al momento sono conformati con quelli dell’apertura dei negozi).
È evidente, quindi, che lavoriamo tutti per dimezzare l’offerta ma non può succedere che vengano date concessioni che poi non possono essere utilizzate e ognuno si deve assumere le proprie responsabilità.
Non è certamente tutto perfetto in questa proposta di riforma ma è comunque un miglioramento molto significativo rispetto allo stato attuale delle cose.
Di fronte all’inerzia di questi anni, dunque, abbiamo fatto molto e, anche se ne parla poco o male, stiamo facendo una cosa utile che guarda all’interesse pubblico e non va sminuita perché, rispetto allo stato attuale, sarebbe un passo da gigante chiudere l’accordo Stato-Regioni.
È già da molto tempo che in Conferenza Stato-Regioni si lavora per raggiungere un’intesa e ci hanno lavorato tutti e oggi siamo ad un buon punto.
Personalmente, auspico che si possa chiudere prima della fine dell’estate. È interesse di tutti arrivarci.
Se qualcuno pensa che, per ragioni politiche, non sia utile fare l’accordo per non dare il merito a chi lo ha proposto, se ne assumerà la responsabilità.
Se si continua a fare “più uno” per non chiudere mai l’accordo, vuol dire che, più che il merito delle questioni, c’è un interesse politico ad impedire la riforma”.

 

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