23 Aprile 2024 - 22:52

“Compattamento” del settore? Prima viene un modello industriale condiviso

L’unione fa la forza, insieme si vince, la massa critica trionfa, tutte frasi che vanno bene per un slogan pubblicitario, se prima non si è creato il presupposto “vero” per

13 Maggio 2015

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L’unione fa la forza, insieme si vince, la massa critica trionfa, tutte frasi che vanno bene per un slogan pubblicitario, se prima non si è creato il presupposto “vero” per intraprendere un progetto inclusivo, ovvero  aderenza identitaria ad un nucleo di principi-valori-interessi, posti alla base di un modello operativo condiviso. Ciò vale per la politica, per l’industria, ma anche nelle stesse dinamiche sociali quotidiane, e quindi, presumibilmente, anche per le imprese che oggi in Italia “fanno” gioco lecito, e che, domani, saranno chiamate (forse) a continuare a farlo con regole in tutto o in parte diverse.

AS.TRO come scrive Paolo Gioacchini  crede in questa impostazione, al punto tale da non aver mai pensato di “perseguire prima” la numerica maggioranza di affiliati, e, poi, il “contenuto” del progetto associativo, bensì l’esatto opposto.

Detto ciò, è evidente che lo scenario attuale vede due (almeno) grandi ripartizioni di pensiero nell’ambito degli operatori. C’è chi lotta per conservare lo status quo, c’è chi lotta per “stare” nel cambiamento in atto. Entrambi hanno dignità, ma a seconda di quanto si fa “prossimo” un cambiamento “forzatamente indotto” (e a seconda di quanto è stravolgente il cambiamento), il primo soccombe alle leggi dell’evoluzione, mentre il secondo si candida a sfruttarle.

Lo status quo è noto a tutti, e per certi versi, piace poco, persino a chi si prefigge di conservarlo (e ciò dovrebbe far riflettere).  Sono pochi i gestori che scrivono di essere “felicemente addetti in un’attività florida”, agevolmente inquadrata in parametri di operatività e regole, positive e performanti.

Molti gestori “fanno sapere” di essere contrariati dal fatto che non vedono “quella premialità” che si aspetterebbero dall’aver allestito un contesto aziendale ottimizzato, formato, professionalizzato, in grado di sviluppare know how, e non solo di  applicare i tradizionali dettami del noleggio.

In particolare.

Ci si duole nel vedere il proprio “ruolo” di filiera perennemente minacciato da tentativi di cancellazione, ma al tempo stesso di essere sempre al centro dei percorsi di “spremitura finanziaria” dell’intero settore.

Ci si rammarica del fatto che il sistema – Paese complica la vita in luogo di facilitarla, e che il perimetro normativo di riferimento è sempre più instabile e contraddittorio.

Non ci si capacita del fatto che il mercato non premi le aziende che investono in innovazione-ricerca-sviluppo, incentivando – di fatto – l’arretratezza.

Non ci si rassegna a concepire il proprio lavoro come offerta “al ribasso” della propria marginalità, come se la professionalità non meritasse remunerazione.

E’ quindi evidente che il mutamento dello scenario attuale sia un’opportunità per chi soffre le sopradescritte condizioni penalizzanti, delicata e per nulla agevole, sia ben chiaro, ma pur sempre una occasione per ribadire un concetto: un’azienda sana e solida che “fa gioco” e sviluppa “processi” per gestirlo in regimi di ottimizzazione e professionalizzazione è:

  1. A) un valido partner per qualsiasi concessionario che “badi” ai fondamentali industriali – prima – e – solo dopo – a certi complicati indici finanziari di “benemerenza”,
  2. B) un valido partner per lo Stato, l’ordine pubblico, il Territorio, la pianificazione urbanistica, la collettività,
  3. C) un valido alleato di quella “razionalizzazione distributiva” a cui, comunque, si chiederà di rendere più “presentabili” certe zone urbane (violentate dagli insediamenti di gioco), più “decorosa” l’offerta di gioco nei locali generalisti, “meno opinabile” la legittimazione del gioco lecito come costume di vita (disciplinato e controllato) da proporre alla collettività.

Se vogliamo chiamare questo “partner” con una denominazione più consona all’Ordinamento vigente viene in mente la figura del “sub-concessionario”, ovvero quella realtà imprenditoriale a cui “imprescindibilmente” si ricorre quando l’opera pubblica che si deve realizzare è un servizio ad elevata componente di forza-lavoro, logistica, innovazione nei beni strumentali, per di più richiedente anticipazioni finanziarie e parcellizzazioni dei rischi di impresa.

Come si evolverà l’attuazione dell’articolo 14 della legge delega lo scopriremo tra due anni, quando saranno completate anche le attività di regolamentazione secondaria che seguiranno al decreto legislativo, per certi versi ancora più determinanti delle stesse disposizioni primarie che sono in procinto di essere varate.

In questo tempo: è più responsabile lavorare per dare “unione e forza a chi crede nella propria candidatura a “valido” partner per il futuro, oppure a chi si prodiga per difendere uno status quo che – comunque – sta già generando povertà ?

Esiste una terza via: prodigarsi per tornare ad un passato in cui lo Stato era “fuori” dal gioco. Sognare è lecito, purché ci si ricordi di mettere la sveglia.

PressGiochi